Stefano Carli, CorriereEconomia 18/5/2009, 18 maggio 2009
GIORNALI ONLINE LO SQUALO DA’ LA LINEA
Questa crisi ci ha abituato a tutto: la Fiat che salva l’auto americana, la rinascita dei sindacati, il primo quadrimestre in cui i ricavi di Google non sono cresciuti, la nuova voglia di regole nel mondo degli affari. Ma c’è un limite a tutto. E per rompere un tabù secondo cui su Internet le news sono gratis ci voleva qualcosa di più. Anzi, qualcuno. E chi meglio dello Squalo Rupert Murdoch? L’unico al mondo che abbia faccia tosta e spalle larghe a sufficienza per dire: «Signori, l’epoca del tutto gratis su Internet è vicina alla fine». Lo ha detto la settimana scorsa annunciando che entro l’anno i siti dei giornali del suo gruppo, a cominciare dal Wall Street Journal (e a seguire Washington Post e, in Gran Bretagna, il Times) saranno a pagamento. Niente più notizie gratis da leggere sul pc impostando una normale ricerca su Google.
E’ l’inizio di una rivoluzione che richiederà tempo ma i cui effetti cambieranno il mondo dei media. Richiederà tempo perché è una rivoluzione prima di tutto culturale. Un sondaggio della Cnn ha già registrato l’immediato malumore degli utenti perché abituarsi a pagare sarà duro. Anche quando vennero introdotti i primi download di musica a pagamento sembrava una follia senza futuro, e invece la ITunes di Apple ci ha costruito un business miliardario.
La rivoluzione partirà dagli Usa. E non solo perché è da lì che è partita Internet, ma anche perché è negli States che la crisi ha colpito più duro il mondo della carta stampata con il crollo della pubblicità. Partirà da lì perché negli Usa il modello dei ricavi dei giornali è più sbilanciato verso la pubblicità rispetto all’Europa. E non è un caso sull’Herald Tribune di giovedì scorso l’intervento del presidente del Dipartimento di Giornalismo dell’Università di Boston, Lou Urenek, abbia proposto ai giornali Usa di guardare al Vecchio Continente: riequilibrare la struttura dei ricavi dando più peso al prezzo di vendita, che per la stampa quotidiana è più basso. E dal prezzo in edicola al pagamento per le edizioni online il passo è breve.
La grande novità è che questa crisi ha dimostrato che la crescita della pubblicità non è matematica, eterna e inestinguibile. E’ vero che l’online ha continuato a crescere mentre il resto dei media vedeva la raccolta falcidiata, ma è cresciuta a ritmi da mercato maturo.
E non solo. Sta venendo anche meno la certezza che il modello Internet funzioni sempre e ovunque. E’ sempre della settimana scorsa la notizia che Google ha ufficialmente chiuso il tentativo di esportare il suo sistema di aste automatiche online nel sistema della pubblicità radiofonica. Non ha funzionato. E anche la parte di business di Big G che si era proposta come concessionaria di pubblicità per la carta stampata (soprattutto giornali locali negli States) non sta dando i risultati sperati. E se qualcosa di nuovo sta accadendo sul fronte della stampa locale americana, sottoposta a un fenomeno di contrazione fortissimo con la chiusura di molte testate, è l’alleanza con le tv locali per fare sinergie nel campo delle news.
Ma la soluzione vera è rafforzare negli utenti, ossia i lettori, la consapevolezza che l’informazione è un bene primario, che per essere di qualità e affidabile costa e che quindi va pagata direttamente, portando anche sul Web ciò che normalmente si fa con le copie cartacee. «Si va verso la convergenza di tre piattaforme: Internet, la telefonia mobile e la tv spiega Andrea Rangone, responsabile degli Osservatori hitech della School of Management del Politecnico di Milano E Murdoch ne è la prova. Ha creato una piattaforma pay efficace sulla tv e ora la sta trasferendo su Internet e inizia a affacciarsi al mobile. Nell’ambito della tv digitale la componente di ricavi pay, pagati direttamente dagli utenti, è superiore alla pubblicità. Nel mondo del mobile, ancora una nicchia, se guardiamo ai contenuti media che gli utenti fruiscono sui loro telefonini (e stiamo parlando di news, non di suonerie e loghi) i ricavi vengono quasi tutti dal pagamento, via sms, e molto poco dalla pubblicità. Sui pc si compra la musica con i download legali. E il fenomeno si estenderà ancora».
