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 2009  maggio 18 Lunedì calendario

CHI ERA LA «PANTERA ROSA»? UNA BANDA DI 200 SERBI


WASHINGTON – A volte sono scaltri e furtivi. Addestra­ti a muoversi dietro le linee ne­miche visto che hanno spesso militato nelle forze speciali serbe. In altre occasioni si comportano come ladri di pol­li e finiscono in manette. Cer­tamente non hanno paura ed hanno lasciato il segno con ra­pine spettacolari fruttate oltre 130 milioni di euro. Colpi mes­si a segno nelle più famose ca­se di gioielli. I negozi Graff a Tokio e Dubai, Ciribelli a Mon­­tecarlo, il «tempio» Harry Win­ston a Parigi. Sono i membri della «Pantera rosa», una gang composta quasi esclusi­vamente da ladri dell’Est Euro­pa. All’inizio erano almeno 200 uomini, poi hanno perso per strada – a causa degli ar­resti – una quarantina di complici. Gli ultimi due, Zo­ran Kostic e Nikola Ivanovic, li hanno presi lunedì scorso in un hotel a due stelle di Pi­galle a Parigi. Una pensionci­na già usata dai latitanti e per questo tenuta d’occhio dalla Brigata anti-crimine. La cop­pia si era rifugiata in Francia dopo aver compiuto, il 5 mag­gio, una rapina a Losanna. E non era la prima. Kostic, 39 an­ni, ex soldato, avrebbe parteci­pato all’assalto a «Ciribelli».

Sempre i francesi, nel 2003, erano riusciti ad arrestare uno dei presunti leader, il belgra­dese Dragan Mikic. Condanna­to a 15 anni, rinchiuso in una galera nel sud della Francia, è stato liberato due anni dopo dai compagni con un’azione da commando. I gangster han­no attaccato con i mitragliato­ri le torrette della prigione dando tempo a Dragan di usa­re una rudimentale scala per superare il muro di cinta.

Tecniche militari che quelli della «Pantera rosa» alterna­no ad un buon lavoro di intel­ligence segnato da una lunga fase di studio. Hanno l’occhio giusto per prendere i pezzi pregiati – compresa la famo­sa collana Comtesse de Vendô­me composta da 116 diamanti – e lasciare il resto. Si trave­stono da donne se agiscono nei quartieri della moda. Si presentano come uomini d’af­fari se l’obiettivo è nel cuore economico di una città. Indos­sano vistose camicie hawaia­ne se il negozio è in una locali­tà di mare. La mappa delle ra­pine somiglia ad un depliant turistico: Biarritz, Saint Tro­pez, Cannes, Courchevel, Prin­cipato di Monaco. Cambiano pure i mezzi di fuga o di assal­to, anche se hanno una predi­lezione per la Audi. In due at­tacchi – in Giappone e negli Emirati – hanno usato le vet­ture tedesche come arieti. A Montecarlo la scelta è caduta su una Fiat di color giallo, im­piegata per scappare.

La cura nella preparazione contrasta, però, con errori ri­velatisi fatali. Le impronte la­sciate sulla stessa Fiat e su una limousine, i reperti con tracce di Dna, un telefonino di­menticato hanno dato una ma­no ai tanti ispettori Clouseau che gli danno la caccia. La ban­da è infatti diventata un pro­blema per l’Interpol che, in marzo, ha organizzato un ver­tice al quale hanno partecipa­to funzionari di sedici Paesi. Un numero che indica quali si­ano i confini del terreno di cac­cia. Il nomignolo ha poi contri­buito ad ampliare la fama. A battezzarli così un poliziotto inglese dopo il ritrovamento di un gioiello all’interno di un vasetto di crema: un nascondi­glio usato in una scena del film La pantera rosa. Poi, co­me spesso accade, una volta creata l’etichetta si è cercato di attaccarla ovunque attribu­endo ai banditi molte rapine sofisticate. In risposta qual­che avvocato ha contestato le accuse, arrivando a negare persino l’esistenza della gang. Ma sono stati i loro assistiti ad alimentarla con le loro scorre­rie. Lasciando sulle vetrine scintillanti le orme indelebili della «pantera».