Francesco Moscatelli, La stampa 20/5/2009, 20 maggio 2009
LONDRA DICE ADDIO AGLI ULTIMI ESPLORATORI
Due ore di discussione a porte chiuse nella storica sede di Lowther Lodge, nel quartiere londinese di South Kensington, in mezzo alle vecchie cartine ingiallite di sir John Franklin, l’esploratore del Passaggio a Nord Ovest disperso fra gli iceberg dell’Isola di Re Guglielmo nel 1848, e ai mappamondi di ciliegio accarezzati da Francis Beaufort, Comandante della Compagnia delle Indie Orientali. Poi, lunedì pomeriggio, la lettura del verdetto: 1607 voti favorevoli (il 38,7%) e 2590 contrari (61,3%).
A volerla semplificare, la lunga disputa sul futuro della Royal Geographical Society, si è conclusa con la vittoria degli scienziati accademici, quelli dei computer, delle specializzazioni e dei modelli matematici, e con la sconfitta degli avventurieri romantici che ancora sognano lunghe scarpinate nella foresta pluviale e l’eterna sfida fra l’uomo e la natura. I primi sostenevano la politica dei finanziamenti mirati ai piccoli progetti, pochi scienziati e molta tecnologia, i secondi si battevano per un ritorno alle grandi esplorazioni che hanno fatto la storia, e il mito, dell’istituzione scientifica tenuta a battesimo da Guglielmo IV nel 1830, gloria dell’Inghilterra vittoriana.
A prima vista, insomma, sembra un trionfo del progresso contro un manipolo di nostalgici dei completi cachi, «gente che sotto la doccia fischietta ancora Rule Britannia», come hanno scritto con una buona dose di sarcasmo alcuni quotidiani inglesi. Invece, come al solito, è più che altro una questione di soldi. Ormai la «society» è costretta a raschiare il fondo del barile e, con 150 mila sterline di finanziamenti diretti all’anno (165 mila euro), l’imperativo è uno solo: razionalizzare. «Le grandi spedizioni non fanno che mangiare risorse senza produrre risultati», ha continuato a ripetere nelle ultime settimane il presidente Gordon Conway. «No, è una questione di equilibrio - gli ha risposto senza battere ciglio il colonnello John Blashford-Snell, l’uomo che nel 1968 guidò la spedizione che scoprì le sorgenti del Nilo Blu -. Siamo scivolati dall’avventura alla mera ricerca. Potremmo trovare nuovi sponsor e portare avanti la nostra vera missione. Basta essere più propositivi. Ci sono in giro molti giovani esploratori e dobbiamo conquistarli, altrimenti la nostra istituzione morirà. Tenere vivo lo spirito dei pionieri è essenziale per tutta l’Inghilterra».
La frattura che si è consumata davanti all’ultimo tè, in realtà, risale al 1995, quando la Royal Geographical Society si fuse con il più moderno Institute of British Geographers. Apparentemente sembrava che nulla fosse cambiato: il duca di Kent rimase presidente onorario, qualunque cittadino appassionato poteva continuare a essere membro della prestigiosa società (per essere soci, invece, è necessario avere 21 anni e una competenza certificata in materia) e dal 1997 al 2001 l’istituto finanziò 11 grandi spedizioni. Qualcuno sperava addirittura in una nuova stagione degna dei libri di storia. Certo, il mondo era diventato sempre più piccolo: sulle prime pagine del Times non ci sarebbe più stato spazio per la grande sfida fra Scott e Amundsen al Polo Sud e nemmeno per il celebre «Dr. Livingstone, I presume» di Henry Stanley, che nel 1871 ritrovò il missionario gallese sulle sponde del Lago Tanganica, ma le grandi spedizioni si sarebbero potute cimentare con le profondità abissali, il cuore della foresta amazzonica, i laghi e i fiumi sotterranei.
Da allora, invece, la comune missione di «far avanzare l’umanità nella conoscenza della geografia» è stata interpretata in due modi diversi. E i membri ribelli guidati da sir John Blashford-Snell, dallo studioso di foreste pluviali Robert Hanbury-Tenison e da Pen Hadow, il primo ad aver attraversato a piedi l’Artico in solitaria, hanno cominciato la loro lunga battaglia. «D’accordo: l’epoca d’oro dei grandi esploratori è finita, ma le simulazioni al calcolatore hanno bisogno di nuovi dati empirici - spiega Hadow intervistato dal Telegraph -. Oggi dobbiamo scoprire nuovi dettagli sui cambiamenti climatici, sul riscaldamento globale. Senza un vasto lavoro sul campo siamo impotenti di fronte a questi fenomeni».
Hadow, nonostante il voto sfavorevole, ne è ancora convinto, e come prova porta i risultati del suo ultimo viaggio di 73 giorni attraverso il Polo Nord. «Nonostante gran parte del mio equipaggiamento sia stata danneggiata dalle temperature proibitive, sono riuscito a effettuare 1500 misurazioni del ghiaccio. Nelle zone che ho esplorato la profondità media del pack è di appena 1,77 metri». Qualcuno, seduto al tavolino davanti a un computer, sosteneva che fosse di almeno dieci centimetri più spesso.