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 2009  maggio 13 Mercoledì calendario

L’HACKER SALVATO DA DON CHISCIOTTE


I libri allungano la vita, aveva detto Umberto Eco due anni fa aprendo la Fiera di Torino. Domani sarà di nuovo qui a parlare di libri, o meglio dei nemici dei libri che in questo mondo di immagini e parole ci appaiono talvolta antichi, superati, minacciati. Dal rogo della grande biblioteca del Nome della rosa all’invadenza di Internet. Eppure, dirà Eco in un dialogo con Jean-Claude Carrière, i nemici dei libri non devono illudersi: non vinceranno. Ma chi sono questi nemici? Eco ce lo ha raccontato in una intervista che anticipa le sue parole e il tema di fondo di tutte le fiere dei libri: salvare le parole scritte su carta.
Professor Eco, il suo ultimo libro si intitola Non sperate di liberarvi dei libri. Ma chi è che spera? Chi sono i nemici dei libri?
«Principalmente gli uomini, che li bruciano, li censurano, li chiudono in biblioteche inaccessibili, condannano a morte chi li ha scritti. Non, come si crede, Internet o altre diavolerie. Internet insegna ai giovani a leggere, e serve a vendere uno sfragello di libri».
Cos’è un libro? Lei dice che l’oggetto libro potrebbe evolversi, le sue pagine potrebbero non essere più di carta. Ma un libro non di carta è ancora un libro?
«Un libro è un insieme di fogli stampati possibilmente sui due lati per risparmiare spazio, di formato tale da stare comodamente in mano o almeno sul tavolo davanti al lettore, facilmente sfogliabile, abbastanza legato da non far sì che i fogli si sparpaglino, e che esiste in più copie. Tra la carta di stracci di un incunabolo e la carta riciclata di certi libri a buon prezzo c’è la stessa differenza che tra un foglio di carta e un foglio di qualche materiale plastico. Il problema non è di cosa sarà fatto il foglio, ma se sarà leggibile e sfogliabile».
Lei conserva tutti i libri che compra e che legge?
«Io conservo tutti quelli che compero perché ormai acquisto solo libri antichi, quelli moderni mi arrivano gratis e sono anche troppi. Quindi ne regalo molti ai miei studenti. Naturalmente conservo quelli che ho letto, anche perché di solito li annoto».
Che sensazione prova quando li butta?
«Raramente ho buttato via un libro. Talora ho buttato con rabbia un libro che arrivava con una lettera che diceva: ”Le sarà grato se dopo averlo letto mi invierà un suo giudizio”. Che improntitudine! Non solo chiedermi di leggerlo ma anche di scriverci un saggio! E gratis. Io non sono mai stato così maleducato».
L’e-book è un libro?
«Non corrisponde alla definizione di libro che ho dato poco fa. Ma se a modo suo risulterà leggibile (senza stancare gli occhi), sfogliabile facilmente, maneggevole, capace di essere letto anche se non si hanno batterie cariche, e soprattutto durevole (non smagnetizzabile), se ne potrà parlare. troppo presto per pronunciare giudizi».
Lei usa l’e-book?
«Non ancora, ma se, per qualsiasi lavoro, avessi da trasportare diecimila pagine di documenti, lo userei con molta soddisfazione. Per leggere un romanzo non so. Per me è importante bagnarmi il dito per girare le pagine».
Pensa che l’e-book possa produrre nuovi (o giovani) lettori?
«Mi hanno raccontato di un hacker del Mit che da quando ha avuto tra le mani un e-book ha cominciato a leggere romanzi, iniziando col Don Chisciotte. Come vede le vie del Signore sono infinite».
E nuovi scrittori possono nascere dall’e-book?
«Se c’è uno scrittore che può scrivere solo per un e-book, sarà meglio evitarlo».
C’è un tipo di lettura più adatta all’e-book?
«Continuiamo a girare intorno alla stessa domanda. Bisogna vedere cosa succederà. Ma insomma, mi dica: lei ha un e-book? E se no, perché se la piglia tanto a cuore?».
Perché La Stampa lancia alla Fiera del libro il suo e-book... Ma come dice lei, aspettiamo e vediamo. Intanto, però, prendiamo i ragazzi: oggi molte delle ricerche le fanno su Internet. Come riscriverebbe oggi il suo classico Come si fa una tesi di laurea?
«I concetti fondamentali non cambierebbero. Cambierebbe naturalmente l’ultimo capitolo che non riguarderebbe la scrittura a macchina ma quella sul computer, e cambierebbero le istruzioni sulla schedatura, perché certamente si fa prima a tenere le schede su una chiavetta per il computer che a portarsi dietro un raccoglitore di metallo. Poi ci vorrebbe un capitolo su come diffidare di Internet, e cioè con quali tecniche discriminare tra siti attendibili e siti inattendibili. E infine raccomandazioni su come stare attenti a mettere le virgolette quando si scarica un articolo altrui, in modo da non usarlo poi come se fosse farina del nostro sacco».
Che differenza c’è tra Internet e una grande biblioteca?
