Silvia Kramar, il Giornale 20/5/2009, 20 maggio 2009
BRITNEY, MA QUANTO MI COSTI? UN MILIONE AL MESE…
Nel 1923 Samuel Barclay Beckett, all’età di diciassette anni, fu ammesso al Trinity College di Dublino per studiare lingue romanze. Si dimostrò uno studente eccezionale e fu preso sotto l’ala di Thomas Rudmose-Brown, professore di francese, che fece il possibile per promuovere la carriera del giovane: gli procurò una docenza alla prestigiosa cole Supérieure de Paris subito dopo la laurea e in seguito un posto al Trinity College. Dopo un anno e mezzo al Trinity, a recitare quella che lui chiamava «la commedia grottesca dell’insegnamento», Beckett rassegnò le dimissioni e fuggì a Parigi. Neppure dopo questa delusione Rudmose-Brown abbandonò il suo protetto. Nel 1937 tentava ancora di riavvicinare Beckett all’università, convincendolo a fare domanda come docente di italiano all’università di Cape Town. /[.../]
L’aspetto della vita professorale che costernava maggiormente Beckett era l’insegnamento. Giorno dopo giorno questo timido e taciturno giovane doveva affrontare in classe i figli della middle class protestante irlandese per convincerli che Ronsard e Stendhal erano degni della loro attenzione. «Era un docente molto impersonale», disse di lui uno dei suoi migliori allievi. «Diceva quello che doveva dire e poi abbandonava l’aula... Credo che si considerasse un cattivo docente e questo mi rattrista, perché era davvero bravo... Sfortunatamente, molti dei suoi studenti concordavano con lui». «Il pensiero di ricominciare a insegnare mi paralizza», scriveva Beckett a McGreevy nel 1931 dal Trinity, nell’imminenza del nuovo semestre. «Penso che andrò ad Amburgo non appena avrò ricevuto il mio assegno di Pasqua... e forse spero di avere il coraggio di liberarmi». Passò un altro anno prima che trovasse quel coraggio. «Certo, probabilmente tornerò strisciando con la coda arrotolata sul mio rovinato poenis /[sic/]», scriveva a McGreevy. «E forse invece no».
Il posto di docente al Trinity College fu il suo ultimo impiego regolare. Fino allo scoppio della guerra, e per un certo periodo anche durante la guerra, fece affidamento su un sussidio derivante dal patrimonio del padre, che morì nel 1933, e su donazioni occasionali da parte della madre e del fratello maggiore. Quando gli riusciva, accettava lavori di traduzione e revisione. Le due opere letterarie che pubblicò negli anni ”30, i racconti Più pene che pane (1934) e il romanzo Murphy (1938), gli portarono poco in termini di diritti. Era quasi sempre a corto di denaro. La strategia di sua madre, come osservò a McGreevy, era «tenermi in ristrettezze perché possa essere spronato all’impiego stipendiato. Detto così sembra più amaro di quanto non si intenda». /[.../]
La relazione fra le migrazioni degli artisti e le fluttuazioni dei tassi di cambio è semplicistica. Tuttavia, non è una coincidenza se nel 1937, dopo una nuova svalutazione del franco, Beckett fu in grado di abbandonare l’Irlanda e tornare a Parigi. Il denaro è un tema ricorrente nelle sue lettere, soprattutto verso la fine del mese. Le lettere da Parigi sono piene di annotazioni ansiose su quanto poteva o non poteva permettersi (stanze d’albergo, pasti). Sebbene non abbia mai veramente patito la fame, viveva una decorosa versione di esistenza alla giornata. L’unico vizio che si concedeva erano i libri e i dipinti. A Dublino si fa prestare 30 sterline per comprare un quadro di Jack Butler Yeats a cui non può resistere. A Monaco acquista l’opera completa di Kant in undici volumi.
Fra gli impieghi contemplati da Beckett c’erano: lavoro d’ufficio (nell’impresa di consulenza edilizia del padre); insegnamento di lingue (in una scuola Berlitz in Svizzera); docenza scolastica (a Bulawayo, nel sud Rhodesia); copywriting pubblicitario (a Londra); pilotaggio di aerei commerciali (nei cieli); interpretariato (fra Francia e Inghilterra); gestione di una proprietà fondiaria. /[.../] Ma era la carriera nel cinema il suo sogno più grande. «Come vorrei andare a Mosca a lavorare per un anno con Eisenstein», scrive a McGreevy. «Quello che imparerei con una persona come Pudovkin», continua una settimana più tardi, «è come maneggiare la telecamera, i trucchi più alti della moviola e così via, di cui ne so quanto di misurazione edilizia». Nel 1936 invia veramente una lettera a Sergej Eisenstein: «Le A casa di Britney Spears la recessione non è ancora arrivata. Almeno a giudicare dall’insostenibile tenore di vita di una popstar che lotta per rimanere sulla cresta, ma che spende come se stesse arrivando la fine del mondo.
