Varie, 18 maggio 2009
FERRARI PER VOCE ARANCIO
«Il Consiglio ritiene che, se questo fosse il quadro normativo della futura F.1, verrebbero definitivamente meno le ragioni che hanno motivato la presenza della Ferrari nel Mondiale»: queste 27 parole contenute in un comunicato diffuso il 12 maggio dal Cda di Maranello hanno dato il via alla più violenta crisi politico-sportiva degli ultimi anni. Per capire la portata della minaccia, basti sapere che la Ferrari è l’unico costruttore che dal 1950 ha partecipato a tutte le edizioni del mondiale di Formula 1, quello che ha corso più gare, vinto più corse e più titoli, conquistato più pole, messo assieme più punti, stabilito più giri veloci e fatto correre più campioni del mondo. «Pensare di organizzare una Formula 1 senza Ferrari è come organizzare un matrimonio senza la sposa», ha sintetizzato il sottosegretario allo Sport Rocco Crimi.
Convinta che Max Mosley, il discusso presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile (governa lo sport a quattro ruote), finisse sempre col darla vinta alle Rosse, sino a un paio di anni fa la stampa britannica ironizzava sul reale significato della sigla Fia, sostenendo che in realtà voleva dire ”Ferrari international assistance”. Le cose sono cambiate quando, il 29 luglio 2008 a Maranello, i costruttori hanno dato vita alla Fota (Formula one teams association), che Mosley ha subito visto come una minaccia al suo potere. La situazione è precipitata il 29 aprile, quando il Consiglio Mondiale della Fia ha rivoluzionato le regole del Mondiale di F1: a partire dal 2010 le squadre dovranno lavorare con budget di 40 milioni di sterline (45 milioni di euro) esclusi gli stipendi dei piloti e, per il primo anno, i motori; i team che decideranno di non rispettare quel limite continueranno a essere soggetti alle attuali norme tecniche, chi invece limiterà le spese godrà di maggiore libertà nella progettazione delle macchine.
I vantaggi per i team ”risparmiosi” consisterebbero in alettoni mobili, motori non soggetti al limite dei 18.000 giri al minuto, nessun limite alle sostituzioni di motore e cambio e ai test prestagionali in pista, libero uso di gallerie del vento, il tutto per un vantaggio stimato dagli esperti in 2”-3” a giro. Secondo tutti gli addetti ai lavori, questo doppio-regolamento è un’enorme sciocchezza. L’ex pilota, adesso conduttore tv, Andrea De Adamich: «Sarebbe come dire che le squadre piccole giocheranno in 13 contro l’Inter. O che quando il Milan o la Juve attaccano sono costrette a farlo in una porta più piccola o contro due portieri». L’idea di Mosley è che, con la crisi economica, la F.1 rischia di scomparire per mancanza di attori e che perciò è necessario renderla più attraente a squadre che non dispongono di budget a nove cifre.
Molti si chiedono per quale motivo Ferrari, Toyota, Renault, Red Bull e Toro Rosso respingono uno schema che impone di spendere di meno. Flavio Briatore, responsabile sportivo della Renault: «Noi non contestiamo la scelta. Critichiamo il metodo. Gli obiettivi finanziari del cosiddetto G5, e di coloro che lo seguono, non sono dissimili da quelli della Fia: però devono essere raggiunti in modo diverso. Bisogna agire sui regolamenti, facendo in modo che siano chiari. Ogni settimana c’è una novità: non se ne può più. Quest’anno viviamo una situazione anomala, con disparità dettate dal Kers, dai diffusori, dalle zone grigie delle norme: il Kers ci è costato 15 milioni, per i diffusori ne aggiungiamo 10. Dobbiamo poi pagare piloti e 400 persone. Sono economie, queste?».
Per le grandi aziende passare in poco tempo dagli attuali budget a quelli calmierati vorrebbe dire mandare a casa molti lavoratori: per capire basta pensare a quel che è successo nello scorso autunno alla Honda, che per non lasciare a casa centinaia di persone ha preferito regalare la squadra a Ross Brawn. La Ferrari e gli altri grandi costruttori hanno budget di oltre 300 milioni, contro gli 80 della Force India, che è la squadra più povera (e più lenta). In tempi di crisi economica, la Fota ha studiato una ”finanziaria” per dimezzare le spese entro il 2010. Pronta a continuare nella riduzione dei budget, chiede in cambio che la F1 rimanga un campionato all’insegna della competizione tecnologica.
Da 59 anni la Formula 1 è investimento, show, business; ma è anche ricerca e sviluppo di componenti da passare alle macchine di produzione. successo per esempio con il cambio automatico sequenziale al volante, che la Ferrari introdusse nel 1989 al GP del Brasile e che oggi semplifica la vita a tanti automobilisti nel mondo. Bernard Rey, presidente della Renault: «Il grande circus non è solo il top degli sport motoristici ma anche un palcoscenico da mezzo miliardo di spettatori dove mostrare le eccellenze tecniche». Briatore: «La Formula Uno è un prodotto di alta qualità. Dobbiamo evitare che chiunque, con 20-25 milioni di euro, possa fare una squadra di Formula Uno. Sarebbe come se su una strada dello shopping esclusivo improvvisamente aprissero negozi low cost, rovinerebbe tutto».
