Michele Smargiassi, la Repubblica 16/05/2009, 16 maggio 2009
CARTOLINE PER I PRONIPOTI
Il brivido della storia ti assale nel terzo stanzone, lo scrigno che conserva le perle più preziose. Cédric Grassent, archivista-capo, manovra un timone nero, gli armadi grigi scorrono su rotaie, si schiude un varco nel muro di metallo, come quando si apre il guscio dell´ostrica, e dentro, già protette da culle di cartone acid-free o ancora in vecchi stazzonati faldoni, ecco le immagini dell´ultimo mezzo secolo della nostra storia. Da ieri sono ufficialmente depositati qui cinquanta milioni di istanti del passato, congelati per il futuro. Il lavoro di diecimila fotografi, che riempie sette chilometri di scaffali. Vietnam, maggio francese, rivoluzione iraniana, Cambogia, Solidarnosc, Israele, caduta del Muro? Icone della memoria visiva del mondo lasciate in eredità ai posteri, cartoline del passato spedite a chi non è ancora nato.
Un brivido vero ti corre lungo la schiena. Ti stringi nella giacca primaverile. Tre gradi sotto zero. Umidità 40%. Le gelatine delle diapositive e le emulsioni dei negativi stanno bene, al fresco. Noi umani un po´ meno. Ma siamo noi gli intrusi, qui dentro. L´archivista fa cortesemente fretta verso il portellone ermetico: stiamo turbando il microclima col calore tremulo dei nostri corpi viventi. Usciamo dunque, lasciando la più grande collezione fotografica del mondo continuare il suo lento ma inesorabile cammino verso l´ibernazione. Fra qualche anno il termometro segnerà meno 20, poi resterà così per sempre. Come gli scheletri dei mammut, la storia rovente del Secolo Breve sarà consegnata ai secoli futuri da una grande glaciazione.
Fuori, il precario sole dell´Ile de France riconforta noi mortali. Siamo a Garnay, un´ora di pullman da Parigi, oltre Versailles. Qui Bill Gates ha comprato nel 2004 da Locarchives, azienda specializzata, un edificio, una grande zolletta bianca sul prato verde, per farne un surgelatore della memoria. l´impresa più impegnativa di Corbis, società che il re del software fondò vent´anni fa, nel 1989, per raccogliere e rivendere immagini di ogni genere in formato elettronico.
Corbis (dal latino: canestro) è un nome che dice poco ai più. Ma c´è un motivo se, pur avendo lasciato la gestione diretta della sua Microsoft, Gates ha tenuto con sé questa figlia minore. Convinto che il business più succulento del Web siano i "contenuti", in particolare le foto, arrivò a raccoglierne una quindicina di milioni in un affascinante bunker sotterraneo in Pennsylvania. Ma quando nel ´99 ebbe l´occasione di acquistare anche l´archivio di Sygma, nobile agenzia fotografica parigina, i problemi si presentarono su ben altra scala.
Con Sipa e Gamma, Sygma è una delle tre "sorelle in ?a" del fotoreportage di gran scuola francese. La fondò nel 1973 Hubert Henrotte, fuoriuscito proprio da Gamma. Collettivo di fotografi autogestiti, ma a differenza della Magnum di Capa, niente superstar: la forza di Sygma è stata l´insieme, la professionalità, la rapidità, la capillarità. Sygma era dappertutto, sempre, e subito. Dentro le trincee di tutte le guerre, davanti ai tavoli di tutte le paci. Poi, sul finir del secolo, la crisi dei news magazine, la concorrenza digitale: Sygma non ce la faceva più, il denaro di Corbis sembrò la salvezza. Non fu esattamente così. Agli uomini di Gates non interessava gestire un´agenzia fotografica: puntavano all´archivio. Quello unico al mondo di Sygma, arricchito da altri acquisiti nel tempo: Kipa, TempSport, Apis, Fornier, Interpress. Ribellione dei fotografi ridotti a freelance, scioperi, cause legali, strip-tease di protesta, la «scandalizzata» solidarietà del pontefice francese della fotografia, Henri Cartier-Bresson: «Una banca dati anche ben composta non eguaglierà mai un lavoro d´autore». Ma alla fine Sygma, come agenzia vivente, sparì, e forse era destino. «Noi lavoriamo per dare un futuro al passato», è la morale di Gary Shenk, presidente esecutivo di Corbis, tra i brindisi per l´inaugurazione del "Sygma Preservation & Access Facility" di Garnay. «Le polemiche sono finite, abbiamo risolto la questione dei diritti e della proprietà delle immagini, molti fotografi che se n´erano andati sono tornati ad affidarci il loro lavoro, hanno capito che è il miglior modo di salvare un autentico patrimonio dell´umanità».
