Giovanni Cerruti, La Stampa 17/5/2009, 17 maggio 2009
MILANO LA VELOCE NON CORRE PIU’
Meno male che Mourinho c’è, e almeno lo scudetto del pallone non lascia la Madonnina. Altrimenti, per dirla con il mister portoghese che sa parlare come Gianni Brera, sì che sarebbe una figura da "pirla". Milano ha un primato da festeggiare da ieri sera. Gioia per la città "bauscia", quella degli interisti, e per la famiglia Moratti che ha squadra e sindaco. Ci voleva, ci vuole, sia per Milano e per il sindaco Moratti. Perchè a parte l’Inter non è che da queste parti si vinca tanto, o tanto spesso. Più facile che si perda, come a Malpensa, o che ci si perda, come negli affanni che complicano l’avventura Expo 2015.
Succede pure, ma questa dev’essere un’eccezione, che se ne vada qualche simbolo. Proprio oggi a Milano passa il Giro d’Italia e il problema è proprio che passa. In cent’anni a Milano si è sempre fermato, ultima tappa. Quest’anno finirà a Roma e c’è chi l’ha presa male. «Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha già presentato il percorso per il Gran Premio di Formula 1 - dice il deputato leghista Matteo Salvini- Non è che perderemo anche il Gran Premio di Monza?». Rischio già sfiorato nel 1994, per la verità, anno del primo governo Berlusconi, quando Umberto Bossi minacciò la prima crisi e Gianni Letta si ricorda ancora le fatiche e le mediazioni.
Adesso non è il governo a rischiare la crisi, è la città. E’ Milano con la sua immagine, le sue classi dirigenti, la sua politica del fare, magari anche quella dell’annunciare. Che sia Malpensa o l’Expo o c’è la delusione o cominciano i pasticci. Si bisticcia anche per il nuovo presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, per i nemici più legato a Giulio Tremonti ministro dell’economia che agli interessi della città. E poco importa che sia nato a Milano, abbia incarichi alla Bocconi e perfino nel cda del Museo Poldi Pezzoli. Sarebbe un altro segnale della Milano che non è più quella di una volta, e si rassegna a Roma.
Insomma, parecchia confusione dalle parti del Duomo. E l’Expo, «il fiore all’occhiello della città», come l’aveva definito il sindaco Letizia Moratti sembra piuttosto appassito. Più di un anno perso a battagliare sul nome del manager, Moratti voleva Paolo Glisenti, è arrivato Lucio Stanca, parlamentare Pdl, già ministro dell’Innovazione. E Stanca, alè, debutta coinvolto in un altra baruffa sulla sede di rappresentanza a Palazzo Reale, su chi paga l’affitto, sui compensi al management e una frase lasciata ieri, mentre s’imbarca per la sua prima missione a New York: «Qualcuno gioca per segnare nella nostra porta, per fare autogol».
A Piero Borghini, l’ultimo sindaco riformista nella Milano anni ”90, già city manager del sindaco Moratti, ora consigliere regionale voluto dal Governatore Roberto Formigoni, la metafora calcistica ne fa venire in mente un’altra. «Questa è la città dove ai tempi del Milan di Nereo Rocco è nato il catenaccio. Si gioca per evitare il gol». Ma il bello, o il brutto, è che tutto sta avvenendo nella stessa squadra, nel centrodestra che ha numeri abbondanti per governare città, regione, Expo. E inveca s’adatta alle sciagure tipo Malpensa. Borghini: «A volte sembra che Milano si domandi chi sono, dove vado, cosa faccio?».
A sentire uno che la conosce bene, Milano sta presentando il suo conto. «Succede che qui -dice Nando Dalla Chiesa, tornato al suo mestiere di sociologo e alla sua passione per l’editoria- si è sempre teorizzata la separazione tra politica ed economia. Milano non ha mai avuto una leadership industriale a palazzo Marino.Da quando si è voluta amministrare la città con la logica dell’azienda, prima con Gabriele Albertini e adesso con Moratti, si è persa la guida politica, quella che sa unire e decidere nell’interesse di tutta la città. Il risultato è che questa oltre ad essere una città divisa è una città che non sa muoversi».
