Sergio Romano, Corriere della sera 11/5/2009, 11 maggio 2009
GLI STATI UNITI E CUBA COME REVOCARE L’EMBARGO
Mi piacerebbe avere un suo parere sull’idea che mi sono fatto della politica estera di Obama. La realtà geopolitica da almeno 70 anni dice che gli Usa rappresentano la civiltà occidentale e la capacità dell’Occidente di operare politicamente, economicamente e militarmente. Oggi il presidente Obama sta portando avanti una politica di concessioni, di primi passi unilaterali aprendo alle dittature di tutto il mondo, concedendo ai dittatori un certificato di buone intenzioni preventivo. Ultima apertura, in ordine di tempo, quella a Cuba e ai dittatori della America Latina. Qualche giorno fa in un’intervista al Corriere, lo scrittore Padura Fuentes afferma, riferendosi a Barack Obama: «L’importante è che sia realista: non pretendere dal governo cubano ciò che il governo cubano si sa che non concederà. Non porre condizioni...». Più avanti alla domanda «Da parte di Cuba, che cosa potrebbe fare Raúl Castro per mostrare volontà concreta di disgelo?», la risposta è: «L’Avana non deve dimostrare nulla». Per poi chiudere con: «La fine dell’embargo è qualcosa che deve accadere: sarebbe salutare per il mondo intero.
una questione che porta 40 anni di ritardo. Se si risolvesse, si potrebbe passare oltre ed entrare in altre discussioni». Certamente sbaglierò nell’interpretare queste frasi, ma mi sembra che il succo sia più o meno questo: che gli Stati Uniti facciano ciò che comoda a noi, si assumano le colpe di tutto, non chiedano niente in cambio poi, se ne avremo voglia, faremo qualcosa che riporti un po’ di democrazia per la nostra gente, ma, sia chiaro, senza alcun impegno.
Roberto Bellia
paradosso44@yahoo.it
Caro Bellia,
L’intervista di Leonardo Padura Fuentes non mi ha sorpreso. Nei rapporti fra gli Stati Uniti e Cuba vi sono emozioni, risentimenti e rancori che emergono nelle dichiarazioni dell’intellettuale e dell’uomo della strada di ambedue i Paesi. Ma il nocciolo della questione è l’embargo con cui Washington, mezzo secolo fa, cercò di stroncare l’esperimento social-comunista di Fidel Castro e di restaurare il rapporto di sudditanza che aveva legato l’isola al suo grande vicino settentrionale sin dalla guerra ispano-americana del 1898.
Gli embarghi sono utili soltanto quando producono nel giro di qualche mese i risultati desiderati. Se prolungati nel tempo diventano, prima o dopo, inutili e controproducenti. Quello degli Stati Uniti, in particolare, si è dimostrato un disastroso errore politico. Ha colpito duramente le popolazioni civili. Ha alimentato il fuoco del nazionalismo cubano. Ha creato sentimenti di rabbia e rancore verso il vicino del nord. Ha fornito a Castro gli argomenti di cui aveva bisogno per trattare i suoi oppositori alla stregua di traditori della patria. Ha impedito così la nascita di una opposizione efficace. Un altro Paese se ne sarebbe accorto da molto tempo e avrebbe corretto gradualmente la propria politica. Ma l’America, con le sue molte virtù, ha difetti di cui fatica a sbarazzarsi: l’ostinazione protestante di chi ha preso alla lettera i principi dell’Antico Testamento e una buona dose di arroganza imperiale. L’embargo ha avuto così un duplice effetto negativo: ha imprigionato Cuba economicamente e gli Stati Uniti intellettualmente.
Credo che Obama l’abbia capito e sia disposto a revocarlo. Ma non può farlo dall’oggi al domani perché le sue prime iniziative di politica estera hanno suscitato in parecchi americani reazioni simili, caro Bellia, a quelle espresse nella sua lettera. stato duramente censurato da quella parte della società politica degli Stati Uniti che aspetta ansiosamente i suoi passi falsi e deve guardarsi le spalle. questa, credo, la ragione per cui il Dipartimento di Stato continua a includere Cuba fra i Paesi sponsor del terrorismo. Per toglierla dalla lista e abolire l’embargo, Obama ha bisogno di cogliere qualche frutto da esibire alla propria opinione pubblica. Il problema, quindi, non è quello posto da Padura Fuentes (se sia giusto o no chiedere a Cuba qualche cambiamento in materia di diritti umani e civili). Il problema è la capacità del governo cubano di dare una mano a Obama con un segno di buona volontà, come, ad esempio, la liberazione di qualche prigioniero politico. Suppongo che Raúl Castro sia pronto a farlo, ma temo che anche lui, come Obama, abbia dietro le spalle i duri del regime (fra cui forse il fratello Fidel) che sono pronti a denunciare i suoi «cedimenti ». Sono queste le vere difficoltà e incognite del negoziato fra Cuba e gli Stati Uniti.