Giordano Stabile, La stampa 20/5/2009, 20 maggio 2009
MA LE "TERRE INCOGNITE" ESISTONO ANCORA
Siamo scesi dagli alberi per esplorare la savana africana e di lì tutto il mondo, e probabilmente torneremo sulle cime degli alberi a trovare gli estremi luoghi inesplorati, le restanti specie da catalogare. Le peregrinazioni dell’homo sapiens sono cominciate 100 mila anni fa; attorno al 1300 i navigatori polinesiani misero piede sulle ultime terre abitabili mai calpestate dall’uomo, quelle che ora chiamiamo Auckland Islands, nel Pacifico meridionale. Poi arrivò l’età delle (ri)scoperte degli europei e, dall’inizio del Novecento, la caccia alle mete inaccessibili, Poli in testa.
Nell’era di GoogleStreet ci rimangono soltanto rimasugli di «terre» emerse ai Poli. Come la striscia di rocce e ghiaccio a Nord della Groenlandia, battezzata Oodaaq da due esploratori danesi nel 1978, ma che va e viene a seconda delle stagioni e delle maree. Gli Inuit sostengono che nelle vicinanze emerga ogni tanto, anche lei capricciosa, un’isoletta gemella, detta Uunatorq Qeqetoq, l’«isola che si scalda», nome profetico dell’effetto serra che rischia di far sparire la patria degli esquimesi. Se c’è, presto qualche potenza artica ci pianterà una bandiera e reclamerà i diritti di sfruttamento del sottosuolo.
Restano i mari, il centro della Terra, i ghiacci e le cime degli alberi. Le acque coprono i due terzi del pianeta, una superficie dieci volte più grande dell’Africa. Abbiamo toccato il fondo degli oceani il 23 gennaio 1960 con batiscafo Trieste: 10.900 metri nella Fossa delle Marianne. Ma i fondali, che nascondono metà delle riserve di minerali e un terzo di quelle di idrocarburi, sono di fatto sconosciuti. Ogni volta che una spedizione si avventura oltre i tremila metri di profondità, scopre decine di nuovi pesci, dai calamari con tentacoli di 15 metri ai 17 millimetri del pesce Dracula, relitto vivente di una famiglia estinta da 50 milioni di anni, fotografato nello stretto di Birmania lo scorso marzo.
Ogni anno sono 17 mila le nuove specie catalogate, la maggior parte nelle foreste tropicali, dal futuro incerto quanto l’isola misteriosa degli Inuit. Ma un’altra frontiera promettente si trova a due passi da una delle regioni più urbanizzate al mondo, sulle cime delle sequoie della California. Dal 2003 i biologi funamboli Steve Sillett e Marie Antoine hanno trovato 186 nuove specie vegetali e animali, compresi cinque rettili, e l’albero più alto al mondo, 115 metri. «Le ricerche - dicono - sono solo all’inizio».
Altre cime da scalare non ce ne sono e allora si va in profondità. Il progetto più ambizioso è l’UsArray, una ricognizione radar del sottosuolo americano che sta ricreando immagini tridimensionali degne di Jules Verne, gigantesche caverne, fiumi e laghi immensi. La ricognizione sarà completata nel 2013 e dopo forse cominceranno le prime missioni umane, dove possibile. Ma prima, alla fine di quest’anno, un batiscafo teleguidato russo dovrebbe finalmente raggiungere il lago Vostok, il sesto più grande sulla Terra, sepolto sotto tremila metri di ghiacci in Antartide. Le acque del lago sono costantemente sopra lo zero: se esiste un mostro di Lochness, è probabile che sia qui.