Marco Pivato, La stampa 13/5/2009, 13 maggio 2009
LA MACCHINA DEL TEMPO? ECCOLA
Quando sarà a un milione e mezzo di chilometri da Terra, «Planck» scatterà foto ricordo dell’Universo in culla, come appariva oltre 13 miliardi di anni fa, e registrerà l’eco del Big Bang. Ma tra le metafore e la pratica c’è un mastodontico lavoro, con team di astrofisici impegnati a ripulire e tradurre le informazioni matematiche.
Il satellite ora si trova nella base dell’Agenzia spaziale europea, a Kourou, Guyana Francese, e il lancio è previsto per domani alle 15.12. Una volta in orbita, acquisirà e smisterà i dati verso 2 postazioni sulla Terra, i «Database processing center»: uno è all’Istituto di Astrofisica di Parigi e l’altro è in Italia. E’ l’Osservatorio di Trieste, gemellato con la Sissa, la Scuola internazionale superiore di studi avanzati. Insieme costituiscono il Centro unico di analisi che trasformerà i «numeri» di «Planck» in immagini.
Si tratta della più evoluta delle «macchine fotografiche del tempo», come «Wmap» e «Cobe», i primi satelliti in grado di rilevare la radiazione cosmica di fondo: discerne differenze di valore nella radiazione di 5 milionesimi di grado. «Il suo occhio - spiega l’astrofisico della Sissa Carlo Baccigalupi - è un telescopio da un metro e mezzo, nel cui piano focale sono posizionati 22 radiometri e 48 bolometri raffreddati a -250°».
Radiometri e bolometri sono «recettori» di microonde, la forma in cui si presenta la radiazione cosmica di fondo. Scoperta negli Anni 60 dai Nobel Arno Penzias e Robert Wilson, è la traccia lasciata nel momento in cui nell’Universo è apparsa la luce. Sono passati miliardi di anni e quel flash è ormai debole, ma c’è ancora. «Planck» cercherà di immortalarlo per confezionarci una cartolina del cosmo in fasce.
«Per 300 mila anni dopo il Big Bang l’Universo era ancora buio - spiega -. La luce era intrappolata, perché la temperatura era talmente alta da impedire ai fotoni di circolare». Ma, intanto, il cosmo primordiale si espandeva velocemente: l’inferno di calore, un po’ alla volta, si raffreddò. Quando si scese a circa 6 mila gradi, i fotoni presero a correre in tutte le direzioni e, così, «fiat lux».
Dal momento in cui la luce si è liberata è possibile fotografare l’Universo. Anche se sono passati miliardi di anni. Quel flash, infatti, si perpetua ancora come un’eco. Tramite «Planck» l’Osservatorio di Trieste registrerà per 14 mesi questa radiazione, mentre il settore di astrofisica della Sissa calibrerà gli strumenti per convertire i dati e farne immagini.
«Inizialmente perverranno segnali strumentali - spiega Baccigalupi -: sono variazioni di voltaggio, che corrispondono alle variazioni della radiazione cosmica dalle varie direzioni nell’Universo». Chiamate anisotropie, corrispondono alle zone in cui si sono formate le prime galassie. Con queste informazioni e con quelle dei partners francesi, l’Esa metterà insieme i «pixel» della foto più nitida mai scattata dell’Universo primigenio.
Il primo ostacolo, però, sarà distinguere la radiazione cosmica dalle altre interferenze. «Molti segnali, come le fonti elettromagnetiche, si sommano alla radiazione di fondo: la più forte è la luce della nostra galassia, ma anche dalle galassie, poi raggi cosmici e altre sorgenti che ”abbagliano” Planck». Alla prima raccolta dati seguirà, quindi, una «spremitura» - spiega l’astrofisico - per scartare il resto e memorizzare l’antica radiazione. La raccolta e la selezione dei milioni di dati verrà eseguita da 2 supercomputer: «Ent» (a Trieste) e «HG1» (alla Sissa). Ventimila gigabyte di disco rigido e 320 gigabyte di memoria Ram, per ciascuno. Il motore di «HG1» è fatto di 160 processori e di 256 per «Ent»: una potenza enorme, visto che un pc dispone di un solo processore.
Il risultato sarà una mappa dell’Universo all’età precoce di 300 mila anni. «Questa - conclude Baccigalupi - fornirà ulteriori indizi su quantità cosmologiche ancora misteriose: la densità e le abbondanze degli elementi chimici e - si spera - le prove sull’esistenza dell’energia oscura».