Sull’Expo, al momento, è proprio così. Tanto che Roberto Formigoni, dal Canada, si è fatto sentire con un’altra frase che fa capire gli affanni. «L’Expo non può essere una cosa delle istituzioni che litigano tra loro». Così propone gli Stati Generali, come dire smettiamola, mettiamoci attorno al tavolo e non perdiamo più tempo. Benissimo, è il commento di Guido Podestà, il candidato Pdl alla presidenza della provincia, ma non basta. «Ci vuole anche una Legge Speciale. Mettere un punto zero e ripartire in sinergia tra governo locale e governo nazionale». Che è un pò ammettere che finora non c’è stata, la sinergia.
«E’ proprio questo il problema di Milano», dice il sociologo Aldo Bonomi. «Sta sperimentando per prima, come sempre è avvenuto, la transizione che porta alla globalizzazione. Sembra che sia caratterizzata da un vuoto di leadership, la sta ancora cercando e i tempi non saranno brevi. Oggi si vedono cinque città in una: la Milano del commercio e della moda, quella delle banche e della finanza, quella della solidarietà, quella della comunicazione, quella della cintura urbana e della imprese. Ma sono cinque città che non parlano più tra loro, che non riescono a comunicare». Tante identità, nessuna identità. E niente leadership.
Ci possono essere altre spiegazioni, magari più semplici, come quelle di Michelino Crosti, reporter di "Radio Popolare", il decano di Palazzo Marino, dal 1980 non si è perso un Consiglio Comunale. «Una volta i consiglieri rappresentavano la città delle categorie del lavoro, sapevi che i taxisti stavano con i socialdemocratici, i tranvieri con i socialisti, i cantanti della Scala con un dc, l’economia con i repubblicani, le fabbriche con il pci. Adesso in consiglio comunale si rappresentano gli interessi e le lobby. Una nuova linea del metrò non serve per chi va a lavorare, ma per valorizzare un investimento immobiliare».
E va bene, Milano non è più quella di una volta, non c’è più un’osteria che prepari trippa e nervetti e il panettone lo fanno le multinazionali. «Però questa è una città che non ha identità - dice Filippo Penati, impegnato a difendere la provincia di Milano dall’assalto di Podestà e dei voti del centrodestra - Avrebbe l’occasione dell’Expo così come Barcellona nel ”92 ha avuto quella delle Olimpiadi. Barcellona è rinata. Qui invece, pronti via ed è cominciato uno scontro di potere, e proprio nella città della leadeship nazionale. E’ difficile fare squadra quando ognuno dei protagonisti sta giocando una sua partita...».
Il Protagonista dovrebbe essere Berlusconi, ma a Milano si vede poco o niente, l’ultima volta novembre 2007, in San Babila per il "Discorso del Predellino". Tra Abruzzo e immondizia a Napoli è lontano da questa partita che intreccia poteri&affari in una città che sogna l’Expo e si sveglia tra gli affanni. Con le cronache milanesi che titolano su «Buche, cartelli stradali, pali storti: la Milano senza decoro». E cominciano ad occuparsi del destino di Letizia Moratti. «Verrà ricandidata», domandano a Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, formigoniano, possibile successore. «Certo», risponde. Domanda folle un anno fa. Oggi no.
«C’è troppa politica. E questo danneggia l’Expo. Io ci sto mettendo anima e corpo, ma non sono disposto a farmi triturare dalle strumentalizzazioni». Lucio Stanca, amministratore delegato della società che organizza l’Expo 2015 di Milano, ribatte alle critiche che lo hanno coinvolto negli ultimi giorni. Stanca dice di sentirsi sotto attacco di chi lo vuole trasformare nel «mostro da sbattere in prima pagina». Il motivo? «Ci sono le elezioni, è la politica. Qualcuno che vuole mandare messaggi al governo. La politica ci deve essere. Per controllare, verificare. Anche per criticare, ma non per fare polemiche». «Qualcuno - dice l’ex ministro lamentandosi del tempo perso a causa delle critiche - gioca per fare autogol». La Lega nord? «Qualcuno che vorrebbe poter dire che il governo non è in grado di gestire un evento così importante a Milano». Stanca, infine, assicura che il suo non è un messaggio al sindaco Letizia Moratti: «Lei finora mi ha dato tutta la collaborazione possibile».