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 2009  maggio 15 Venerdì calendario

BALLANDO SULL’ORLO DEL DEBITO PUBBLICO

In un libro degli anni 30, René Daumal descrisse il paradosso del "monte analogo", il più alto del mondo insieme all’Everest, ma del tutto nascosto agli occhi dei viaggiatori a causa di un’abnorme curvatura dello spazio. Nel dibattito politico italiano succede qualcosa di simile con il debito pubblico, destinato a tornare entro 20 mesi al 120% del Pil, livello a cui si trovava negli anni 90 quando il paese danzava sull’orlo del collasso finanziario. Questo "debito analogo" è del tutto nascosto agli occhi del pubblico da un’abnorme curvatura del dibattito politico.
Non è così nei paesi vicini. Mercoledì, in un intervento a Bochum, la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha cominciato un’opera di realismo insolita nel mezzo di una campagna elettorale: «Ci aspettano anni molto difficili - ha ammesso - : abbiamo di fronte a noi sforzi drammatici». Parlava agli amministratori delle municipalità tedesche e si riferiva infatti allo stato delle finanze pubbliche. La politica, sostiene Merkel, deve fare la propria scelta e volgere le risorse pubbliche al sostegno dell’istruzione e dell’innovazione.
Nelle stesse ore a Parigi, il primo ministro francese François Fillon si esprimeva con altrettanta schiettezza sui problemi dell’economia francese e sulle conseguenze sui conti pubblici: «Rifiuto in tutti i modi l’idea di alzare le tasse - ha detto a Le Figaro- , taglieremo invece la spesa pubblica, bloccheremo il turn-over dei dipendenti statali, procederemo a una revisione della spesa con proposte entro l’estate e rivedremo le tasse locali». Il debito pubblico aumenterà enormemente in tutto il mondo sviluppato. Il Fondo monetario prevede che nei paesi del G-20 il debito aumenti dal 75% del Pil al 110% nel 2014, o addirittura al 140% se prevarranno condizioni meno favorevoli. In soli due anni tra il 2008 e il 2010 il debito medio dell’area euro sta aumentando di 14 punti percentuali (18 nella media Ue). I margini d’azione dello Stato ne saranno ovunque molto condizionati e così il rapporto democratico tra poteri pubblici e cittadini. La politica dovrebbe fin d’ora stabilire un percorso - la società della conoscenza per la Merkel, quella dell’efficienza pubblica per Fillon - e condividerlo con l’opinione pubblica. Ma nonostante condizioni particolarmente critiche della finanza pubblica, la strategia finanziaria dello Stato non ha parte rilevante nel dibattito politico italiano. Si hanno segnali di tensioni nell’Esecutivo, spesso su singole spese, ma non c’è possibilità di misurare quale sia l’elaborazione politica sulle scelte di lungo periodo, né del governo né dell’opposizione.
In attesa a fine mese delle valutazioni della Banca d’Italia, la pubblicazione in aprile della «Relazione unificata sull’economia e sulla finanza pubblica» ha offerto le basi quanto meno per discutere l’inquadramento di finanza pubblica. La Relazione, ben documentata, considera previsioni simili a quelle delle istituzioni internazionali, ma è leggermente più ottimista sui saldi di finanza pubblica. I dati più recenti sul calo delle entrate tributarie, e in particolare dell’Iva, non sono però confortanti, e adottando il quadro previsionale di medio-lungo termine di altri governi europei, la spesa in conto interessi rischia di rappresentare di nuovo una fonte d’impoverimento del paese.
La Relazione contiene inoltre numerosi spunti d’interesse sulla rigidità dei meccanismi di spesa tradizionali, pensioni e stipendi pubblici, e sulla carenza degli ammortizzatori sociali. Tuttavia in un’operazione di controllo dei costi paragonabile per dimensione a quella degli anni 90 - ma senza il beneficio di allora del calo della spesa per interessi - la strategia di rientro del debito deve essere ancora più ambiziosa di quella implicita in una riforma della spesa sociale. Nella stessa relazione si considera la possibilità, per esempio, che nel corso di quest’anno la pressione fiscale aumenti al 43,5% del Pil in ragione di entrate fiscali che calano proporzionalmente meno del prodotto lordo. difficile immaginare che un aggiustamento di questo tipo possa durare negli anni, così come non si può immaginare di agire sulla spesa, senza agire contemporaneamente sulla crescita.
Dietro le indicazioni di Merkel e Fillon c’èinfatti la visione di un modello dicrescita.
La Germania punta decisamente a migliorare l’istruzione dei suoi lavoratori e il contenuto di tecnologia delle sue produzioni, coerentemente con un’economia che ha una quota di export pari al 49% del Pil contro il 27% della Francia e una dipendenza dal settore manifatturiero doppia di quella francese. Al contrario la Francia punta a rendere più efficiente il ruolo pubblico, coerentemente con un’economia in cui i trasferimenti sociali e gli stipendi pagati ai dipendenti del settore pubblico sono pari al 56% del reddito disponibile contro il 43% di quello tedesco.
Considerando che l’aumento del debito pubblico in molti grandi paesi, in particolare negli Stati Uniti, eserciterà una pressione al rialzo dei tassi d’interesse reali, è probabile che nell’area dell’euro debba prendere forma un processo coordinato di consolidamento della finanza pubblica, in modo da minimizzare il costo d’emissione di titoli pubblici in euro. Se però gli altri governi, come Germania e Francia, dispongono d’una visione strategica coerente, che combina riduzione del debito e stimolo alla crescita, è indispensabile che anche l’Italia sviluppi una propria via per lo sviluppo coerente con il processo di riduzione del debito.
Quale sia la specifica strada italiana non è certo domanda di poco riguardo. Proprio secondo la Relazione unificata, la crescita potenziale dell’economia italiana - calcolata come la capacità di sviluppo data dalla disponibilità di lavoro e capitale, in ragione del livello tecnico del paese sarà vicina a zero nel corso dei prossimi due anni a causa del trend negativo della produttività totale dei fattori di produzione. Non vi sono dubbi dunque che la struttura dell’economia vada ancora riformata. Probabilmente dove non è ancora stata toccata e cioè nel settore dei servizi locali, pubblici e privati, fortemente controllati dalle amministrazioni locali o in mano a gestioni private con finalità pubbliche. La cronaca delle vicende italiane, dai rifiuti all’Alitalia, dall’Expo alla sanità, rivela un’inefficienza che frena la crescita e costa denari pubblici.
Ma toccare questa intelaiaturad’interessi economici e politici che copre l’intero territorio significa andare a recidere, da Ragusa a Bolzano, la nervatura del consenso territoriale dei partiti. forse questa l’abnorme curvatura del dibattito politico che cancella dalla visione del cittadino il "debito analogo"?