Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 16 Sabato calendario

RIO BRAVO CHIUSO PER LA CRISI

Quel che non han potuto le muraglie, gli spiegamenti di polizia, i radar e i sensori, le pattuglie di vigilantes, ha potuto la recessione: l’immigrazione dal Messico negli Stati Uniti è crollata di pari passo con la crisi economica.
Le statistiche ufficiali del censo messicano rivelano che l’emigrazione (la stragrande maggioranza diretta verso gli Usa) è scesa del 25% rispetto all’anno precedente già nell’agosto del 2008, all’apice della crisi subprime. Ma sono i dati ufficiosi raccolti alla frontiera a confermare un trend inequivocabile: il numero di arresti di clandestini catturati in flagrante è precipitato. Se non c’è lavoro, non c’è incentivo a emigrare.
Non tutti sono d’accordo con questa interpretazione. Il demografo Steven Camarota del Center for Immigration Studies sostiene che è stato il rafforzamento dei controlli al confine ad arginare il flusso di illegali; la recessione si è limitata a dare un contributo al trend. Camarota dà credito all’amministrazione Bush per aver stanziato fondi pubblici per costruire muraglie nei principali punti di passaggio tra il Messico e la California, il Texas e l’Arizona, per adottare nuove tecnologie, moltiplicare i controlli nelle fabbriche sospettate di impiegare lavoratori illegali, far salire del 17% in un anno le guardie di frontiera a un piccolo esercito di 17.500.
Molti esperti di immigrazione restano convinti invece che non ci sono controlli che tengano quando c’è la volontà e il bisogno di trovare lavoro. Uno studio dell’University of California di San Diego basato su interviste fatte all’inizio di quest’anno a cittadini messicani residenti in California rivela per esempio che tutti sono riusciti prima o poi a evadere i controlli e passare la frontiera. A volte ci vogliono tre o quattro tentativi: la polizia che arresta i clandestini non ha altra scelta che riportarli oltre confine, e sperare di arrestarli una seconda o terza volta se ritentano.
Se non ritentano, è perché non hanno i soldi per pagare un altro "coyote", le guide che aiutano i clandestini a orientarsi nei deserti e sulle montagne dove è più facile evadere la sorveglianza delle pattuglie. Un passaggio costa dai 3mila ai 5mila dollari, una cifra che molti messicani colpiti dalla recessione nel loro paese non possono più permettersi. E non possono permettersi nemmeno di arrivare in America e non trovare lavoro. La recessione americana ha colpito infatti in maggior misura i settori che tradizionalmente impiegano la manodopera messicana: l’edilizia, i ristoranti, le imprese di pulizia.
Il numero di immigranti illegali, messicani e non, è quindi probabilmente sceso negli Stati Uniti l’anno scorso. Ma resta ugualmente pari ad almeno 11,5 milioni, 2,7 dei quali residenti in California, un numero elevatissimo e destinato a riprendere a crescere appena l’economia inizierà la risalita. E ciò sottolinea l’urgenzadi una riforma dell’immigrazione che includa la possibilità di acquisire la residenza legale o la cittadinanza per chi vive illegalmente negli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama dovrebbe pronunciarsi sull’argomento in un discorso atteso per le prossime settimane.