Shenk è un harvardiano dall´aria di eterno studente. Chiama Gates per nome, «Bill è entusiasta di quest´avventura». Quanto la vendita delle immagini del passato sia redditizia, è difficile farselo dire. Shenk rivela solo che «le foto storiche sono il 10 per cento del nostro fatturato». Le parti più vendibili dell´immenso archivio Sygma sono in realtà le serie People, i ritratti dei personaggi famosi. In questo, l´agenzia parigina fu insuperabile: negli anni Ottanta inventò la formula del "rendez-vous" con divi e divine, non più scatti al volo ma set progettati in anticipo. Il Mandela, il Borges, la Bardot di Sygma sono tra i ritratti più freschi che un photo-editor possa desiderare. Il core business di Corbis sono, insomma, le foto che Shenk chiama «non replicabili»: momenti unici della storia, o visioni uniche di una personalità.
L´unicità però è fragile. Riposa su supporti deperibili: carta, acetato, celluloide. Di quei 50 milioni di immagini, solo 800 mila sono state digitalizzate. E al ritmo di 10-15 mila all´anno ci vorrebbero una trentina di secoli per duplicarle tutte. Bisogna usarle così come sono. Ma per molti documenti la liquefazione è già iniziata. E qui entra in scena il mago del freddo: Henry Wilhelm, rosso di capelli, gioviale scienziato dello Iowa, è il più grande esperto al mondo di conservazione della fotografia. «Prima mettere al sicuro, poi utilizzare», è il suo verbo. «Anche se un giorno tutte queste immagini fossero digitalizzate, dovremmo lo stesso conservare gli originali, molto più ricchi di informazioni delle copie». Le regole del gran freezer le ha dettate lui. Stanze a diversa temperatura. Corridoi di aspirazione delle polveri intruse. Sensori che correggono la composizione dell´atmosfera artificiale. Verdi estintori a gas inerte, Argon 55, per spegnere eventuali fiamme senza distruggere i documenti.
Sembra perfetto, ma non lo è fino in fondo. In alcuni locali la temperatura, 18 gradi, è ancora troppo alta. Ma non può essere abbassata, per ora. L´archivio è tanto immenso quanto semisconosciuto. A parte le poche digitalizzate, l´unico modo per capire se una certa foto esiste è cercarla alla vecchia maniera: sfogliando a mano. Aiutati da un indice generale che però fa solo arrivare vicini al bersaglio. In un angolo dei sette chilometri di scansie potrebbe esserci la foto del secolo, che perfino l´autore ha dimenticato. «Ogni ricerca è una sorpresa anche per noi», ammette Grassent l´archivista. Ma questo è il guaio: sono ricerche lunghe, e lo staff (sei archivisti e dieci impiegati) non può essere costretto a lavorare per ore al Polo Nord. Così, fino a quando non esisterà almeno un repertorio un po´ più dettagliato, la temperatura resterà sopra la soglia di sopportazione, e questo faciliterà anche l´accesso esplicitamente garantito ai ricercatori di oggi, storici, studiosi, giornalisti. Ma col grande freddo conservazione e accesso entreranno probabilmente in conflitto. Se sarà sempre possibile far scongelare temporaneamente un´immagine per studiarla o riprodurla, per trovarla dovrai già sapere che c´è (e dov´è), oppure dedicare ore di pazienza a cercarla. Ma un viavai da biblioteca comunale distruggerebbe l´equilibrio del freddo, e comunque neanche un cercatore d´oro del Klondike scartabellerebbe a venti sottozero. Le foto inedite, mai riprodotte né singolarmente schedate, di cui poco o nulla sappiamo, le sorprese insomma, non le troveremo mai? L´alternativa, certo, era non trovarle più fra pochi anni, ormai sciolte come neve al sole. La scelta della conservazione ghiacciata «per le generazioni future» è una necessità, il cui merito va riconosciuto a Corbis; ma il prezzo inevitabile sembra essere un certo allontanamento dallo sguardo dei contemporanei. Le scoprirà qualcuno, un lontano giorno. Immagini a consumo differito, come certe provviste domestiche. Quando Grassent sbatte con un sordo tonfo tecnologico la porta blindata del frigo di Garnay, abbiamo la sensazione di chiudere là dentro i surgelati dell´autocoscienza di un secolo.