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 2009  maggio 17 Domenica calendario

SFIDA GLOBALE SUI FONDALI DEGLI OCEANI

Da qualche giorno c’è un ingorgo alla divisione Oceani e diritto del mare delle Nazioni Unite. Sri Lanka Costa d’Avorio, Francia, Seychelles, Nigeria, Vietnam, Gran Bretagna… Gran parte degli Stati del mondo si sono precipitati a depositare la loro domanda per estendere i limiti di competenza nazionale, la cosiddetta zona economia esclusiva, oltre le 200 miglia marine dalla costa, 370 chilometri. Il nuovo limite stabilito dagli accordi internazionali è di 350 miglia, 650 chilometri. Ma bisogna dimostrare che il quel tratto di mare la piattaforma continentale si prolunga in mare aperto, con catene montuose sottomarine direttamente collegate al continente.
Le dispute sono inevitabili, anche perché in gioco ci sono interessi enormi. I fondali degli oceani sono le ultime zone vergini per l’esplorazione mineraria, petrolifera, di nuove risorse biologiche in un pianeta sempre affamato di materie prime. Nel 1982, la convenzione di Montego Bay (Giamaica) sul diritto del mare, ha stabilito che gli Stati possono rivendicare diritti esclusivi sullo sfruttamento delle risorse dei fondali della piattaforma continentale. Ora la maggior parte spera di poter allargare i limiti a 350 miglia, anche se i diritti elusivi non varranno per la pesca. Poco importa. Già oggi più di un terzo del greggio prodotto nel mondo viene da pozzi offshore, che arrivano oramai a profondità di oltre tremila metri. E mentre le riserve terrestri di manganese, rame, nickel, cobalto, zinco, piombo si stanno rapidamente esaurendo, l’interesse per i giacimenti sottomarini sta diventando una questione strategica globale.
Per questo 48 nazioni hanno presentato la domanda di estensione, e un’altra quarantina hanno compilato i questionari preliminari. Per tutte quelle che invece non hanno rispettato il termine del 13 maggio il rischio è di non poter più fare rivendicazioni. « un processo che cambierà la faccia della Terra», commenta Lindsay Parson, del National Oceanography Centre di Southampton University. Elie Jarmarche, che coordinail programma francese di estensione della piattaforma continentale al Sécretariat général de la mer, è d’accordo: «Lavoriamo per le generazioni future - spiega -. Gli esperti industriali insistono: è lì che si trovano le risorse del futuro».
Ombre francesi sul Pacifico
Gli Stati che dispongono di mezzi finanziari sufficienti hanno lanciato programmi scientifici ambiziosi. In Francia, Extraplac dispone di un budget annuale di 23 milioni di euro. Ci lavorano una ventina di ricercatori. «Cerchiamo i limiti tra il prolungamento della massa continentale e le piane abissali degli oceani», sintetizza Walter Roest, ricercatore all’Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer (Ifremer).
Ci vogliono criteri tecnici precisi per poter accedere all’estensione: profondità dei fondali, spessore dei sedimenti, natura delle rocce. Una quindicina di campagne di misurazione ha già avuto luogo. La Francia, per l’estensione della sua zona economica esclusiva, oltre dieci milioni di chilometri quadrati, la seconda al mondo grazie ai dipartimenti di oltremare nell’Oceano Indiano e nel Pacifico, ha depositato una decina di domande e rivendica un milione di chilometri quadrati in più. L’Australia ha chiesto - e ottenuto - 2,3 milioni di kmq. Brasile, Nuova Zelanda, Argentina e Russia scalpitano.
Ma bisogna convincere la Commissione sui limiti della piattaforma continentale, un areopago di 21 geologi, geofisici, idrologi e cartografi che si riunisce due volte all’anno a New York per esaminare le richieste. Le discussioni tra i membri, che restano in carica cinque anni, sono tecniche. «Alla Commissione è vietato fare politica», spiega Jarmarche. Niente è deciso in anticipo: Russia e Brasile sono già stati respinti e dovranno presentare una nuova domanda.
Progetti comuni nell’Atlantico
I problemi si moltiplicano quando diversi Stati rivendicano le stesse porzioni di mare. Il conflitto è acuto nell’Artico, dove le nazioni si contendono risorse rese ora più facilmente disponibili dal ritiro delle banchise ghiacciate. Ma non c’è soltanto il Polo. La Francia, per esempio, ha fatto richiesta per le acque a Sud delle isolette Matthew et Hunter, a Est della Nuova Caledonia, nel Pacifico, ma Vanuatu contesta la sua sovranità. L’Argentina rivendica l’estensione della zone attorno alle isole Falkland (o Malvinas), già teatro di una guerra con la Gran Bretagna nel 1982. E nel Mar della Cina ci sono tensioni fortissime tra Pechino, il Vietnam e le Filippine.
La Commissione dei limiti della piattaforma continentale rifiuta di esaminare le richieste conflittuali. Gli Stati devono trovare un accordo prima di sottomettere una domanda in comune oppure garantire che lo faranno davanti a un arbitrato internazionale. Così Francia, Gran Bretagna, Spagna e Irlanda hanno presentato una domanda congiunta per il Golfo di Guascogna. stata accettata ma le quattro nazioni non si sono ancora messe d’accordo sulle nuove delimitazioni.
Le associazioni ambientaliste non vedono di buon occhio questa corsa all’Eldorado sottomarino e vorrebbero che i fondali profondi diventassero un «bene comune dell’umanità». In realtà è previsto un meccanismo di redistribuzione. Il 7% dei proventi dalle nuove zone economiche esclusive dovrebbe finire in un fondo di compensazione per gli Stati meno ricchi o senza coste.