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 2009  maggio 17 Domenica calendario

IL FUOCO DELLE ARMI

Alle sette e trenta del primo luglio 1916, centoventimila ragazzi inglesi salirono le scalette che portavano dalle trincee alla terra di nessuno in un luogo chiamato la Somme, nelle Fiandre, e con le baionette innestate nei fucili andarono all´attacco della prima linea tedesca. «Sarà una passeggiata», aveva detto il generale Douglas Haig, comandante delle forze inglesi in Europa. Poche ore più tardi, quando gli inglesi rientrarono nei loro campi trincerati senza essere riusciti a sfondare il fronte nemico, mancavano all´appello sessantamila fra morti e feriti. Lo shock in Inghilterra fu immenso: non c´era mai stata una simile ecatombe in un solo giorno, dal tempo della Peste Nera del 1300.
Fino a quel momento la scienza applicata alle macchine aveva portato l´Occidente a raggiungere un livello di vita mai conosciuto prima, attraverso treni, navi a vapore, luce elettrica, telegrafo, radio, nella certezza di un progresso inarrestabile. Ma nella battaglia della Somme era stata proprio una macchina, il risultato di quel progresso, che aveva funzionato da killer: la mitragliatrice Maxim ?08, una micidiale arma automatica raffreddata ad acqua che sparava migliaia di proiettili al minuto con precisione e velocità mai viste prima. Quello che provarono i testimoni fu riassunto in una poesia da Siegfried Sassoon: «Si sentiva solo il rattattà delle mitragliatrici».
Le armi da fuoco avevano fatto la loro apparizione oltre mille anni prima, sui campi di battaglia in Cina, e erano semplicemente razzi simili a quelli dei fuochi d´artificio. Qualcuno aveva scoperto che mescolando il salnitro con lo zolfo e il carbone si otteneva una miscela esplosiva, la cui potenza poteva essere sfruttata in modo propulsivo oltre che distruttivo per inviare proiettili come frecce o frammenti di ferro e chiodi. In un libro che esce in questi giorni, Armi da Fuoco-Una storia globale fino al 1700, di Kenneth Chase (Leg, Libreria Editrice Goriziana), viene raccontato l´uso fatto dai cinesi, già durante la dinastia Song (960-1279), di armi chiamate "lance di fuoco" composte da tubi di bambù e utilizzate come i moderni lanciafiamme; e di primitivi cannoni chiamati "huochong" che avevano effetti straordinari contro le mura di fortezze ritenute imprendibili. Con il tempo, in Cina, la tecnica del propellente e gli studi di balistica avevano raggiunto livelli molto sofisticati e le battaglie erano solcate, come nei film fantascientifici, da razzi chiamati "nido di calabroni" o "cento frecce curvanti", che mandavano luci violacee e rossastre. L´impressione è che questo apparato fantasmagorico non provocasse danni irreparabili e venisse usato solo per spaventare il nemico.
Ma a partire dal 1400 razzi, cannoni e polvere pirica si trasformano e cambiano padrone. D´ora in poi saranno gli europei a controllare le nuove armi e a farle uscire dallo stadio dei prototipi rozzi e ingombranti, applicandosi continuamente alle migliorie. Una sorta di archibugio alleggerito, che i soldati infilavano sotto l´ascella per evitare il tremendo rinculo, è il protagonista della battaglia di Pavia tra le truppe di Carlo V, guidate dal Connestabile di Borbone, e le truppe francesi al comando del re Francesco I, molto giovane e perso nei sogni di una cavalleria che da tempo non esiste più. Adesso a Pavia i francesi stanno vincendo e gli spagnoli sono sulla via della fuga, quando Francesco pensa bene di dare un finale classico alla battaglia con una carica di tutta l´aristocrazia montata. Ma così la cavalleria si stacca dal grosso delle truppe. L´errore viene notato dal marchese di Pescara, abile veterano delle guerre in Italia, che ordina di nascondere millecinquecento archibugieri dentro un boschetto lungo l´itinerario della carica. Quando i francesi arrivano a cinquanta metri, gli archibugieri cominciano a sparare. In pochi minuti la più grande cavalleria d´Europa viene annientata e Francesco I fatto prigioniero.
