Paolo Di Stefano, Corriere della sera 11/5/2009, 11 maggio 2009
SELLERIO: QUARANT’ANNI IN GIALLO MA L’ORIGINALITA’ OGGI E’ RARA
Con che orgoglio Antonio Sellerio parla della casa editrice fondata quarant’anni fa dai suoi genitori, il celebre fotografo Enzo e Elvira, funzionario di un ente pubblico, che un bel giorno, come suo marito, decise di lasciare tutto per dedicarsi ai libri. Eppure a 37 anni Antonio non può che ricordare se stesso bambino passare il pomeriggio dagli uffici e incrociare, con il pallone sotto braccio, la figura minuta e discreta di Sciascia. Ora anche lui, laureato alla Bocconi, non pensa ad altro che ai libri (e non ha certo bisogno di una qualifica nell’organigramma). Senza mai dimenticare il principio che ispirò la nascita della casa editrice: «Il libro come servizio che si può rendere alla società ». Da lì vennero fuori, fautore il consulente principe Leonardo Sciascia, i memoriali, le inchieste civili, le cronache storiche che hanno caratterizzato buona parte del percorso della Sellerio. Oggi, nel tempo del trionfo del mercato, mirare al «servizio da rendere alla società » sembra anacronistico: «Mia madre – dice Antonio Sellerio – sostiene che il segreto è quello di pensare il lettore come una persona più colta e più esigente di noi. D’altra parte sappiamo che solo l’attenzione al mercato ci garantisce l’indipendenza economica, fondamentale per fare i libri che ci piacciono».
Sellerio significa Sciascia: «La casa editrice è nata con lui e con l’antropologo Antonino Buttitta. I miei si rivolsero subito a Sciascia, che si avvicinò sempre più a noi in modo disinteressato. Diede la linea, l’impronta del suo gusto e delle sue passioni, prodigo di consigli anche sugli aspetti minimi». Tra i ricordi del bambino Antonio c’è anche una giornata, tra le tante, passata in casa Sciascia a Racalmuto: «Mi ricordo che aveva dei fucili da caccia, e in campagna un giorno mi fece sparare ai barattoli di caffè. E poi ricordo le viti di uva fragola, piccola e dolcissima». Una delusione quando cedette all’Adelphi i diritti delle sue opere? «Beh, a chi non piacerebbe avere in catalogo tutto Sciascia...».
Tremila titoli dal 1969. Ma tre libri da ricordare come tappe fondamentali: L’affaire Moro
(1978), Diceria dell’untore (1981), La forma dell’acqua (1994). Che corrispondono a tre nomi sicilianissimi: Sciascia, Bufalino, Camilleri. «Il pamphlet di Sciascia – dice Sellerio – fu un libro importantissimo prima di tutto per il Paese, perché in anticipo su tutti diceva delle verità contro la politica. E fu importante per noi, perché ci pose per la prima volta alla ribalta nazionale e internazionale: uscì in una collana elegante, ’La civiltà perfezionata’, libri con la velina sulla copertina bianca e con le pagine intonse. Qualcuno ci scrisse: va bene che siete poveri editori del Sud, ma almeno le pagine potevate tagliarle... Fu difficilissimo star dietro alle centomila copie». L’anno dopo nacque la collana più famosa, la «Memoria», piccoli libri blu elegantissimi, disegnati da papà Enzo, ma a basso prezzo. Fu lì che uscì il primo romanzo di Bufalino: «Era la prima volta che riuscivamo a lanciare un autore esordiente».
Com’è che uno schivo professore di liceo a Comiso divenne un caso editoriale? «Fu una vera e propria scommessa. Un giorno Enzo Siciliano era a Palermo da noi con Sciascia. Leggendo la sua presentazione a un libro fotografico, disse: ’Ma questo è uno scrittore’. E mia madre: ’Scommettiamo che ha un romanzo nel cassetto?’. Gli telefonò subito e si sentì dire: ’Ne ho due, di uno sono convinto, dell’altro no’». Che personaggio avete incontrato? «Il contrario di Sciascia, parlava molto, raccontava tutto, ci scriveva lunghe lettere in cui elencava i libri che leggeva. Bisognava fermarlo».
