Alain Elkann, la Stampa 17/5/2009, 17 maggio 2009
I MANAGER DEVONO ESSERE PIU’ COLTI, INTERVISTA AD ALBERTO MEOMARTINI
Alberto Meomartini, che effetto le fa essere il nuovo presidente di Assolombarda?
«Lavoro all’interno di Confindustria e di Assolombarda da più di 12 anni e sono membro della giunta. Mi occupo soprattutto dei temi di educazione e cultura. Vivo questo nuovo incarico come un apprezzamento e mi fa molto piacere. Mia madre non mi avrebbe fatto i complimenti in questa occasione, ma se fosse viva mi avrebbe detto: ”Ti sei assunto una bella responsabilità”».
Quale responsabilità?
«Ridare a un’associazione particolarmente importante come quella degli industriali milanesi un mandato che è ancora più preciso e vincolante di quello di un dirigente: si tratta di un mondo molto variegato e complesso».
In che senso?
«E’ un mondo fatto di grandi e di piccole imprese».
Che cosa intende per grandi e piccole imprese?
«A Milano hanno sede aziende come Telecom, Mediaset, Eni, Mapei. e anche una gran quantità di imprese che hanno meno di 50 addetti».
Le piccole sono più trascurate?
«Hanno problemi talvolta difficili da affrontare. In questo momento l’accesso al credito».
E voi li aiutate?
«Assolutamente sì. L’associazione deve farsi carico di questi problemi e rendere un servizio a chi lo può affrontare soprattutto tramite l’associazione. Questa crisi sta attraversando tutto il sistema delle imprese. Finora il tessuto industriale nell’area milanese ha mostrato una capacità di resistenza alla crisi molto confortante. Certo ci sono state chiusure, ma la catastrofe non è avvenuta».
Lei sia come presidente di Snam Rete Gas e sia per la Confindustria si è sempre occupato molto di ricerca e università. A che punto siamo?
«Sono convinto che le aree del mondo che si sviluppano di più non sono quelle dove ci sono singole eccellenze (impresa, università, istruzione) ma quelle in cui queste categorie stabiliscono relazioni tra loro. E’ il ”sistema” che premia. Per istituzioni intendo sia quelle governative sia quelle culturali».
Qual è la pagella delle Università?
«Non è vero che il nostro sistema sia all’ultimo posto nelle classifiche, abbiamo anche noi università eccellenti».
Qual è il suo rapporto con la cultura?
«La mia esperienza di dirigente d’azienda mi ha consentito di poter dedicare molto impegno alla passione per la cultura. Conoscere tutto quello che non conosco. Sono considerato un lettore di libri quasi onnivoro e ho una grande passione per la scrittura. Penso molto sovente alla mia meravigliosa amicizia con Emilio Tadini. Per me era un punto di riferimento, coniugava con grande talento pittura e scrittura».
L’Assolombarda si occuperà di cultura?
«Spero e penso di sì. In fondo uno dei grandi cambiamenti negli ultimi trent’anni è stato quello di essere vivi in una società viva, fatta anche di aspirazioni culturali».
Lei mette quindi in primo piano la figura di un industriale come Adriano Olivetti?
«Certamente. In questo senso mi sento un manager anomalo. Ma penso che un dirigente d’azienda non possa considerare solo la visione delle sue imprese senza guardare a quello che gli sta intorno. Sono convinto che dietro questa questa crisi drammatica ci sia anche una crisi di pensiero».
E quindi?
«La difficoltà di avere una visione di lungo periodo. Questo è stato il vero problema, guardare solo a breve è stato un grave errore. Incontro molti studenti e scherzando, ma non troppo, dico loro che Paolo Conte agli inizi degli anni ”70 aveva scritto una canzone in cui diceva: ”Cerco ragioni e motivi di questa vita, ma l’epoca mia sembra fatta di poche ore”».
E per Milano?
«Ha una grandissima occasione, di creare idee con un progetto Expo che deve essere un grande momento di creatività e di rappresentazione della cultura aperta. Pablo Neruda diceva che Milano era una città ”minerale”: per trovare le cose di valore bisognava scavare molto».
E lei sta scavando?
«Penso che l’Expo sia un’occasione per riportare alla luce qualità che negli ultimi anni si sono un po’ nascoste sotto terra».
E la cultura a Milano?
«Cercherò, per quanto potrò, di aiutare a consolidare il ”sistema” e la cultura dovrà avere un ruolo privilegiato. Senza un pensiero critico non c’è sviluppo. L’omologazione del pensiero, anche in campo economico, negli ultimi anni è un po’ la riprova di questa convinzione».
Quando usciremo dalla crisi?
«La crisi ha già cambiato pelle. Ci si è resi conto che si può fare qualcosa e quindi non so quando ma posso ipotizzare come».
Come?
«Con qualche regola in più, con uno sguardo più nel lungo periodo perché anche il fine di un’azienda è quello dello sviluppo».