Il suo budget, tra guardie del corpo, vacanze, regali e trattamenti di bellezza, tra avvocati e assistenti personali, le sta costando un milione di dollari al mese. E rischia di portarla sul lastrico. Di certo la venticinquenne cantante di Womanizer, come la maggior parte dei suoi coetanei americani, non ha la minima idea di come si risparmi. O di come si pianifichi la vecchiaia. Che col ritmo delle sue spese, con i capricci del suo costosissimo lifestyle, con quei 138.369 dollari mensili in carte di credito, con quei 100.000 dollari in regali e vacanze, rischia di esser piuttosto misera.
Ma Britney non pensa al futuro. Dopo aver trascorso quasi due anni sulle prime pagine dei rotocalchi rosa, nella complessa saga del divorzio dal cantante Kevin Federline e dell’affidamento dei suoi due figli, Sean Preston (tre anni) e Jayden James (due anni), dopo esaurimenti nervosi e plastiche, dopo diete e ingrassamenti improvvisi, Britney punta tutto sulla nuova tournée, il Circus tour. Ma nel frattempo i costi forsennati del suo entourage la stanno affossando. E quei cento milioni incassati in anni di tournée e album, si stanno assottigliando come la sua reputazione.
Suo padre, Jamie Spears, che da anni maneggia i suoi beni insieme ad uno stuolo di costosissimi avvocati, venerdì scorso è dovuto apparire in un’aula di tribunale della contea di Los Angeles e presentare al giudice il budget di questa sua figlia che rischia di seguire le orme, al femminile, di Elvis Presley. Anche il giudice californiano ha alzato il sopracciglio incredulo nel constatare che la star dal febbraio del 2008 all’aprile di quest’anno aveva speso più di 11 milioni di dollari. Come? Una buona fetta era andata all’entourage della sua residenza di Studio City e nell’affitto della villa sulla spiaggia di Malibu, tra guardie del corpo (600.000 dollari) e assistenti personali. Più di 3 milioni e mezzo di dollari sono invece finiti nelle tasche di quei 17 legali (un numero più alto di quelli ingaggiati dal presidente Nixon all’inizio del Watergate) che avevano promesso di proteggerla dall’ex marito e da altri avvoltoi, ma che poi, alla fine, sono risultati anch’essi delle vere e proprie sanguisughe. Il marito, da bravo mantenuto, intanto si era fatto rifilare 625 mila dollari, di cui quasi 200 solo per trascorrere alcuni weekend con i figli (e pagare la babysitter).
Ma la ragazzina nata in Louisiana e lanciata da Disney non pensa al futuro: l’anno scorso aveva incassato ben 15 milioni e mezzo di dollari e li ha già spesi, forse puntando tutto sul suo nuovo tour (che quest’estate la porterà anche in Irlanda, Russia e Germania). Dopotutto è la ottava cantante di maggior successo nella storia della musica americana e vanta ben 83 milioni di album venduti in tutto il mondo. Ma la cascata di miliardi che ogni mese esce dal suo portafoglio rischia di affossarla. E il suo amore per i due figli forse è solo un’invenzione pubblicitaria: Britney Spears spende più tra istituti di bellezza, make up e parrucchieri di quanto non spenda in giocattoli per i due maschietti (solo 178 mila dollari all’anno). Una briciola rispetto ai 188.556 dollari versati ogni mese negli stipendi degli assistenti, ai 285.594 dollari spesi per coprire spese ipotecarie, e ai 137.554 dollari buttati via in capricci vari.
ario quanto Beckett era diffidente, taciturno e solitario». Sebbene McGreevy fosse più vecchio di tredici anni, i due legarono all’istante. Ma il loro stile di vita itinerante implicò che, per lunghi periodi - e per buona fortuna della posterità - potessero tenersi in contatto solo per via epistolare. Per un decennio si scambiarono lettere regolarmente, a volte ogni settimana. Poi, per motivi inspiegati (la relativa lettera di McGreevy è andata perduta) la loro corrispondenza si ridusse gradatamente fino a interrompersi. McGreevy era poeta e critico, autore di uno studio su T.S. Eliot. Dopo i suoi Poems del 1934 abbandonò quasi del tutto la poesia, dedicandosi alla critica d’arte e in seguito al suo lavoro di direttore della National Gallery di Dublino. Di recente in Irlanda c’è stato un ritorno di interesse per lui.