Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 16 Sabato calendario

QUANDO L’ISLAM AMAVA GESU’ IL PROFETA

Vorrei raccomandare la lettura di un libro bellissimo e importantissimo, che riguarda da vicino la cultura religiosa e storica di ogni europeo e di ogni cristiano: I detti islamici di Gesù, curato in modo eccellente da Sabino Chialà (Fondazione Valla ? Mondadori, p. LX ? 460 euro 30). Il volume non raccoglie detti di Gesù sfuggiti ai Vangeli o alla letteratura apocrifa, ma parole di Cristo elaborate per dieci secoli dalla tradizione islamica, generalmente a partire dai Vangeli. Per la prima volta, ho compreso quanto ha significato Cristo per l´Islam. Se leggiamo le parole di Ibn Arabi: «Chi si ammala di Gesù, non può guarire», pensiamo di vivere nel mondo cristiano: anche per San Francesco e Dostoevskij, Gesù è una malattia sublime e inguaribile, una ferita mistica, che dobbiamo portare e conservare dentro di noi, sebbene non smetterà mai di sanguinare. Anche dove non si raggiunge l´intensità di Ibn Arabi, siamo di fronte al caso (forse unico) di una religione che adotta la figura centrale di un´altra religione, trasformandola in una parte essenziale di sé stessa.
Nel Corano, Maometto non conosce in modo diretto il Vecchio e il Nuovo Testamento, ma eredita tradizioni apocrife, delle quali fanno parte elementi di altre religioni. Soprattutto due aspetti distinguono il Gesù coranico da quello cristiano. Non ha natura divina, sebbene non sia un comune mortale, come è invece Maometto; e, seguendo idee largamente diffuse in gruppi cristiani, non muore in Croce, ma Dio lo «eleva a sé», impedendogli di venire ucciso sul legno.
 il Messia, il segno, il profeta, l´inviato, il servo di Dio, la Parola di Verità, il Benedetto, e il «sigillo dei santi» come Maometto è il «sigillo dei profeti». Il Corano gli attribuisce miracoli, specie nell´infanzia: parla in culla, plasma uccelli di argilla, che anima col soffio, «per permesso di Dio»; guarisce ciechi e lebbrosi, riporta in vita morti, prescrive la preghiera e l´elemosina, conferma la Torah, e rende lecito «qualcosa che vi fu proibito». Profetizza, sempre «per permesso di Dio»: ritorna in terra prima della fine del mondo, e dà il lieto annuncio «di un inviato che verrà dopo di lui», Maometto. Ciò che gli manca completamente è la missione secondo Paolo: l´incarnazione, la morte sulla Croce, la salvezza dell´uomo dal peccato di Adamo, la resurrezione.
Fino a quando leggiamo il Corano, Gesù ci sembra un prezioso relitto, simile ai tanti che Maometto ha raccolto nella sua meravigliosa e mostruosa enciclopedia. Nel secolo dopo e in quelli successivi, gli autori di questi detti, cioè tutti i grandi scrittori della tradizione islamica, hanno una conoscenza molto migliore dei Vangeli, specie di quello di Giovanni. Gli apoftegmi diventano racconti, parabole e favole, vengono raccolte idee e immagini che contraddicono il Corano, e a poco a poco il lettore ha l´impressione di vivere in un mondo quasi completamente riplasmato dal Cristo. Gesù sembra il maestro di una tradizione nascosta (non segreta) che vive dentro l´Islam, lo trasforma dall´interno, e gli dà i colori che per la prima volta risplendettero nella terra e lungo i laghi di Palestina. Si capisce che molti cristiani, convertendosi all´Islam, vi trovassero il profumo della stessa religione che avevano appena abbandonato.
Quando Gesù dice al Padre (in un testo di Al-Mahlusi): «Sei tu che parli nella mia immagine, sei la lingua nella quale io parlo, dal momento che tu sei noto al mio essere e consistere», l´identità tra mistico e Dio sembra trasformarsi nell´identità tra il Padre e il Figlio. Al-Hallaj, che ha voluto morire sulla Croce, in tutta l´ultima parte della sua missione ha come esempio la missione di Gesù. Il Paraclito, lo Spirito Santo del Vangelo di Giovanni, che continua a tener viva la Parola dopo la Resurrezione, nella tradizione islamica diventa Maometto.
