Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 17 Domenica calendario

Dopo cinquantratrè anni di fru­strante conflitto (la guerra è comin­ciata nel 1956) con gli enti inutili, ec­co schiudersi un nuovo fronte

Dopo cinquantratrè anni di fru­strante conflitto (la guerra è comin­ciata nel 1956) con gli enti inutili, ec­co schiudersi un nuovo fronte. Quel­lo contro gli enti «dannosi». Avete letto bene: «dannosi». Proprio così li definisce una bozza (anzi, una «boz­zaccia » come la chiama il leghista Ro­berto Calderoli) di disegno di legge al quale il ministro della Semplifica­zione sta lavorando insieme ai suoi colleghi dell’Interno, Roberto Maro­ni, e degli Affari regionali, Raffaele Fitto. Enti non soltanto inutili, ma an­che «dannosi»: quindi da chiudere e poi gettare via la chiave. «Norme di soppressione degli enti dannosi», re­cita testualmente il capo terzo della ”bozzaccia”. Quali sono? I difensori ci­vici, innanzitutto, che dovrebbero scomparire nel momento stesso in cui questa legge venisse approvata. Poi i commissariati per la liquidazio­ne degli usi civici, la cui funzione de­riva da una norma del 1927. E i tribu­nali delle acque pubbliche, istituiti come conseguenza di un provvedi­mento del 1933. Tuttavia questo non è che l’antipa­sto di una riforma destinata a rivolu­zionare Comuni, Province e tutto quello che c’è intorno, ben più rapi­damente della legge delega sul fede­ralismo. Ma anche a scuotere la politi­ca suscitando reazioni controverse. Un esempio? La «bozzaccia» del dise­gno di legge di riforma delle autono­mie locali prevede l’abolizione del li­mite dei due mandati consecutivi per l’incarico di sindaco e di presidente della Provincia. Se la proposta passe­rà, si potrà fare il sindaco a vita, ri­mettendo indietro di anni l’orologio della nostra storia. Una modifica che è fortemente sostenuta dalla Lega Nord, ma che non piace invece al Pdl. E non sarà nemmeno facile far pas­sare i tagli, sacrosanti, stabiliti per i consigli e le giunte comunali e pro­vinciali. I consiglieri dei Comuni con oltre 500 mila abitanti non potranno superare il numero di 40. E così a sca­lare. Per i Comuni minori, fino a 3 mi­la abitanti, il limite massimo è di 6. I consiglieri provinciali non potranno in ogni caso essere più di 30. Fra sin­daco e assessori le giunte comunali non dovranno avere più di 12 poltro­ne. Quelle provinciali, non più di 8. I Comuni fino a mille abitanti non avrebbero nemmeno la giunta, ma soltanto il sindaco. Non sono le uni­che novità. La riforma stabilisce pure che Province e Comuni abbiano un segretario con l’incarico di controlla­re gli atti: nominato non dall’ammini­strazione ma da un organismo terzo, una speciale «Agenzia autonoma per l’efficienza degli enti locali». Facile immaginare le reazioni che provocheranno pure le altre sforbicia­te previste dalla «bozzaccia». Forse ancora più dolorose di quelle appena descritte. Sforbiciate, in numero di ben 1.612 (tanti sono gli enti che ver­rebbero eliminati) recepite da una proposta di legge del deputato del Pdl Mario Valducci, ora convogliata pressoché integralmente in questa ri­forma, di cui rappresenta una delle parti più sostanziose. La tagliola calerà sulle 185 comuni­tà montane. Identica sorte avrebbero i 63 «Bacini imbriferi montani», i 138 enti parco regionali, le 91 Ato, i 600 enti strumentali regionali. E i 191 consorzi di bonifica, pianeta tutto da scoprire. Un caso per tutti: il consor­zio di bonifica delle colline livornesi ha 16 dipendenti ma 33 fra consiglie­ri delegati, deputazione amministra­trice e collegio sindacale. Con regola­re gettone di presenza. Calerà, la tagliola, anche sulla ple­tora dei consigli circoscrizionali. La «bozzaccia» prevede che sopravviva­no soltanto nelle città con più di 250 mila abitanti: una riforma già tentata dal centrosinistra ma affossata nelle paludi della politica. E si capisce per­ché. Il testo unico del 2000 sugli enti locali stabilisce che ci siano le circo­scrizioni soltanto nelle città con più di 100 mila abitanti, lasciando però spiragli anche per chi ha anche appe­na 30 mila residenti. Il risultato è che una città come Asti, con 70.598 abi­tanti, ha 110 consiglieri circoscrizio­nali. A Como, 8 mila anime più di Asti, sono 144. Come ad Ascoli Pice­no, che è forse un caso limite. Perché nel capoluogo marchigiano, 50.135 abitanti, c’è un eletto ogni 348 cittadi­ni, contro un rapporto di uno a 5.178 per Roma. E le Province? Dopo le vane pro­messe elettorali di abolirle («tutte», tenne a precisare Silvio Berlusconi) sono state salvate dalla legge sul fede­ralismo. E pure da questa riforma. Anche se qualcuna potrebbe rischia­re. Entro due anni il governo dovrà fare un decreto per razionalizzare le province, prevedendo fra l’altro la soppressione di quegli enti con un rapporto non ottimale fra popolazio­ne ed estensione territoriale. Ne ve­dremo delle belle, sempre che la «bozzaccia» arrivi al Consiglio dei mi­nistri, si prevede il mese prossimo, con tutto quello che c’è dentro ades­so. Manca solo un argomento, forse il più spinoso: l’incompatibilità degli incarichi. Ma questo, in un Parlamen­to nel quale ci sono 70 deputati e se­natori che fanno anche i sindaci, gli assessori, i consiglieri e perfino i pre­sidenti di Provincia, è davvero un’al­tra storia.