Fabrizio Gatti, L’Espresso, 21 maggio 2009, 21 maggio 2009
FABRIZIO GATTI PER L’ESPRESSO 21 MAGGIO 2009
Le nuove rotte dei disperati Il volto feroce del governo italiano. I diktat di Gheddafi. Sui migranti si gioca una doppia partita politica. Mentre i trafficanti di uomini preparano un percorso alternativo a Lampedusa: che va dal nord dell’Algeria al sud della Sardegna
Migliaia di persone stanno marciando sulla via di Agadez. E ancora non sanno che una volta arrivati in Libia, rischiano di dover pagare altri soldi per raggiungere l’Europa. Cosa succederà, i passeggeri dei camion e dei fuoristrada in viaggio nel deserto lo scopriranno tra una ventina di giorni. Da Agadez, la porta del Sahara in Niger, a Tripoli sono almeno tre settimane di sabbia e pietre. Tre settimane in cui il governo italiano, il regime libico e i trafficanti giocheranno una partita che non esclude atti di forza. E quindi il pericolo di incidenti, naufragi e nuove vittime. I guadagni sono troppo alti perché i mudin, i trafficanti di uomini, possano rinunciare. E in Africa il bisogno di partire è troppo forte perché chi ha deciso di andarsene si rassegni a rimanere. Pochi giorni fa in un albergo dalle parti di Tunisi è stata discussa la soluzione. Una riunione riservata, tra boss del settore. C’erano i broker che procurano le barche e gli emissari che le riempiono di passeggeri. Scartata l’alternativa di aumentare le partenze da Marocco ed Egitto verso Spagna e Grecia, la loro scelta è caduta su una rotta che approda sempre in Italia. Parte dalle spiagge vicino ad Annaba, nel Nord dell’Algeria, e porta a Capo Teulada, nel Sud della Sardegna. Tra i 200 e i 280 chilometri di mare, contro gli oltre 300 che separano le coste libiche da Lampedusa. Un percorso inaugurato nel 2006 da alcuni ragazzi algerini. E collaudato nel 2008 con 1700 sopravvissuti alla traversata e 60 annegati. Un tasso di mortalità finora del 3,4 per cento (che comunque non tiene conto delle tragedie sfuggite ai controlli). Contro il 12 per cento della rotta libica: almeno 120 morti ogni mille emigranti partiti. Intanto il ministero dell’Interno ha dovuto rimuovere il nuovo centro di detenzione a Lampedusa, presentato in pompa magna lo scorso inverno. Al Viminale non avevano fatto i conti con la legge: quello che avevano costruito era abusivo.
La Tunisia continua ad essere la base della mafia che organizza il traffico di migranti. Dalla costa tunisina dieci anni fa sono cominciati i viaggi clandestini verso Pantelleria e Lampedusa. E qui ancora operano gli imprenditori che fanno affari con la compravendita di vecchi pescherecci, anche se dal 2004 gran parte delle partenze si è trasferita in Libia. I mudin contattati da "L’espresso" sono di origine tunisina. La riunione a Tunisi è stata decisa per studiare una rete di trasporto alternativa alla Libia. Anche se i trafficanti libici non vogliono perdere gli incassi. Guadagni spaventosi: per ogni euro investito nel viaggio dei pescherecci, se ne guadagnano milletrecento. L’Algeria sarebbe l’alternativa ideale perché confina con il Niger e il Mali, Paesi di transito o di origine di parte dell’emigrazione africana, senza l’ostacolo di altre frontiere. Ad Annaba, intorno al porto, c’è una buona disponibilità di vecchie barche da riciclare. Il problema in Algeria, rispetto alla Libia, è costituito dalla polizia e dall’esercito che hanno nuclei specializzati contro l’immigrazione. Ma la regione disabitata intorno ad Annaba è un nascondiglio ideale, già sfruttato dai terroristi islamici per rifugi e campi di addestramento. A Est della città e oltre il piccolo centro di Kala, per un centinaio di chilometri verso il confine con la Tunisia, si estende una zona di spiagge isolate. Punti ideali per nascondere migranti in attesa della partenza e caricarli sulle barche. Una costa favorevole che prosegue in territorio tunisino oltre Tabarka fino a Biserta. Una volta salpate, la rotta delle barche da Annaba prosegue a Nord Est sotto costa per una cinquantina di chilometri. Per poi affrontare il mare aperto fino al sud della Sardegna.