Quanto alla Passione, in un testo di Ibn Hisham Gesù afferma: «Non come io desidero, ma come Tu desideri. Non come io voglio, ma come Tu vuoi». Ci ritroviamo dunque nel Getsemani, nel Vangelo di Marco, dove è scritto: «Pregava che, se era possibile, quell´ora passasse lontana da lui. Diceva: "Abba, Padre, a te tutto è possibile, allontana da me questo calice. Tuttavia non quello che voglio io, ma quello che tu vuoi"». Come in Marco, il Gesù islamico pensa che, forse, esiste un´altra possibilità nella storia della salvezza, che finora non è stata considerata. E in un altro testo del decimo secolo, Gesù viene crocifisso (come il Corano esclude), sebbene soltanto nella carne, non nell´anima. Siamo sempre sul margine, in bilico, come se una religione cercasse, e non riuscisse, a scorgere nell´altra religione il volto in ombra di sé stessa.
* * *
Ciò che colpisce è l´atmosfera, nella quale viene rappresentato Gesù. Come nei Vangeli, specie in quello di Giovanni, Gesù è lo straniero: la figura che non appartiene al mondo o lo rifiuta; mentre Maometto aveva un invincibile amore per la realtà, il suo colore, il suo rilievo e le sue forme. «Il mondo ? dice Gesù per bocca di Ibn Abi Al Duyna ? è stato e io non ero in esso, sarà ed io non vi sarò: vi posseggo soltanto questi miei giorni nei quali mi trovo». «Siete nel mondo come ospiti ? insiste Al-Samarqandi. Non vedete forse gli uccelli del cielo, che non seminano e non mietono, eppure Dio che è in cielo li sostenta?».
Come nei Vangeli, la esistenza non è una durata. Viviamo sulle acque: non possiamo costruirvi edifici e chiese: l´ieri è trascorso e non ce ne rimane niente: non conosciamo il domani: l´esistenza scorre giorno per giorno, momento per momento; la grazia ci colpisce e ferisce, se vuole, nell´istante, effimero come le ali della farfalla. Quando chiesero a una grande mistica, Rabi´a, «da dove sei venuta?», lei rispose: «Dall´altro mondo». «Dove sei diretta?», le chiesero di nuovo. «All´altro mondo», lei continuò. «E che fai in questo mondo?» «Me ne prendo gioco», Rabi´a rispose definitivamente: con quella grandiosa ironia, che appartiene al vero cristianesimo, e che noi cristiani dimentichiamo così volentieri.
La religione è un segreto. Noi la dobbiamo tenere nascosta, come dobbiamo tenere nascosta alla mano destra le innumerevoli opere buone che compiamo con la sinistra, perché l´opera buona «è presso Colui che non la perderà mai». Dobbiamo pregare in silenzio, come diceva Gesù intonando il Pater Noster. «La devozione ? scrive Al-Ghazali interpretando i Vangeli ? è in dieci parti, nove delle quali sono il silenzio e una la fuga dalla gente». «Quando pregate», raccomandano i Detti, «appartatevi nella conversazione intima con lui, appartatevi nella preghiera». Anche l´amore è silenzio. Noi amiamo Dio per amore di Dio, non per magnificare la sua gloria, per timore del fuoco o desiderio del cielo.
Ci sono detti squisitissimi, che solo i tempi antichi, tanto abissali quanto lievi, sapevano concepire. «Gesù ha detto: "Signore, come renderti grazie, se persino il mio ringraziarti è una tua grazia di cui devo renderti grazie?"». Potrei continuare a lungo, di detto in detto, di parabola in parabola, ma preferisco fermarmi qui, dove la profondità e la grazia si sciolgono in leggerezza. La storia non è un progresso, ma una continua perdita. L´Islam ha perduto la parte cristiana della sua anima e ne vediamo le conseguenze. Il cristianesimo ha dimenticato Paolo, Giovanni, Agostino, Giovanni Scoto, Pascal, ed ignora la mistica sufi, che è una specie di Islam cristiano. Noi, purtroppo, non riusciamo a vederne le conseguenze.