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 2009  maggio 21 Giovedì calendario

COSSIGA INDOSSA LA TOGA DI AVVOCATO E ATTACCA IL GIUDICE GANDUS: DOVEVA ASTENERSI DAL GIUDIZIO PERCHE’ HA SEMPRE ODIATO POLITICAMENTE IL CAV


Pubblichiamo ampi stralci delll’interrogazione che il senatore a vita Francesco Cossiga ha presentato in aula al ministro della giustizia lo scorso 28 giugno 2008 sui passati «politici» del giudice Gandus.

Si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti di seguito riportati: il magistrato dottoressa Nicoletta Gandus, Presidente del collegio della decima sezione penale del Tribunale di Milano, davanti al quale si sta celebrando un dibattimento nei confronti dell’on. Silvio Berlusconi, ha avuto modo, in un recente passato, di prospettare pubblicamente ed anche per iscritto reiterate, insistenti e fortissime critiche nei suoi confronti, quale Presidente del Consiglio dei ministri fra il 2001 e il 2006, appoggiando apertamente la formazione politica a lui avversa di centrosinistra e affermando altresì, la necessità di abrogare tramite tale formazione politica, leggi ritenute promulgate durante il Governo presieduto dall’on. Berlusconi solo ai fini di favorire se stesso;

nel sito web www.megachip.info è pubblicato un documento intitolato: «Appello per la Giustizia - Un impegno per la giustizia». Tale documento era stato redatto nel febbraio del 2006 e si proponeva di richiedere alla nuova maggioranza di governo, che sarebbe dovuta scaturire dalle imminenti elezioni, l’abrogazione di una serie di leggi che, a parere dei firmatari, avrebbero devastato il «nostro sistema giustizia». Il testo deve essere riportato nella sua interezza perché è perfettamente esemplificativo del pensiero della dottoressa Gandus nei confronti del Presidente on. Berlusconi e del Governo da lui presieduto: «Si sta chiudendo una delle più tormentate e controverse legislature della storia repubblicana e c’è oggi la prospettiva di un cambio di governo. Ma deve cambiare anche il modo di governare: dal punto di vista costituzionale e dei rapporti tra cittadini ed istituzioni. Il lavoro che attende il nuovo governo è quindi di enorme complessità e responsabilità e si estende a settori di grande importanza per la collettività: l’informazione, la sanità, il lavoro, l’ambiente e i beni culturali, la ricerca, l’istruzione, la politica fiscale e tributaria. Importanti riforme di sistema sono necessarie anche per ridare ai cittadini fiducia nella giustizia. Ma in questo settore noi tuttavia riteniamo che vi sia una inderogabile priorità: la cancellazione delle principali leggi che sono state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire gli interessi personali di pochi, ignorando quelli della collettività. Si tratta di leggi che - a prescindere da ogni altra considerazione - hanno devastato il nostro sistema giustizia e compromesso il principio della ragionevole durata dei processi. Alcune di queste leggi, pur da riformare, sono state disinnescate dalla Corte costituzionale (ad esempio il cosiddetto «lodo Schifani», cioè la legge 20 giugno 2003, n. 140, sulla sospensione dei procedimenti per le alte cariche dello Stato) o dai giudici di merito e dalla Corte di Cassazione (è avvenuto per la legge sulle rogatorie 5 ottobre 2001, n. 367, e la cosiddetta «legge Cirami», 7 novembre 2002 n. 248, sullo spostamento dei processi per legittimo sospetto). Ma per altre leggi è necessaria l’abrogazione immediata: solo con la loro abrogazione, infatti, sarà possibile restituire credibilità al Paese sul piano internazionale e dignità ai governanti e ai rappresentanti politici ed ottenere la partecipazione della collettività nazionale agli sforzi necessari per ricostruire una scala di valori condivisi. Le leggi che devono costituire oggetto di abrogazione già nei primi mesi della legislatura sono: la legge di «depenalizzazione» del falso in bilancio (dlgs 11 aprile 2002, n. 61), che rappresenta la tipica traduzione in termini normativi della cultura della illegalità e contrasta con la tendenza mondiale a punire con maggiore severità la false comunicazioni in materia societaria; la cosiddetta legge «ex Cirielli», 5 dicembre 2005, n. 251, definita «obbrobrio devastante» dal Presidente della Corte di cassazione, che ha di fatto introdotto nuove cause di impunità per i potenti (attraverso la prescrizione breve dei reati, anche gravi, commessi dagli incensurati) e pesanti discriminazioni verso i recidivi anche per reati non gravi: dunque, incentivi a manovre dilatorie ed il prevedibile aumento della popolazione carceraria saranno l’effetto di un diritto penale per tipo d’autore; la barbara riforma della legittima difesa approvata definitivamente il 24 gennaio 2006, che introduce una presunzione di proporzionalità tra i delitti contro il patrimonio in ambiente privato e la reazione violenta con armi da fuoco contro chi ne è responsabile; la cosiddetta «legge Pecorella» sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, approvata definitivamente il 15 febbraio 2006, che, a parere di molti, altera il principio costituzionale della parità delle parti nel processo e, dilatando le possibilità di ricorso alla Corte di Cassazione, parzialmente la trasforma in giudice di merito, ingolfandola e rendendo ne ingestibile l’attività. L’impegno di coloro che intendono formare il futuro Governo deve estendersi inoltre alla sospensione immediata della efficacia di tutti i decreti legislativi di attuazione delle legge di riforma dell’ordinamento giudiziario (legge delega n. 150 del 2005): solo così potrà essere predisposto e realizzato un progetto di riforma di ampio respiro, utilizzando i contributi del Csm, degli accademici, della magistratura associata, degli avvocati e delle associazioni dei giuristi e del personale amministrativo. Chiediamo allora a tutti coloro che parteciperanno alla prossima campagna elettorale un impegno espresso, preciso e incondizionato ad operare immediatamente per l’abrogazione di queste leggi, che non sia diluito in promesse di riforme generali nei vari settori dell’ordinamento. L’assunzione di tale impegno è condizione e garanzia irrinunciabile perché, come giuristi e come cittadini, possiamo confidare nella volontà degli eletti di ripristinare effettivamente, non solo in questo campo, le regole fondamentali della democrazia. 16 febbraio 2006».