Se i trafficanti dovessero trasferire tutte le partenze lungo questa rotta, come accaduto cinque anni fa con il passaggio del traffico dalla Tunisia alla Libia, le conseguenze per Cagliari non sarebbero trascurabili. L’attuale centro per immigrati confina con l’aeroporto di Elmas. E lo scorso dicembre le proteste dei richiedenti asilo trasferiti da Lampedusa hanno spesso imposto la chiusura dello scalo e il dirottamento dei voli. I mudin contattati da "L’espresso" sostengono anche che le operazioni messe in campo da Silvio Berlusconi e dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, hanno un loro punto debole. questo: quanto durerà la disponibilità della Libia ad accettare sul proprio territorio gli stranieri intercettati in mare? Dopo l’euforia di Maroni per i respingimenti verso Tripoli all’inizio del mese, la polizia di Gheddafi ha già cominciato a dire no. Come l’11 maggio, quando la nave della Marina italiana Spica ha dovuto portare a Porto Empedocle 69 emigranti che la Libia e Malta avevano rifiutato. La questione è strategica. Il colonnello Muhammar Gheddafi da Berlusconi non voleva solo il risarcimento di guerra da 5 miliardi di dollari in 20 anni, che poi ha ottenuto. Chiedeva e continua a chiedere l’addestramento e l’accesso dei suoi ufficiali ai comandi dei satelliti militari che vigilano sul Mediterraneo, oltre alla fornitura gratis di droni, gli aerei senza pilota a guida satellitare. La clausola è contenuta nel protocollo tra ministri dell’Interno firmato a Tripoli il 30 dicembre 2007 da Giuliano Amato, allora ministro nel governo Prodi. Lo stesso protocollo che ora ha reso possibile le operazioni in acque libiche ordinate da Maroni. Secondo le richieste di Gheddafi, l’Italia a sue spese dovrebbe allestire un centro di comando a Tripoli, che includa i sistemi di controllo radar e satellitari più avanzati per la vigilanza sul mare. Il personale del centro comando dovrebbe essere misto, con militari italiani e libici. In altre parole significa far conoscere alle forze armate di Gheddafi i codici di comunicazione e di guida satellitare in uso tra l’Italia e altri Paesi alleati, tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti. E poiché con i satelliti si guidano o si neutralizzano anche aerei da guerra e missili, l’opportunità che la Libia ne faccia uso non è piaciuta ai vertici Nato e nemmeno allo Stato maggiore italiano.
Forse è per questo che l’esercito libico è piuttosto freddo alle richieste di Berlusconi sull’immigrazione. Tra gennaio e febbraio almeno diecimila persone e altrettante in marzo hanno attraversato il confine Sud, dal Niger verso Tripoli. Camion e fuoristrada sono visibili da decine di chilometri nel deserto. Basterebbe controllare i pozzi d’acqua, soste necessarie lungo la rotta degli schiavi che attraversa il Sahara. Ma i militari di Gheddafi sembrano piuttosto ciechi alla nuova ondata che passa tra le loro postazioni nella sabbia. un modo per ricattare il governo italiano e sollecitare l’accesso ai satelliti con la scusa di non poter altrimenti controllare il territorio.
