Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 21 Giovedì calendario

SCHWARZENEGGER AFFONDA SULLE TASSE


«Schwarzenegger era un attore di film d’azione. Dopo questa scon­fitta può prepararsi a un film del genere apocalittico» dice il politologo John Pit­ney. E Barbara O’Connor, di­rettrice dell’Istituto di studi politici della California State University di Sacramento, prevede per la California e il suo governatore un’estate «lunga e bollente».
«Vedremo – continua la O’Connor – cose brutali, gli elettori che hanno bocciato le misure per contenere il de­ficit si accorgeranno che il cielo sta cadendo davvero».

Col voto di martedì i citta­dini della West Coast hanno respinto ad ampia maggio­ranza gli interventi fiscali (un’addizionale dell’1% sul­l’imposta di consumo, un aumento della tassa di circo­lazione e un incremento del­lo 0,25% dell’Irpef california­na) coi quali il governatore e il Parlamento dello Stato avevano deciso di colmare un deficit di bilancio di ben 21 miliardi di dollari. L’uni­ca «proposition» approvata è quella che vieta ogni au­mento retributivo per parla­mentari e pubblici ammini­­stratori quando il bilancio è in passivo (ieri sono stati ri­dotti del 18% gli stipendi dei funzionari dello Stato con ca­riche elettive). I commentatori preparano il necrologio politico di Schwarzenegger le cui rifor­me erano già state bocciate quattro anni fa dai california­ni. Allora «Terminator» ave­va recuperato «aprendo» ai democratici e nel 2006 era stato rieletto. Ora, a meno di due anni dal termine del mandato, la sua carriera poli­tica sembra compromessa.

Gioiscono gli ultraconser­vatori antistatalisti del Tea Party, che si richiamano alla «rivolta del tè» (Boston 1773) con la quale i coloni americani si ribellarono al­l’invadenza fiscale del gover­no britannico: la prima scin­tilla che portò, tre anni do­po, all’indipendenza degli Stati Uniti. I conservatori an­titasse (Tea sta anche per «Taxed Enough Already», già tassati abbastanza) spera­no che il voto di martedì ali­menti una rivolta nazionale contro l’interventismo di Obama in economia.

Un «remake», insomma, della «Proposition 13»: il voto contro i nuovi tributi che trent’anni fa aprì a Ro­nald Reagan la strada per la Casa Bianca. L’alba di una lunga stagione di «deregu­lation » e di retorica dello Stato «minimo».

Costretto da mesi alla se­mioscurità, anche una parte del partito repubblicano – a partire dal nuovo presidente Michael Steele – ha cercato di cavalcare il nuovo movi­mento. Una vera acrobazia politica, visto che il voto del­l’altra notte è interpretabile come una manifestazione di malessere nei confronti del­l’intera classe politica e visto che in California i repubblica­ni sono, ancor più dei demo­­cratici, nel mirino della prote­sta. Il partito conservatore, infatti, aveva appoggiato e fi­nanziato il comitato referen­dario di Schwarzenegger (pur sempre un repubblica­no), favorevole a tutti gli in­terventi fiscali sottoposti al giudizio degli elettori. Ma aveva poi capovolto la sua po­sizione – dal sì al no su tutti i referendum – quando i suoi dirigenti avevano comin­ciato ad essere maltrattati nei «talk show» televisivi, sempre più dominati da «an­chor men» populisti.

E’ stata una brutta stagio­ne per la California, segnata da una crisi economica, ban­caria, immobiliare e occupa­zionale più grave di quella che affligge il resto del Paese. Ora siamo alla resa dei con­ti: alle prese con un deficit co­lossale da colmare entro lu­glio,
Assente Nel giorno del referendum, Schwarzenegger non era in California. Era ospite di Obama a Washington (Afp) il governo dello Stato sa­rà costretto a tagliare spese essenziali, a licenziare miglia­ia di dipendenti pubblici (so­prattutto insegnanti) e a ri­mettere in strada molti crimi­nali.

Già ieri – prima ancora che Schwarzenegger rientras­se da Washington dove era andato a celebrare la nuova politica di Obama per le auto a basso consumo – in Cali­fornia è iniziata la protesta delle categorie a rischio licen­ziamento.

Difficile che si ripeta un fe­nomeno come Proposition 13: trent’anni fa non c’era re­cessione e la ribellione aveva un obiettivo chiaro: il forte aumento dei tributi sulla ca­sa. Stavolta tutto è molto più confuso: gli interventi fiscali sono numerosi, ma hanno tutti un’entità limitata. C’è malumore per come il deficit è stato colmato, ma i fautori dello «Stato minimo», ora che il Paese è in recessione, non sembrano in grado di prendere il sopravvento.

Laboratorio, suo malgra­do, di una politica generaliz­zata di tagli da contrapporre al classico «tassa e spendi», la California rischia davvero di finire in un vicolo cieco. Stando ai sondaggi, la gente vorrebbe salvare scuola, sani­tà, pensioni, servizi pubblici e assistenza, tagliando solo le spese per le carceri e per i par­chi. Ma la Corte federale ha già imposto allo Stato di spendere di più anche per i penitenziari, che sono supe­raffollati e in condizioni di abbandono. Se non riceverà aiuti straordinari da Obama, Schwarzenegger sarà costret­to a colpire il pubblico impie­go, a chiudere molte scuole, a liberare 19 mila detenuti. Per questo gli analisti parla­no di estate bollente per la Ca­lifornia.