A parere dei firmatari, dunque, le leggi citate, oltre ad essere causa di «impunità per i potenti» ed essere «state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire gli interessi personali di pochi, ignorando quelli della collettività» e quindi con ogni evidenza riferibili al presidente Berlusconi, debbono trovare «abrogazione immediata». (...) A ciò si aggiunga che firmatario dell’impegno è anche il dottor Sergio Spadaro che è il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano che segue, insieme al dottor De Pasquale, i provvedimenti milanesi nei confronti dell’on. Berlusconi. (...) Sul sito di Magistratura democratica è riportato un altro intervento della dottoressa Gandus intitolato «Giustizia a Porto Alegre» durante un congresso. In tale sede la dottoressa Gandus affermava: «Del «caso italiano» hanno parlato in molti, a cominciare proprio dalla Robinson e da Garzon: perché è certamente vero che la situazione dei giudici in molti paesi (in particolare del cosiddetto terzo mondo) è infinitamente peggiore di quella italiana, ma è altrettanto vero che la messa in discussione delle prerogative costituzionali di autonomia ed indipendenza, del ruolo di controllo della legalità della magistratura in Italia, considerata fino ad ora un modello, fa scandalo a livello internazionale»; anche in tal caso è legittimo il diritto di critica, ma non si comprende come il giudice possa in caso siffatto essere ritenuto o apparire terzo rispetto all’imputato Berlusconi, Presidente del Consiglio dei minsitri e quindi conlamato avversario politico.(...) Silvio Berlusconi è l’avversario politico in tutti i campi; nella giustizia, negli assetti costituzionali del paese, nelle questioni morali, nella politica estera (...). Infine si deve porre in evidenza come la dottoressa Gandus appaia fra i soggetti potenzialmente danneggiati nel processo collegato, da cui nasce il processo, avendo posseduto azioni Mediaset ed essendo quindi fra quei soggetti che potenzialmente avrebbero potuto costituirsi parte civile anche nei confronti dell’on. Berlusconi, e che a tutt’oggi, anche dopo la declaratoria di prescrizione del reato, possiedono legittimazione attiva per proporre azione civile contro il medesimo; per tutto quanto sopra esposto, una prima considerazione si impone: la dottoressa Gandus avrebbe dovuto astenersi dal processo ai sensi della lettera h) del primo comma dell’articolo 36 del codice di procedura penale, perché balza ictu oculi la gravità dei presupposti delle «ragioni di convenienza». (...) Ma, a tacer di questo, si deve riconoscere che le reiterate manifestazioni di pensiero della dottoressa Gandus appalesano altresì una «inimicizia grave» nei confronti dell’imputato Berlusconi, ai sensi della lettera d) del citato primo comma dell’art. 36 del codice di procedura penale. Il concetto di «grave inimicizia» che legittima sia la richiesta di astensione, sia la dichiarazione di ricusazione (ai sensi del primo comma lettera a) dell’articolo 37 del codice di procedura penale) deve essere valutato secondo interpretazione teleologica. Se un giudice nutre personalmente profondo astio nei confronti di una parte del processo, ha l’obbligo di astenersi appalesando il motivo (...) La dottoressa Gandus, quindi, si trova in stato di grave inimicizia nei confronti della persona che dovrebbe giudicare. (...) L’inimicizia, dunque, si configura negli elementi fondanti in proprio i presupposti dell’attività del giudice, e cioè il suo essere rispettoso della legge, in questo caso nei confronti del primo motore della legislazione stessa. Le legittime esternazioni della dottoressa Gandus, quindi, appaiono settarie nel contesto di un giudizio penale dove la stessa assume il ruolo di giudice e di presidente del collegio.