Ed è anche un bene che l’esercito libico non intervenga nel deserto. Quando l’ha fatto tra il 2004 e 2005 è stata una strage. Centosei morti nei primi quattro mesi di applicazione dell’accordo sui rimpatri tra Berlusconi e Gheddafi. E sono solo le cifre ufficiali. Interrompere una traversata nel Sahara e rimandare indietro camion e fuoristrada può avere conseguenze drammatiche. Si rischia di lasciare centinaia di persone senza acqua, o senza viveri e carburante. Operazioni di questi tipo porterebbero alla morte. Nel 2005, dopo un’inchiesta de "L’espresso" e un’ispezione della Commissione europea in Libia, intervenne l’Europarlamento che votò una risoluzione di condanna dell’Italia e poi ottenne una sospensione dei rimpatri verso Tripoli. Prassi ripresa in questi giorni.
"I centri di detenzione in Libia sono già pieni ", spiega al telefono satellitare un mudin, "e le operazioni di rimpatrio verso il deserto sono praticamente impossibili. Almeno quelle verso il Niger, per la ribellione tuareg intorno ad Agadez e la guerra per l’uranio ". Un conflitto sostenuto dalla Francia, che ha destabilizzato la regione e dal novembre 2008 ha favorito la riapertura del traffico di clandestini. "Il blocco delle partenze non durerà molto. Solo la polizia libica se ne sta occupando. L’esercito sembra indifferente ", aggiunge il trafficante: "Senza espulsioni dalla Libia e senza barche verso l’Italia, il peso dell’immigrazione su Tripoli diventerà esplosivo. Ed è improbabile che l’Italia paghi la Libia per riportare la gente nei loro Paesi in aereo. Se lo faranno, sarà la solita mossa per la propaganda. Durerà qualche settimana e non di più. Ma se avrà successo, ci trasferiremo in Algeria e ricominceremo da lì. Ovviamente verranno in Algeria gli emigranti che posso pagare la differenza del costo di viaggio. Gli altri resteranno in Libia".
Pensare di bloccare l’emigrazione illegale africana senza incidere sulle cause che la provocano è pura utopia. O solo uno spot pubblicitario, come dice il mudin al telefono. E questa è una delle necessità del ministro dell’Interno. Senza respingimenti in mare direttamente in Libia, Maroni rischiava di veder smentire tutte le promesse su cui ha costruito il suo consenso politico. E su cui la Lega e la coalizione di Berlusconi stanno costruendo la loro campagna per le europee. Due le ragioni: una paesaggistica, l’altra economica.
Lo scorso inverno Maroni aveva deciso di non trasferire più nei campi di detenzione italiani le persone sbarcate a Lampedusa. Trasformando così l’isola in una specie di Alcatraz dell’immigrazione. Per dare seguito al progetto, che ha scatenato la protesta degli abitanti dell’isola, il ministero ha fatto trasformare la base Loran per l’assistenza alla navigazione in un nuovo centro di identificazione ed espulsione. In poche settimane sono stati allestiti gli spazi, i terrapieni e i container in lamiera dentro cui rinchiudere per sessanta giorni gli emigranti. Un piano annunciato in tv e ora archiviato in silenzio. Il 5 maggio, i funzionari di Maroni e del prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Libertà civili e immigrazione, dettano all’agenzia Ansa un comunicato che riscrive la cronaca: "Un progetto, voluto dal Viminale, per il recupero, il disinquinamento e la valorizzazione ambientale dell’area dell’ex base Loran, è stato presentato al Comune di Lampedusa". Ma che c’entra il ministero dell’Interno con la valorizzazione ambientale? La verità è poche righe dopo: "Intanto prosegue la rimozione di parti di strutture temporanee leggere che erano in corso di installazione per consentire una migliore qualità di accoglienza degli ospiti del centro, dopo il parere negativo all’ampliamento da parte della conferenza dei servizi di Palermo". Lo staff di Maroni non aveva rispettato le norme paesaggistiche e per questo la conferenza dei servizi ha ordinato lo smantellamento. Senza ampliamento, però, Lampedusa non può funzionare come isola prigione. Anche perché il primo centro è ancora pieno per il mancato trasferimento degli immigrati sbarcati in marzo e bloccati da Maroni sull’isola. E un’ondata di sbarchi come quelli dell’inverno scorso provocherebbe il caos. L’altra ragione economica è legata ai tagli subiti dalla polizia per ricavare i cento milioni di euro da destinare al Nord alle ronde (vedi tabella). Tagli per decine di milioni che colpiscono i compensi per gli interpreti, il pagamento degli straordinari, le indennità di ordine pubblico, le missioni interne ed estere: soldi spesi soprattutto per l’identificazione, l’accompagnamento o il rimpatrio degli immigrati irregolari. Se quest’anno a Lampedusa arrivassero 30.657 persone come nel 2008, il ministero non avrebbe denaro a sufficienza per pagare il personale. Un allarme ripetuto in questi giorni da due sindacalisti della polizia, Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap, e Enzo Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari, che condannano i tagli imposti alla polizia per favorire i sindaci della Lega.