«Internet è la gran madre di tutte le biblioteche. Come ogni biblioteca contiene e il Vangelo e Mein Kampf. Le differenze sono due: primo, i libri di una biblioteca mostrano, attraverso il nome dell’editore, il loro grado di attendibilità e i siti Internet invece no (ci vuole una grande cultura e una grande astuzia per usare bene Internet); secondo, Internet dà anche edizioni complete di grandi opere, ma solo in traduzioni fuori diritto e non nella più recente edizione critica. Quindi non va bene per molte ricerche di qualità filologica».
Infatti in Internet, in vista dell’era e-book, ma non solo, si stanno formando varie biblioteche digitali che conterranno milioni di libri scaricabili online per cifre molto più modeste dei libri di carta. Il grande problema sono i diritti d’autore. Google ha chiesto ad autori e editori di rinunciare ai copyright in cambio di un forfait. Lei aderirà?
«Sono sempre favorevole alla diffusione dei libri e ho già aderito a richieste di dare un mio libro con un quotidiano anche se il forfait era modesto. Naturalmente dipende dalle condizioni: credo si dovrà fare una differenza tra il forfait per un libro che ha venduto sinora mille copie e uno che ne ha venduti alcuni milioni. Google non è una onlus e gli scrittori debbono trarre un giusto guadagno dal loro lavoro».
Non pensa che già oggi Internet sia lo strumento più efficace di lavoro, ricerca, condivisione, confronto anche immediato. E che i libri corrano il rischio di diventare un passatempo, l’evasione, un feticcio da collezionisti?
«No».
Su Facebook gruppi di appassionati di scrittura creativa si sono dati l’obiettivo di scrivere un romanzo infinito, in condivisione. un esperimento interessante, o questa e altre avventure simili sono stupidaggini da cui tenersi alla larga?
«Sono forme legittime di divertimento, ed esercizi di scrittura. Li facevano anche i surrealisti e per dei ragazzi posso educare l’immaginazione».
In Italia si dice che i lettori cosiddetti forti siano sempre più forti, mentre quelli deboli siano sempre più deboli e l’area di non lettura sia sempre più larga. Che ne pensa?
«Non ci credo. Non ho mai visto tante librerie, talora di più piani, e così frequentate da giovani. O quelli che costruiscono e gestiscono queste librerie sono degli idioti che amano perdere il loro denaro, oppure c’è ancora gente che legge. Piuttosto, dieci lettori quando ero ragazzo e al mondo c’erano due miliardi di persone erano molto di più di venti lettori quando i miliardi sono ormai sei. Ma non so se qualcuno abbia mai fatto in modo scientifico degli studi su queste proporzioni».
Prendiamo l’aspetto del confronto immediato: da una parte all’altra del mondo, è un valore che il libro a differenza di Internet non permette se non con uno scarto di tempo che il modo attuale di vivere non accetta più. Non sarà questo un elemento che rende obsoleto il libro?
«Caso mai direi che questo è il vantaggio del libro. Non esageriamo coi confronti immediati, e impariamo a rifletterci su da soli».
Oppure: tutto ciò non significa che ai libri resterà il compito di tramandare ciò che è sempre attuale e cioè che ha valore universale?
«La Divina Commedia su Internet ha valore universale, un volume anche rilegato di barzellette su Totti non lo ha. E allora?».
Hanno cominciato a frequentarsi nel ”79, quando Eco lavorava al Nome della rosa, e da allora è stato un crescendo. Per Il pendolo di Foucault il professore aveva messo alla frusta se stesso e gli amici a caccia di antichi testi «rosacrociani», i documenti cioè attribuiti alla misteriosa setta che nel romanzo combina un sacco di guai. E Umberto Pregliasco, dalla sua storica bottega antiquaria di Torino, si era ritrovato a diventare ogni giorno di più fornitore della real casa. Un «pusher» e un amico, visto che i bibliofili hanno con gli antiquari un rapporto particolarmente stretto. Condividono un segreto e una passione. E l’autore del Nome della rosa è notoriamente il re dei bibliofili.
«La sua collezione più importante è di certo quella di testi rosacrociani - racconta Pregliasco - ma col tempo ha raccolto di tutto, badando alla sostanza più che alla forma, con un’abilità straordinaria. Riusciva - e riesce - a mettere a segno colpi magnifici perché la sa più lunga degli altri». Già prima di Internet, dove si controllano agevolmente i prezzi in ogni parte del mondo, «Eco era informatissimo. Diciamolo, anche se uno ci avesse voluto provare, sarebbe stato impossibile fregarlo. Studiava i cataloghi cartacei di aste e antiquari, e li memorizzava in modo sbalorditivo».
Gli anni Novanta furono quelli di una gara senza esclusione di colpi con un grande collezionista olandese, Joost Ritman, re delle forchette di plastica. Ne parla nella Memoria vegetale, gli scritti di bibliofilia, pubblicati da Bompiani-Rovello. «Incaricava gli amici di presentarsi alle aste senza farsi notare. Ci sono andato anch’io varie volte. Nel frattempo Ripman è fallito, e i suoi tesori sono alla Biblioteca di Amsterdam». Invece Eco organizza piccole mostre a proprio beneficio nella casa milanese, in una serie di vetrine nel salotto. «Ricordo un periodo che le cambiava ogni settimana: una mostra personale, a tema». Il sogno di tutti i cacciatori di libri.