Varie, 18 maggio 2009
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Saliola Antonio
• Bologna 28 settembre 1939. Pittore • «Gremito, è la prim’idea che ti sovviene, ripassando mentalmente le opere di Antonio Saliola [...] Come se non ci fosse un minimo spazio vuoto, libero, sgombro, in questo stipo d’inconscio evocativo che diventa, per lui, il narrare a colori, che è la sorella-pittura: solidale e connivente. Pittura pugnace, come ricorda Antonio Faeti, in un testo che è più d’un saggio introduttivo, ma un controcanto d’amicizia e complicità: pittura pungente, rivendicativa, ”d’incessante polemica silenziosissima”. Che sorride nell’apparente distensione figurativa, ma che nasconde in realtà trappole, insoddisfazioni, inquietudini silenti, come tutto quello che ha a che fare con il sogno. Nelle sue tele c’è l’incertezza vibratile d’un rammemorare affettuoso ma nostalgico, che vuole incartare il ricordo, per tenerlo caldo e a portata di cuore, ma che teme simultaneamente e soffre che sotto la glassa apparentemente zuccherata da marron glacé visivo, il ricordo se la squagli, e faccia per di più maramao. Che il bolognese Saliola, torinese d’elezione (per l’annosa amicizia con Carluccio, Arpino, e certe vicinanze a Mauro Chessa, Cremona e Calandri) abbia trovato più udienza tra gli uomini di cinema, come Zurlini, Zavattini, Avati non stupisce: perché in realtà Saliola scarrella, zooma fiabescamente, ”gira” nei meandri d’una friabile memoria, che si fa fotogramma incantato, riaffabulente, proprio come i suoi giardini stregati, i suoi interni d’interni, i suoi piroscafi sul lago, i suoi sognanti teatrini da calligrafico Ceronetti della veduta sperduta» (M. Vall., ”La Stampa” 18/5/2009).