"Se escludiamo i richiedenti asilo che l’Italia è obbligata ad assistere", osserva Paola La Rosa, del comitato dei cittadini di Lampedusa, "il numero di immigrati irregolari arrivati sull’isola nel 2008 si riduce a 9 mila. Ha senso mettere in pericolo la vita di migranti e rifugiati per 9 mila persone? Oppure è solo propaganda?". I dati di Frontex, l’agenzia che coordina le forze contro l’immigrazione nell’Unione Europea, danno ragione ai cittadini di Lampedusa. Il maggior numero di ingressi irregolari nell’Ue, oltre 62 mila nel 2007, è via terra attraverso la frontiera greca. Eppure gran parte delle risorse viene spesa per le operazioni congiunte in mare, nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico. Queste le regole di ingaggio di Frontex per bloccare le barche partite dall’Africa Occidentale per le Canarie: convincere le persone intercettate in mare a tornare indietro oppure scortarle fino alla costa più vicina in Senegal e Mauritania. Ma se gli occupanti di una barca non si lasciano convincere? Il governo spagnolo, responsabile di queste operazioni, lascia salire a bordo delle proprie motovedette ufficiali di polizia mauritani e senegalesi. Una violazione della Convenzione di Ginevra, nel caso a bordo ci fossero richiedenti asilo fuggiti dalla Mauritania o dal Senegal. I pattugliamenti congiunti di Frontex sotto la costa africana hanno contribuito a ridurre il numero di morti segnalati: dai 1035 del 2006 ai 136 dello scorso anno. Ma hanno anche spostato la rotta del Sahara verso Est. Respinti dall’Atlantico migliaia di emigranti riprovano dalla Libia raggiungendo così l’Italia. Da qui il record di sbarchi lo scorso anno a Lampedusa. Con l’aumento dei morti registrati: da 302 a 642.
Il rischio che le operazioni italiane, spagnole e anche greche spostino la rotta lungo percorsi ancor più pericolosi è stato denunciato dal Parlamento europeo già nel 2006. Ma è caduto nel vuoto. "Gli sforzi per ridurre il numero di migranti che raggiungono l’Europa non ha ridotto il numero di immigrati irregolari ", spiega l’autore del dossier, Thomas Spijkerboer, professore all’università di Amsterdam: "Questi sforzi hanno però spostato le rotte da un luogo all’altro e sono stati accompagnati da un aumento del numero di morti ai confini esterni della Ue. L’incremento dei costi in vite umane dovrebbe essere considerato nel dibattito in corso sul rafforzamento delle frontiere ". Così come dovrebbe essere considerata la sorte dei ragazzi, delle donne e dei bambini riportati dalla Marina militare italiana a Tripoli. Che ne sarà di loro? Vale la pena ricordare l’audizione nel febbraio 2006 al Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti del prefetto Mario Mori, capo dell’intelligence del governo Berlusconi: "I clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi... persone ammassate una sull’altra senza rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili".