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 2009  maggio 19 Martedì calendario

MENO SPESA PER LA NUOVA MANOVRA SUL CUNEO

Prima delle manovre sul cuneo fiscale disposte nel 2007 e 2008 il «tax wedge» complessivo, comprensivo dell’aliquota Irap era al 50,2 per cento. I dati Ocse diffusi due giorni fa registrano la riduzione (2,5 miliardi nel 2007, 4,4 nel 2008) e collocano il totale del prelievo che grava sui salari al 46,5 per cento. Nella classifica generale, l’Italia è indicata dopo il Belgio con il 56%, l’Ungheria con il 54,1%, la Germania con il 52%, la Francia (49,3%) e l’Austria (48,8%). Il cuneo fiscale e contributivo, vale a dire la differenza tra il costo del lavoro per l’impresa e la retribuzione netta percepita dal lavoratore, resta dunque decisamente elevato. Quale potrebbe essere l’effetto sulla crescita di una nuova operazione sul cuneo?
In un esercizio ipotizzato dalla Confindustria, antecedente all’esplodere della crisi economica globale, se si destinassero 9 miliardi (lo 0,6% del Pil)per l’ulteriore taglio del cuneo si otterrebbe un impatto positivo sul Pil dello 0,35% nel 2009 e dello 0,44% nel 2010 nel caso in cui la riduzione fosse interamente destinata ai lavoratori. Si salirebbe allo 0,76% e 0,92% se tutto il taglio fosse concentrato sulle imprese, e allo 0,55% e 0,67% se la riduzione fosse ripartita al 60% ai lavoratori e al 40% alle imprese. Sarebbe interessante ora verificare in che misura si potrebbe incidere sulla caduta verticale del Pil prevista per l’anno in corso (almeno il 4,6% secondo le ultime stime Istat) qualora il Governo decidesse di intervenire nuovamente sul cuneo, spingendo probabilmente in questa fase sulla componente più prettamente fiscale. Nell’ipotesi prospettata dalla Confindustria, l’effetto sulla crescita si rivela per tutte le variabili, compresi i consumi delle famiglie, tende a essere persistente e maggiore «se va ad aumentare la competitività, perchè stimola le esportazioni e gli investimenti, riduce la dinamica inflazionistica, tutela il potere di acquisto e promuove l’occupazione.
L’intervento sulla componente fiscale parrebbe peraltro in linea con quanto rileva l’Ocse: in otto Paesi, tra cui Italia e Francia, «l’incremento della tassazione sui salari è pressochè interamente da attribuire all’aumento della componente fiscale». Nel dettaglio, in Italia la pressione complessiva su una retribuzione media è pari al 15,% relativamente alle imposte sul reddito, il 7,2% per contributi previdenziali pagati dal dipendente e il 24,3% per contributi pagati dall’imprenditore. L’obiezione è scontata:dove reperire le risorse per una consistente e incisiva manovra di riduzione del cuneo fiscale La risposta è che la compensazione non potrebbe che avvenire dal lato del contenimento della spesa. Stando ai dati contenuti nel Bollettino economico della Banca d’Italia dello scorso aprile, la spesa corrente primaria è cresciuta nel 2008 del 4,5% rispetto al 2007, raggiungendo così il massimo storico del 45,5% del Pil. Per l’anno in corso, la «Relazione unificata» diffusa il 2 maggio stima un aumento delle spese correnti al netto degli interessi del 3,6%, per effetto di un incremento del 2,3% dei redditi da lavoro dipendente e dei consumi intermedi, del 4,8% per le prestazioni sociali e del 4,5% per le altre spese correnti.
Ovviamente l’effetto propulsivo di una qualsivoglia manovra di riduzione fiscale in uno scenario di grave recessione, quale l’attuale,è tutto da verificare. Nell’immediato potrebbe non produrre grandi effetti, ma costituire un elemento importante di spinta quando il ciclo economico comincerà a invertire la sua rotta.