Qualcosa già si vede, ma sono ancora nicchie per adesso. La Repubblica vende la sua edizione online, Extra, da qualche anno. Da pochi mesi ha lanciato un servizio a pagamento sul mobile e lo stesso hanno fatto Corriere della Sera e Sole24Ore. Quando la settimana scorsa Repubblica ha lanciato un applicativo per fruire del suo portale mobile attraverso gli iPhone, con in più alcuni servizi di localizzazione, ha fatto registrare un boom di download del suo applet dal sito di iTunes.
Questo è uno dei nodi più complicati da sciogliere. Gli utenti sembrano pagare più volentieri i contenuti via cellulare. Perché rispondono in modo rapido a un impulso (sapere che cosa sta accadendo su un certo tema, dalla politica allo sport). E perché pagare è facile: fil costo finisce sulla ricarica o sull’abbonamento telefonico. Questo va bene per le news: i titoli e poche righe di testo Ma questo è mercato limitato ai pochi utenti più evoluti, quelli che già usano uno smartphone. E poi la fruizione via cellulare è limitata. Il vero passo avanti si farà quando si riuscirà a far arrivare il giornale intero, con le sue pagine da sfogliare, gli articoli da leggere perché è il giornale a proporli e non su richiesta del lettoredigitale. E sono gli articoli più lunghi e complessi, con foto e grafici. Significa insomma portare il giornale sugli schermi dei pc di casa. O magari anche sullo schermo delle tv connesse al Web a banda larga. In attesa che i vari Kindle e tutti i nuovi possibili iBook prendano davvero piede.
Ma fuori dai cellulari, nei pc, i micropagamenti sono complicati. Va bene abbonarsi, per un anno o per un mese, ma per chi vuol continuare a comprare il giornale tutti i giorni, come all’edicola, le cose non sono semplici. Oggi c’è solo la carta di credito, o di debito, come la Pay Pal o la Poste Pay. Il loro limite è che hanno costi simili a quelli di un’operazione bancaria. E sono costi sproporzionati rispetto a un acquisto da un euro, come per il giornale intero, o magari anche meno se si spacchettasse il giornale digitale in sezioni (magari si potrà comprare solo la cronaca o lo sport o gli esteri). Difficile che la banche o le società delle carte di credito abbassino più di tanto i costi delle loro operazioni.
«La soluzione c’è afferma Stefano Quintarelli, uno dei pionieri e dei guru dell’Internet italiana E già è in parte contenuta nella nuova direttiva sull’eMoney varata due settimane fa dall’Ue. Si può cominciare ad immaginare un sistema di pagamenti elettronici per cui ogni utente (che può essere anche a suo volta venditore di alcuni contenuti (o anche di parte della sua banda quando è connesso alla Rete), può accumulare debiti e crediti virtuali. Alla fine di ogni mese si conteggiano e si fa un’unica operazione di pagamento». Questo meccanismo consente di abbattere l’incidenza del costo ”bancario’ dei micropagamenti. Ma necessita di un accordo che coinvolga gli editori, le banche, e i gestori telefonici: «E’ un sistema non dissimile da quello con viene suddiviso il ricavo di una telefonata tra due utenti mobili di due operatori diversi. Quanto ai software specifici, ce ne sono già disponibili di quelli in grado di tracciare tutte le transazioni P2P».
Le edicole online sono quindi possibili, non sono fantascienza. Ma attenzione, la strada non è tutta in discesa. «Oggi il 90% degli utenti va in Internet per fare ricerche. E arriva nei vari siti attraverso il motori di ricerca afferma Mauro Del Rio, fondatore di Buongiorno, il numero uno mondiale della vendita di contenuti per telefonini E se i giornali si tolgono dal campo d’azione dei motori possono rischiare. E comunque nell’edicola elettronica di Internet c’è più concorrenza che nelle edicole fisiche».
E questo porta all’ultimo effetto della rivoluzione dei giornali online. Conquistare lettori nell’era Internet e su Internet significa per i produttori di informazione, diventare più riconoscibili e soprattutto ancora più autorevoli. Significa puntare non tanto sulla velocità ma sulla qualità: la prima notizia di un terremoto sarà sempre più veloce a darla via sms qualcuno su Twitter. Ma le spiegazioni, i retroscena, le analisi e gli ap</n>profondimenti su quello che ac</n>cade dopo, quelle si trovano e si </n>troveranno ancora sui giornali, </n>di carta o di bit che siano. E la dif</n>ferenza è proprio la qualità. I </n>giornali di carta probabilmente </n>dureranno ancora un bel po’, </n>accanto a quelli digitali. Quello </n>che è prossimo alla fine sono i </n>giornali low cost (di carta o digi</n>tali, non importa) fatti con il ”co</n>pia e incolla’.