Nel libro Kenneth Chase si domanda le ragioni della ritirata della Cina da un campo, quello delle armi da fuoco, che doveva essere gelosamente tenuto riservato per una potenza che si chiamava l´Impero di Mezzo e aveva ambizioni planetarie. Ma cercare una sola causa, come si cerca un solo assassino per un delitto, è un approccio storico che non funziona bene: quasi sempre le ragioni sono più di una, differenti e non riconducibili a una semplificazione. In India, in Cina e in Giappone non si è mai smesso di cercare armi sempre più perfezionate, anche se in Giappone, durante questi secoli, l´attenzione è stata rivolta molto più alla perfezione delle lame delle sciabole da samurai che non all´efficienza dei moschetti delle truppe. In India, durante il periodo Mogul, gli artigiani erano capaci di fondere cannoni migliori come qualità di quelli inglesi. Nella prima guerra anglo-sikh un reggimento britannico lanciato all´arma bianca contro un contingente di nativi venne fatto a pezzi a Chillianwala da alcune batterie di cannoni maneggiati da soldati che erano stati addestrati da un leggendario personaggio: il generale Avitabile, napoletano che aveva combattuto con Murat e che finirà la sua carriera come governatore di Peshawar.
Ma in Cina, a partire dalla metà del Quindicesimo secolo, i confuciani al governo misero in pratica l´altera convinzione che il Paese non dovesse più seguire la via scelta dagli stupidi occidentali, in continuo e frenetico cambiamento, ma chiudere le frontiere e approfondire il sapere cinese alla ricerca delle sue vere radici, nel suo stesso territorio. Questo isolamento totale, costato carissimo, non teneva conto che un grande Paese come la Cina poggiava su un tapis roulant, e se non andava avanti si sarebbe trovato molto indietro. Quando si accorsero dell´errore, il distacco con l´Occidente si era fatto immenso.
Oramai gli europei, che stavano conquistando le colonie in Africa e altrove, sembravano imbattibili. E in nessuna altra occasione la superiorità militare, che si traduceva in superiorità politica, fu così chiara e netta come nelle battaglie coloniali. All´inizio della guerra anglo-zulù, gli impies, i battaglioni zulù, avevano spazzato via in pochi minuti un contingente britannico di oltre millecinquecento uomini sorpresi nel Transvaal, in una località chiamata Isandhlwana, aperta e senza difese. Ma pochi giorni più tardi, gli stessi zulù furono fermati da poche decine di scozzesi, trincerati in una specie di fortezza e muniti di fucili a ripetizione, che sparavano come al tirassegno nelle fiere a un bersaglio che non potevano mancare.
All´inizio del Novecento i giapponesi dimostrarono che il distacco tecnologico poteva essere riempito e superato. La presa di Port Arthur e la battaglia di Tsushima stavano a dimostrare che i figli del Sol levante, prigionieri nello shogunato per due secoli, avevano recuperato talmente bene da sopravanzare gli stessi europei. Ritornava la sindrome della minaccia dall´Oriente, che aveva attraversato tutta la storia occidentale. Ma ora si presentava come un problema minore rispetto alla riscoperta della natura esplosiva delle armi, messa in second´ordine per tanti secoli dalla natura propulsiva. La bomba fatta di polvere nera o dinamite era stata sostituita da un materiale mai usato fino ad allora, che seguiva i principi di una formula: E=mc?. Un ordigno che rendeva la battuta di Clausewitz, così amata e citata dagli strateghi a tavolino, «la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi», una pura corbelleria. E che si sostituiva in modo più efficace all´Angelo Sterminatore, quando sarebbe calato in terra, quel giorno.