Per dire tutta la verità, le squadre si sono riunite nella Fota soprattutto per chiedere una maggiore partecipazione agli utili della Formula 1, stimati in 1.600 milioni di euro annui: su 100 euro che entrano, al momento 40 vanno divisi fra le squadre, il resto va alla società di Bernie Ecclestone (l’imprenditore inglese che ha trasformato il campionato in un business mondiale) e al fondo CVC, che detiene i diritti. Sebbene sia azzardato uscire da una vetrina internazionale con 500 milioni di spettatori l’anno, la Ferrari minaccia di abbandonare la F1 per un altro campionato che, facendo un parallelo con il basket, potrebbe assomigliare a una Nba delle quattro ruote.
Anche nell’automobilismo è possibile dare vita a campionati privati, che sfuggono al controllo della federazione. Esistono già il Dtm tedesco e la Gp2. La Fia non si può opporre perché qualsiasi organizzatore può richiedere all’autorità sportiva di un Paese la disputa di una gara automobilistica. Una volta verificata la conformità alle norme di sicurezza di macchine e autodromo, le federazioni locali sono costrette a dare il via libera. Anche per le piste non ci sarebbero problemi: sino a una decina di anni fa Ecclestone vantava una sorta di esclusiva con gli autodromi che ospitavano i Gp iridati, ora, grazie all’intervento dell’antitrust dell’Unione Europea, non è più così: Monza potrebbe ospitare la gara di F.1 e quella della formula alternativa. In alternativa il Cavallino potrebbe dedicarsi alle corse negli Usa.
Dopo l’accordo Fiat-Chrysler, un impegno oltreoceano potrebbe risultare particolarmente interessante. Il problema è che il campionato Indy ha perso parecchio appeal e la Nascar, probabilmente il campionato sportivo più popolare negli Stati Uniti (più di quelli di basket, baseball, football, hockey), ha un profilo troppo circense (vi competono ”barconi” con le ruote coperte guidate da piloti che si prendono a sportellate). Un’alternativa potrebbero essere le gare di endurance tipo la 24 Ore di Le Mans (Luca di Montezemolo darà il via all’edizione di quest’anno). La stampa internazionale per adesso non ha preso sul serio la minaccia della Ferrari: il 13 maggio ”L’Equipe”, probabilmente il quotidiano sportivo più importante del mondo, ha titolato «Il Grande bluff»; il ”Wall Street Journal Europe” ha messo la notizia tra le brevi della sezione Global Business; il ”Financial Times” l’ha messa in prima pagina, rimandando però a un trafiletto a pagina 14.
Sulla credibilità delle minacce di Maranello pesa quanto successo nel 1986, quando Enzo Ferrari, contrario ai cambiamenti proposti per tagliare i costi e aumentare la sicurezza riducendo le velocità negli anni dell’avvento dei turbo, minacciò di trasferire il team in America. Per rendere concreta la minaccia, fu costruita una macchina che venne messa in pista a Fiorano nel settembre 1986. La Ferrari 637 Formula Cart, oggi nel museo di Maranello, fu testata da Michele Alboreto ma non varcò mai l’Oceano. La battaglia si chiuse un anno dopo, quando per sancire l’intesa venne firmato un nuovo Patto della Concordia, l’accordo commerciale che regola la partecipazione al Mondiale ideato nel 1981 e che prende il nome da Place de la Concorde di Parigi, dove ha sede la Fia. Alla Ferrari furono garantiti dei privilegi economici che recentemente Ecclestone ha reso noti: «Maranello quando vince incassa 80 milioni di dollari in più rispetto alla somma che otterrebbe la McLaren».
Convinta che Mosley, decidendo da solo, abbia infranto gli accordi sottoscritti con Maranello nel 2005, che prevedevano una sorta di diritto di veto del Cavallino sulla modifica di norme tecniche e sportive, la Ferrari si è rivolta all’Alta Corte di Parigi per bloccare il nuovo regolamento. Gli avvocati della Fia hanno spiegato che, essendo scaduto il vecchio Patto della Concordia, quel diritto di veto non esiste più; i legali delle Rosse hanno ribattuto che in mancanza di un nuovo Patto dovrebbe valere quello vecchio. Il 20 maggio i giudici francesi hanno dato ragione alla Fia, ma la Ferrari continuerà la battaglia legale (è stata negata l’urgenza ma non l’esistenza del diritto di veto). Intanto il tempo stringe: il 29 maggio scadono le iscrizioni al prossimo campionato, finora è certa la partecipazione di tre soli team, Brawn Gp, Williams e Force India. A parole, Mosley non sembra preoccupato: «L’idea che la Ferrari sia indispensabile è assurda. un po’ come il povero Ayrton Senna, era il pilota più importante ma quando è morto nel 1994, la Formula 1 è andata avanti». Sarà, però l’idea che Wirth Research, Epsilon Euskadi, Ray Mallock Limited, Formtech, Campos Racing, Lola, USF1 (i team pronti a entrare in F.1 col nuovo regolamento) possano colmare il vuoto lasciato dalle Rosse lascia almeno perplessi.