Duilio Lui, ItaliaOggi 18/5/2009, 18 maggio 2009
IL FARE IMPRESA CAMBIA IL SUO DNA
Attraverso gli addetti ai lavori ItaliaOggi Sette fotografa le conseguenze positive della recessione
Dai modelli produttivi ai contratti, conviene ristrutturare
Non solo fallimenti, licenziamenti e difficoltà nei pagamenti. Anche se lo scenario è negativo, per le imprese non mancano le opportunità. La recessione in atto sta infatti cambiando profondamente il modo di fare impresa, cosa che consentirà di superare i problemi cronici del capitalismo italiano: dalla frammentarietà dal punto di vista produttivo e distributivo alla scarsa attenzione verso gli stakeholder, fino all’insufficiente attenzione verso una gestione professionale della liquidità.
Aziende più solide. «Le aziende che usciranno indenni dalla recessione saranno più solide e potranno puntare a una crescita sostenuta nel medio periodo», commenta Stefano Cavazza, direttore generale di Scs Consulting. Questo non significa, comunque, che le imprese dovranno mantenere un atteggiamento difensivo in attesa che passi la tempesta. «La situazione di mercato è una spinta forte per attuare le ristrutturazioni necessarie», prosegue Cavazza. «Quindi, occorre migliorare i fondamentali economici, ma anche l’approccio con i portatori di interesse». Il riferimento del consulente è alla questione reputazionale: «Su questo fronte il mondo dei servizi e quello produttivo hanno subito un tracollo, per recuperare posizioni non basteranno più azioni isolate sul versante della responsabilità sociale. Dipendenti, territorio di riferimento e comunità locali dovranno essere interessati da un rinnovato atteggiamento da parte del management».
Cambiano i rapporti con i fornitori. «La crisi sta portando le aziende a riconsiderare l’importanza della collaborazione con i partner e questo consentirà di superare il classico approccio fai da te, che spesso ha limitato le potenzialità dell’imprenditoria italiana», commenta Eugenio Berenga, managing partner di AlixPartners, società specializzata in ristrutturazioni. In particolare, Barenga sottolinea «una maggiore selezione tra fornitori più o meno affidabili: ai primi viene chiesto di condividere gli sforzi per superare la situazione di attuale debolezza con i mercati». Mentre, sul fronte interno, il manager delle ristrutturazioni vede «una maggiore attenzione alla ricerca di efficienza, dopo che un lungo periodo positivo per l’economia aveva spinto le aziende a occuparsi più della crescita esterna». Altra conseguenza positiva è una gestione più attenta della liquidità: «Con la restrizione al credito, le aziende stanno imparando a muoversi da sole. Hanno capito che è fondamentale gestire i flussi in entrata e in uscita in modo professionale, per dipendere anche in futuro molto meno dal mondo bancario». Tutto da definire è, invece, il futuro dei distretti. Secondo Berenga, «questo modello non ha mostrato di saper funzionare meglio di altri, per cui potrà essere ripensato il valore di queste forme di aggregazione produttiva». Le notizie degli ultimi giorni confermano questa situazione: dal tessile di Prato a quello di Biella, fino ai divani pugliesi e alla ceramica di Sassuolo, le realtà organizzate in distretti non se la passano meglio.
Un nuovo quadro delle relazioni industriali. Meno conflittualità e più solidarietà per superare le difficoltà. La recessione sta cambiando il sistema di relazioni industriali. Il boom dei contratti di solidarietà, con i quali i dipendenti accettano di lavorare e guadagnare meno, in cambio della rinuncia ai licenziamenti, potrebbe segnare una svolta nei rapporti tra management e lavoratori. « un ritorno allo spirito solidaristico da sempre caratteristico del sistema cooperativo», rivendica Luigi Marino, presidente di Confcooperative. «Un approccio che tanti analisti consideravano fuori moda e invece si è rivelato la miglior ricetta per resistere nelle fasi di difficoltà».
Dalle risorse alle relazioni umane. Al di là delle specificità italiane, la crisi è destinata a produrre effetti comuni all’organizzazione di tutte le aziende. Intervenendo a un recente convegno della Essec Business School, il presidente nazionale della Cjd (l’Associazione dei giovani dirigenti francesi) Gontran Lejeurne ha indicato l’evoluzione in atto: «Occorre sostituire il concetto di risorse umane con quello di relazioni umane che contribuiscono al processo innovativo. Questa crisi ha molte sfaccettature, una delle quali è la domanda di hyper-performance: si chiede ai dipendenti di essere ultra performanti, ma questo atteggiamento va a detrimento dei colleghi e il lavoro a un semplice «prodotto». Al contrario, un’impresa deve essere gestita in termini di progetti e di équipe. Occorre presentare un progetto economico e coinvolgere i componenti, lasciando loro libertà di espressione».