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 2009  maggio 16 Sabato calendario

ORESTE DEL BUONO: SE L’INSODDISFAZIONE DIVENTA LETTERATURA


Un assaggio di Odb prima della grande abbuffata. Si comincia con Facile da usare, un romanzo del 1962 or­mai introvabile, composto da «cinque racconti contigui» che insieme compon­gono un romanzo a ritroso. Il libro è una delle prime uscite di una nuova collana, Novecento italiano, curata da Guido Davi­co Bonino per Isbn che viene presentata domani al Lingotto (Spazio Autori A, ore 11.30). Ma Facile da usare è anche l’antici­pazione appena arrivata in libreria (pp. 124, e 10) di un’operazione più corposa: un Antimeridiano in due volumi – il pri­mo in uscita all’inizio del 2010 – dedica­to a Oreste del Buono, uno dei personag­gi della cultura più eclettici del dopo­guerra scomparso nel 2003, a 80 anni.

Anche l’Antimeridiano (il secondo di Isbn dopo quello dedicato a Bianciardi) sarà a cura di Guido Davico Bonino che a Odb era legato, oltre che da comuni vi­cende editoriali, anche da una grande amicizia. « un’operazione necessaria’ dice Davico Bonino – perché a volte ci si dimentica che Oreste è stato uno degli scrittori più fini del dopoguerra. A lungo ci si è concentrati su ciò che colpiva di più, e cioè la sua estrema versatilità che lo ha portato dalla critica cinematografi­ca sull’’Europeo’ alla scoperta del gran­de fumetto con ’Linus’, dalla storia del giallo moderno alla televisione con Al­bum di famiglia, dallo sport al comico, basti pensare al libro con Gianni Rivera e alla pubblicazione delle Formiche che causarono la rottura con Einaudi, fino al­la critica letteraria. Tutto ciò era figlio di una scontentezza e di un’inquietudine straordinarie». Le stesse, ricorda Davico Bonino, che lo spinsero a cambiare conti­nuamente posto, editore, ruolo. «Di que­sto ho un ricordo personale. Sono entra­to all’Einaudi nel ”61, a 23 anni, nel posto che era stato di Italo Calvino. Quando, 17 anni dopo, me ne sono andato sbattendo la porta, mi telefonò per dirmi: ’ inutile che ti dai tante arie, io mi sono dimesso 70 volte’. Forse non erano 70, ma ci an­diamo vicino. D’altronde, è famosa an­che quella volta che Giulio Einaudi lo convocò a Torino per parlargli. Lui arrivò in via Biancamano, Giulio era di cattivo umore e lo fece aspettare. Oreste rimase lì un’ora, poi andò a mangiare al Cambio e riprese il treno senza incontrarlo».

Dalla personalità di Odb discende di­rettamente anche la necessità di racco­gliere oggi, in forma sistematica e crono­logica, le sue opere. «Sì, perché la sua continua insoddisfazione e scontentezza di tutto si riversava nel rapporto con ciò che scriveva. Non era mai soddisfatto, il suo sogno era di far sparire quello che aveva fatto. Quando accettava che un li­bro circolasse, era un continuo ripensar­ci. Se, per esempio, un editore lo chiama­va per dirgli che si doveva ristampare un romanzo, lui cercava di fare modifiche, di rimetterci le mani».

L’episodio più eclatante lo cita anche Ermanno Paccagnini nel saggio in chiu­sura di Facile da usare, saggio non a ca­so intitolato «La sintassi del disagio». Da­vico Bonino lo ricorda bene: «Nel ”74 stampammo da Einaudi cinquemila co­pie del suo La fine del romanzo, nei Su­percoralli. Lui mi telefona e mi dice: ’Non voglio che esca’. Gli dissi ’Ma or­mai sono stampate’. ’Le compro tutte’ mi rispose. E così fece. Tutto questo per­ché il libro aveva un epilogo che a noi non convinceva, lo ritenevamo super­fluo. Glielo dicemmo, spingendolo a ta­gliarlo. Lui disse sempre no, però poi continuò a tormentarsi, al punto da fare uno sforzo finanziario notevole pur di to­glierlo di mezzo e di non vederlo in libre­ria. Era come l’Heautontimorumenos di Terenzio, un punitore di se stesso».

Del Buono narratore è una figura da ri­scoprire, prima di tutto ricostruendo cro­nologicamente proprio il suo percorso letterario, anche perché il rischio è che di lui sopravviva soprattutto l’aspetto più pop. «Invece il suo è un profilo che com­prende ogni cosa. Era uno che aveva let­to tutto, come Sciascia d’altronde, che lui stimava molto. Aveva tradotto Mau­passant, Gide, Diderot. Ed è stato un nar­ratore sperimentale straordinario, quasi senza darlo a vedere. Non è un caso che il gruppo 63, assieme a tante sciocchez­ze, come considerare Cassola la Liala del­la letteratura, lo mise con Malerba tra i promossi, lo chiamavano il Michel Butor italiano». Da una raccolta completa delle sue opere emergerà, secondo Davico Bo­nino, anche la grandissima coerenza te­matica. «L’idea centrale dell’inetto, del­l’impotente esistenziale che passa dall’au­toesaltazione al disprezzo di sé più pro­fondo ricorre in tutte le sue opere e si in­serisce appieno in quel grande filone del Novecento che lega L’uomo senza quali­tà

a La coscienza di Zeno. E poi c’è una grande modernità nella struttura del ro­manzo e in quello stile franto, che proce­de per sospensioni. L’idea è ricostruire questo itinerario che comincia nel ”45 con Racconto d’inverno e procede dritto fino all’89 con La vita sola costituendo un corpus straordinario, forse unico».