Carlo Bastasin, ཿIl Sole-24 Ore 21/5/2009;, 21 maggio 2009
TANTI DEFICIT, UNA SOLUZIONE COMUNE
All’inizio di giugno, prima i ministri delle Finanze, poi i capi di governo europei dovranno riaprire la discussione sul Patto di crescita e di stabilità che disciplina le finanze pubbliche dei nostri paesi. La crisi sta spingendo tutti a chiedere maggior coordinamento, ma al tempo stesso sta svuotando di significato proprio l’unico ambito normativo europeo di armonizzazione dell’azione economica dei governi. Di fronte a disavanzi pubblici che arrivano nel caso dell’Irlanda al 15% del Pil nel 2010 e nel caso della Spagna al 10%, l’intero disegno istituzionale che presiede alle politiche economiche nella zona dell’euro (procedure di deficit eccessivo, programmi di stabilità e, a livello Ue, linee guida economiche) così com’è, può essere o dannoso o non credibile. Dannoso, se verrà mantenuto di nome, ma svuotato di fatto, evitando di applicare ogni sanzione ai governi indebitati e già in difficoltà. Non credibile, se la disciplina rigorosa dei bilanci verrà difesa, pur sapendo che i governi non potranno rispettarla. In tale dilemma è necessario uno sforzo politico per creare qualcosa di nuovo.
Dopo l’ultima riunione dei ministri dei paesi euro, i pericoli sono emersi chiaramente: da un lato il ministro francese Christine Lagarde ha proposto di mantenere la struttura del Patto così com’è, concordando però tacitamente un’ampia tolleranza sia sui tempi di rientro sia sulle dimensioni dei disavanzi. Dall’altro lato Jürgen Stark, membro della Bce e autore materiale del Patto voluto da Theo Waigel tra il ’95 e il ’97, ha chiesto il rispetto delle norme nella loro forma attuale. I giornali tedeschi parlano di uno scontro in atto - molto nascosto all’opinione pubblica - tra i governi della zona euro.
Il problema di un Patto poco credibile non è tanto d’efficacia economica, quanto di sostanza politica. I disavanzi previsti sono così alti e i tassi di crescita del Pil così bassi, che una struttura come quella del Patto, costruita per rientri rapidi verso l’equilibrio di bilancio, non ha senso. Secondo le fonti tedesche, anche a Bruxelles si ragiona su tempi di rientro dei disavanzi nell’ordine dei cinque- dieci anni. Significa che qualsiasi governo dovrebbe prendere impegni stringenti che determinano la politica economica anche dei governi successivi, benché votati da nuovi Parlamenti in seguito a nuove elezioni. inutile far finta che il problema politico non esista. Prima o poi qualche elettore si ribellerà al fatto che il proprio voto sarà inutile a determinare le scelte di bilancio del proprio governo. E tanto per cambiare si rivolterà contro l’Europa.
Opportunità economica e opportunismo politico giocano contro il Patto. La recessione è ancora così viva che il Fondo monetario chiede ai governi europei maggiore stimolo, non minore, alla loro economia. Il mese scorso José Luis Zapatero ha sostituito al ministero delle Finanze l’ex commissario europeo Pedro Solbes, sostenitore di una condotta prudente dei conti pubblici.
A denunciare l’insostenibilità del Pattoè stato il ministro olandese Wouter Bos, che ha messo in dubbio che la natura delle norme attuali sia adatta a una crisi tanto grave. L’Olanda è sempre stato il paese più rigorista e la scelta di Bos ha sorpreso il governo di Berlino. Ma oggi anche in Germania i temi di finanza pubblica che stanno a cuore alla politica sono le proposte di tagliare le tasse con cui Angela Merkel e il suo sfidante Frank-Walter Steinmeier si contendono le elezioni federali di settembre. Così il fronte dei difensori del Patto di stabilità sembra francamente debole.
Il 18 febbraio scorso la Commissione ha pubblicato i rapporti che denunciano i deficit eccessivi di Francia, Spagna, Grecia e Irlanda. Un atto dovuto per legge, di cui i governi hanno riconosciuto la legittimità in un momento in cui non avevano altra scelta: gli spread sui titoli pubblici dei diversi paesi stavano pericolosamente ampliandosi e votare contro la Commissione avrebbe significato togliere credibilità al Patto che presiede proprio alla convergenza fiscale dei paesi europei.
Il margine di discrezionalità del Patto è d’altronde aumentato enormemente dopo la revisione del 2005. Da allora la funzione preventiva del Patto scatta in modo non automatico e in base alle specificità del singolo paese (riforme strutturali o andamenti demografici), mentre la funzione dissuasiva è attenuata da ampie deroghe ("fattori rilevanti" o "severe recessioni") che dilatano tempi e sanzioni. Tutti i ministri sanno che le "circostanze eccezionali" in cui le economie si trovano giustificano interpretazioni del Patto tali da rinviare l’applicazione delle sanzioni fino al 2017. Ancora una volta aprendo un dilemma politico: a pagare le sanzioni sarebbe infatti un governo diverso da quello sanzionato. Ma non ci sarà bisogno di aspettare tanto per verificare la perdita di credibilità del Patto di stabilità: il prossimo anno,13 dei 16 paesi dell’euro registreranno disavanzi eccessivi, è molto dubbio che gli stessi sedici ministri possano votare a maggioranza qualificata qualsiasi procedura d’infrazione contro chiunque di essi.
Tanto vale rinunciare al Patto?Un’interpretazione diffusa sostiene che i mesi scorsi abbiano dimostrato che più del Patto sono i mercati finanziari a disciplinare i comportamenti pubblici. L’apertura degli spread ha alimentato i rischi di default e i due paesi più colpiti, Irlanda e Grecia, pur in misura diversa, hanno reagito correggendo l’azione di governo. Ma si tratta di un’interpretazione che non convince. I problemi finanziari degli Stati europei sono di lungo periodo, mentre i mercati sembrano intervenire, come acceleratori, solo alla vigilia delle crisi. Inoltre, l’instabilità di ogni paese nasconde un potenziale di contagio enfatizzato, non limitato, dai mercati e ciò giustifica interventi preventivi comuni di tutti i paesi.
I governi europei si trovano di fronte a un problema comune e di lungo termine di finanza pubblica. Per risolverlo hanno bisogno di una cornice istituzionale che renda credibile l’impegno al rientro dei disavanzi, riducendone il costo. Ma ogni paese affronta situazioni così eccezionali da poter essere valutato solo nel merito delle proprie scelte di riduzione dei deficit e di stimolo della crescita. Cioè nel merito dell’azione politica di governo. L’impegno di lungo termine nella riduzione dei disavanzi porrà anche problemi di legittimità politica degli impegni presi dai governi per il loro paese. Il Patto non è sufficiente a risolvere questo problema complesso di attribuzione politica delle competenze e delle responsabilità. Introdurre elementi discrezionali e analisi qualitative nel giudizio europeo sulle politiche economiche dei singoli Stati significa infatti riconoscere, di fronte all’opinione pubblica, la necessità di un comune governo dell’economia europea. Di questo dovrebbero avere il coraggio di discutere i capi di governo al vertice Ue di giugno.