Alessandra Farkas, Corriere della Sera 16/5/2009, 16 maggio 2009
Intervista allo scrittore Gay Talese: «I media continuano a osservare la realtà con spirito voyeuristico» - «Se non fosse stato per quelle fotografie e quei poster, i miei genitori non avrebbero neppure scoperto che l’America era in depressione»
Intervista allo scrittore Gay Talese: «I media continuano a osservare la realtà con spirito voyeuristico» - «Se non fosse stato per quelle fotografie e quei poster, i miei genitori non avrebbero neppure scoperto che l’America era in depressione». Gay Talese, il settantasettenne scrittore statunitense di origine italiana, autore di best seller quali «Onora il padre» e «Ai figli dei figli», ha un approccio tutto particolare alle opere esposte da oggi alla Fondazione Antonio Mazzotta di Milano nell’ambito della mostra «Usa 1929-1939. Dalla Grande Crisi al New Deal». «I miei genitori venivano dalla Calabria, un tempo Regno delle Due Sicilie, e non conoscevano il significato della parola ’depressione’ perché erano reduci da secoli di fame e povertà, dall’Impero romano in poi». Che cosa rivelano quelle immagini? «Due visioni opposte dell’America. I poster erano prodotti dalla propaganda dell’amministrazione Hoover, e all’insegna dell’ottimismo, promettevano un futuro industrioso e insieme ricco e felice. Come la religione, anche il governo serve a promuovere la speranza». Fa male a farlo? «Dico solo che la Casa Bianca cercò di offuscare la verità che, come si evince dalle drammatiche foto della mostra, era tutt’altro che rosea ». Il compito di raccontare la verità spettava dunque ai fotografi? «Non proprio. Per loro la depressione rappresentava un’opportunità per scattare grandi foto. Ma questi artisti, mossi da ideologia socialista, sceglievano selettivamente i loro soggetti. In sostanza, scattavano solo immagini di gente disperata e poverissima per ribadire le loro tesi prestabilite. Penso a Walker Evans che immortalò la povertà agraria del vecchio sud». possibile che la propaganda dei poster cercasse di contro-bilanciare il pessimismo di quelle immagini? «Certo, perché quelle fotografie ritraggono le masse sofferenti, capaci di far scoppiare una rivoluzione come in Unione Sovietica. Negli anni Venti e Trenta, l’America era terrorizzata da questa prospettiva». Esiste un parallelo iconografico tra la crisi del 1929 e l’attuale? «Nessuno sa davvero cosa stia accadendo oggi in America a causa del bombardamento multi-mediatico che per ventiquattro ore al giorno ci ripete che siamo ripiombati in depressione ». Non è forse così? «Come si spiega allora che a New York i ristoranti sono tutti affollati ed è impossibile trovare biglietti per teatri, concerti e cinema? Non crederò a questa crisi finché non vedrò code di gente per strada in cerca di un lavoro ». I media oggi sono peggiori di allora? «Lo ribadisco: quei fotografi erano tutti politicizzati e di estrema sinistra. Oggi i media si scagliano contro Bernie Madoff soltanto per il bisogno atavico che hanno di individuare un capro espiatorio». Vuol dire che oggi la stampa svolge male il proprio lavoro? «I giornalisti sono sempre estranei alla storia che raccontano. Scrivono di povertà e di guerra senza sentirle nel cuore. Vanno e vengono. Piombano al fronte – quello con le bombe vere o l’altro, fatto di stenti e privazioni assolute – e poi ripartono il giorno dopo, come se nulla fosse. Sono semplici voyeur ». Cinismo? « la natura della bestia, c’è chi ha bisogno per sopravvivere di divorare una storia dopo l’altra, meglio se negativa. Ma ciò era vero anche negli anni Venti e Trenta. Guardi quelle fotografie: documentavano la povertà? Certo, ma lo facevano in un modo forzato, teso a farci credere che tutte le persone al mondo stessero morendo di fame. Ma è semplicemente falso». L’America di oggi è più ottimista di allora? «Grazie a Barack Obama lo è. Ma negli anni Trenta anche Franklin Delano Roosevelt inaugurò una nuova era più ottimista e di speranza». Tra cinquanta anni, quali immagini verranno usate per documentare il nostro tempo? «Penso alla scena a cui ho assisto proprio ieri: un barbone che dormiva con la faccia affondata nella terra di un’aiuola, mentre accanto a lui passava un’elegante signorina tutta in ghingheri in un costoso abito di Balenciaga». Viviamo in un’epoca amorale? «Ieri passeggiando tra la Nona avenue e la Quarantaduesima strada ho visto un operaio che su un Caterpillar spostava pietre enormi con una maestria straordinaria. Gli ho chiesto il numero di telefono e gli ho detto che volevo scrivere un articolo sulla gente come lui che sa ciò che fa e, anche se guadagna poco, lo fa con orgoglio e passione. Più che l’amoralità, il problema del nostro tempo è proprio questo: pochissimi, inclusi gli amministratori delegati delle banche che guadagnano nove trilioni di dollari l’anno, sanno che diavolo stanno facendo».