Un po’ come Camilleri? «Camilleri è trascinante non solo per i lettori, è propositivo, disponibile, entusiasta. Qualche anno fa ci consigliò di pubblicare i genitori del giallo nordico: Maj Sjöwal e suo marito Per Wahlöö, anticipando il filone del giallo scandinavo. Il successo di Camilleri arrivò in un momento di difficoltà finanziarie per la casa editrice e fu fondamentale per la sua sopravvivenza. Oggi ci permette di continuare a lavorare con serenità». Sciascia ne sarebbe contento? «Mia madre ripete sempre di non mettere in bocca a Sciascia le parole che non ha detto, ma penso di sì. Fu lui a portare in Sellerio i primi libri di Camilleri che, con il suo personalissimo stile, riprende le stesse istanze: impegno civile e uso dello strumento del giallo per comunicare fatti umani, politici, sociali». Camilleri non era all’esordio quando si impose con il suo Montalbano: «Nell’84 da noi uscì La strage dimenticata, ma non lo lesse nessuno...».
Capisaldi siciliani, ma anche tanti italiani del Continente: da Tabucchi a Carofiglio, da Laura Pariani a Lucarelli. A proposito di Lucarelli, nel giallo la Sellerio fu in qualche modo un editore pionieristico. «Era la passione di Sciascia per un genere letterario allora poco frequentato da noi, se si esclude l’edicola. Negli ultimi anni la narrativa gialla italiana è molto migliorata e ha un successo commerciale sicuro ». Sono lontani i tempi in cui lo sconosciuto Lucarelli, appena laureato, mandò un romanzo, Carta bianca, derivato dalla sua tesi in Scienze politiche sulla polizia sotto il fascismo: «Mia madre lo lesse, senza segnalazioni, e lo chiamò. Sentendola al telefono, Lucarelli pensò che si trattasse di uno scherzo».
Tremila manoscritti l’anno, buona parte dei quali romanzi gialli. Un incontro ogni mese in famiglia (c’è anche Olivia, la sorella di Antonio) per prendere le decisioni: «Il fatto che in genere siano ben scritti complica molto le cose. Però trovare qualcosa di davvero originale è raro. Carofiglio, per esempio, aveva, tra l’altro, il grande merito di raccontare storie attraverso il processo penale. Oggi siamo molto più cauti nel proporre nuovi autori di gialli». Un estratto del catalogo sono i venti volumi «storici» che vengono riproposti per celebrare i quarant’anni: oltre a quelli citati, Maria Messina, Luisa Adorno, Consolo, Atzeni, Canfora, Sofri, Piazzese, e gli stranieri «gialli»: il misterioso Holiday Hall, lo svizzero Glauser, Alicia Giménez-Bartlett, che sbanca in queste settimane, il cileno di culto Roberto Bolaño. Niente male.
Grazie a Camilleri, è lontano anche il tempo in cui, pubblicato il primo libro da Sellerio, lo scrittore fuggiva tra le braccia dei grandi editori: «Ormai è difficile che succeda. Per Camilleri e per Carofiglio restiamo l’editore principale, perché con noi vendono di più che con la Mondadori. Per alcuni autori siamo più accoglienti e il pubblico ha fiducia e ci segue perché non percepisce i nostri scrittori come oggetti di marketing». Poi ci sono le riscoperte. Tra le più recenti, Mario Soldati, con ben otto titoli: « sempre stato un pallino di mia madre. Era scomparso dai cataloghi, fu una fatica cercare l’agente o prendere contatti con la famiglia ». Oggi è più facile che in passato? «Negli ultimi dieci anni il mercato è cambiato molto: prima arrivavano a 100 mila copie pochissimi titoli, oggi quei pochi arrivano a 300 mila. Questo fenomeno si accompagna alla complessiva stabilità: il mercato dei libri non perde e non guadagna. Il che significa che la gran parte dei titoli, che un tempo vendevano tre-cinquemila copie, fa molta più fatica di prima. Si punta soprattutto sui pochi bestseller sicuri e per gli altri è una fatica...». Anche per la Sellerio? «Il nostro vantaggio è che non ci sono i manager costretti a guardare il budget dell’anno prima per superarlo. Sarebbe dannosissimo».