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 2009  maggio 19 Martedì calendario

MENO INVESTITORI IN EST EUROPA

"Not in my back yard". Alla lettera, "Non nel mio cortile". Questa volta, però, la paura non è di ritrovarsi a distanza ravvicinata con opere di interesse pubblico potenzialmente nocive per l’ambiente. Una strana variante della sindrome Nimby sembra essersi impossessata degli imprenditori dell’Europa occidentale i quali, da un po’ di tempo a questa parte, frequentano meno di prima per le loro delocalizzazioni "il cortile di casa", quell’Europa dell’Est così vicina e così promettente almeno fino alla fine del 2008.
A fotografare i cambiamenti nella geografia dell’offshoring è la ricerca presentata ieri da A.T.Kearney, il Global Services Location Index, una classifica delle più attraenti destinazioni per gli investimenti esteri. Il confronto è tra il 2007 e il 2009. India, Cina e Malaysia hanno conservato saldamente le posizioni di vertice. L’Europa dell’Est, invece, ha perso abbondantemente terreno a favore di Asia, Medio Oriente e Nordafrica.
L’indice di A.T.Kearney analizza e classifica 50 paesi considerati potenziali destinazioni di attività di outsourcing, compresi i servizi di information tecnology e attività di back-office. Nel paniere preso in considerazione rientrano 43 punti di valutazione suddivisi in tre elementi fondamentali: attrattività finanziaria, disponibilità di forza lavoro qualificata, ambiente degli affari.
A fare diminuire l’interesse delle società dell’Europa occidentale nei confronti di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Repubblica Slovacca (arrivati a perdere in media 20 posizioni rispetto alla rilevazione del 2007) hanno contribuito il rapido aumento dei costi, spinti in alto dagli incrementi salariali e dall’apprezzamento delle valute locali nei confronti del dollaro. Non tutta l’Europa centroorientale ha però perso appeal
agli occhi degli investitori. Le ex star dell’Est cadute in disgrazia hanno infatti ceduto la ribalta a Bulgaria e Romania, che si mantengono saldamente, grazie ai costi più contenuti, entro le prime 20 posizioni della classifica. Buono in particolare lo sprint della Romania, che guadagna 14 posizioni. Desta ancora interesse anche la Lituania, nonostante il difficile momento dei Baltici.
Qualità e disponibilità di forza lavoro a basso costo sono invecei punti di forza di paesi come Egitto, Giordania e Vietnam, che per la prima volta entrano nelle prime dieci posizioni del Global Services Location Index. «Nel momento in cui le società, spinte dalla mancanza di talenti sul mercato interno, guardano al mercato del lavoro in un’ottica globale, la disponibilità di maestranze di qualità sta guadagnando sempre più importanza» dice Luca Rossi, management partner di A.T.Kearney Mediterranean Unit. A risultare vincenti saranno i mercati in grado di intercettare i cambiamenti dell’offshoring imposti dalla crisi economica internazionale. Se da una parte il cortocircuito globale del 2008 09 ha rallentato le politiche di delocalizzazione, dall’altra la crisi potrebbe determinare incrementi del personale delle società all’estero. I licenziamenti sui mercati di appartenenza, fa presente lo studio, non si stanno traducendo in licenziamenti di personale offshore, dal momento che le società cercano di mantenere i livelli di attività contemporaneamente alla riduzione dei costi. In più, gli impianti costruiti sui mercati di delocalizzazione tendono a essere più efficienti di quelli onshore, perché improntati a criteri più innovativi.
Nella folla di possibili destinazioni offshore, intanto, il primo posto occupato da un Paese dell’Europa occidentale è quello del Regno Unito (31). La Germania occupa la trentaquattresima posizione, la Francia il quarantunesimo, la Spagna il quarantacinquesimo. Dell’Italia, su cinquanta posizioni disponibili, neanche l’ombra.