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 2009  maggio 16 Sabato calendario

Hai visto Lo show dei record? Hai visto che schifo, quel tale sdraiato in una teca di vetro con addosso 8000 scarafaggi che gli camminavano sul corpo? Eccome se ho visto

Hai visto Lo show dei record? Hai visto che schifo, quel tale sdraiato in una teca di vetro con addosso 8000 scarafaggi che gli camminavano sul corpo? Eccome se ho visto. Che schifo, che robe. Hai visto come la conduttrice Barbara D’Urso continuava a dire: che puzza questi scarafaggi, dovreste sentire che odore cari telespettatori, che miasmi insopportabili, da tapparsi il naso? Certo che ho visto. Che robe, che schifo, ma dove si vuole arrivare? E alla fine di questo ennesimo tentativo riuscito di entrare nel Guinness dei primati, l’hai per caso sentita la D’Urso, sempre lei, che quegli scarafaggi li avrebbe volentieri sterminati tutti con il napalm, e invece faceva l’animalista correttina e diceva: purtroppo adesso l’uomo finita la sua prova dovrà alzarsi in piedi e schiaccerà qualcuno di questi poveri scarafaggi, che sono pur sempre animali e creature di Dio. Ma l’hai vista, ma l’hai sentita? E vuoi che non l’abbìa vista? E ti credi che non l’abbia sentita? Che mi perdessi tutto questo schifo? Ecco, se c’è un programma che testimonia il rapporto perversamente contraddittorio che intercorre tra ciò che viene mandato in onda e chi lo guarda questo programma è Lo show dei record (giovedì su Canale 5, ore 21,10). Qui si appalesa in tutta evidenza una delle chiavi del successo delle schifezze televisive: la loro capacità di fare breccia su milioni di telespettatori (oltre sei per questa trasmissione) la maggior parte dei quali giurerei che continuassero a dire: «che schifo! » a mano a mano che passavano i minuti. Epperò rimanevano lì, inchiodati alla poltrona e con gli occhi fissi sul video, sugli scarafaggi zampettanti, sulla D’Urso piagnucolante e sull’arbitro della tenzone che, con impassibilità notarile degna di miglior causa, fissava compunto il cronometro fino a quando, oltrepassato il precedente record di sopportazione stabilito in due minuti e mezzo, abbandonava l’aplomb dando due o tre colpacci da energumeno alla teca per avvisare il nuovo campione che il cimento era stato superato. A quel punto due solerti inservienti collaboratori si precipitavano a spolverarlo degli scarafaggi rimastigli attaccati al corpo (peccato non aver chiesto loro di svelarci segreti e motivazioni di tale stravagante «mestiere») e il nuovo recordman poteva ricollocarsi al centro dello studio senza peraltro poter godere dei complimentosi abbracci che di solito premiano i vincitori. Puzzava troppo, è ovvio. Che schifo, che robe. Ora, passi che un critico televisivo, si presume pagato per guardare la tv, debba trascorrere per contratto parte del suo tempo sorbendosi gli ottomila scarafaggi. Ma gli altri sei milioni di spettatori, che gli scarafaggi se li devono sciroppare gratis, perché mai lo fanno? Secondo una vulgata ormai comune, dietro la fedeltà masochistica del telespettatore a certe visioni pur orripilanti ci sarebbe il desiderio di scoprire «dove andranno a parare autori e conduttori, dove diavolo vogliono arrivare». Anche se non è poi così difficile scoprire dove vogliano arrivare: a farci dire «che robe, che schifo!» purché lo si ripeta sino all’ultimo titolo di coda a tutela del buon esito finale dello share.