Aldo Grasso, Corriere della sera 18/5/2009, 18 maggio 2009
SE LA RAI LASCIA IL SATELLITE
La possibile uscita dei canali Rai dalla piattaforma Sky è stata variamente dibattuta e non sappiamo a cosa porterà la trattativa affidata al dg Rai Mauro Masi. Ma da un punto di vista tecnico l’ipotesi che il servizio pubblico diventi invisibile a cinque milioni di famiglie Sky pare piuttosto priva di senso. Per fare un po’ di chiarezza, in un discorso spesso opaco, bisognerebbe innanzitutto distinguere fra i canali a pagamento confezionati da Raisat (per i quali è comprensibile che la Rai «tiri sul prezzo ») e i canali di servizio pubblico, Raiuno, Raidue e Raitre.
Per questi ultimi, la presenza su tutte le piattaforme disponibili e la «neutralità tecnologica» non dovrebbero essere in discussione, nella prospettiva di «essere presente dove c’è pubblico». Così accade negli altri Paesi: la Bbc trasmette i propri canali di servizio pubblico su Freeview (digitale terrestre) come su Sky Digital e Freesat (satellite). Così accade in Francia, Germania, Olanda, Spagna.
Da un punto di vista strategico l’uscita costerebbe immediatamente al servizio pubblico un ascolto stimato fra il 2,5% e il 5% di share. Non uno share indistinto, ma centrato su profili di pubblico «alti » (per reddito e titolo di studio) e giovani (target 15-54 anni). Ma dietro queste manovre, la posta «politica» in gioco è più alta, è quella dell’accesso alla tv: per taluni deve passare necessariamente dal digitale terrestre, per altri si può conservare e sostenere il pluralismo tecnologico delle piattaforme.
In collaborazione con Massimo Scaglioni elaborazione Geca Italia su dati Auditel