Piero Bottino, La stampa 13/5/2009, 13 maggio 2009
L’ULTIMO MISTERO DEL LIBRO CUORE
Era un bel ragazzo, di viso ardito, con gli occhi grandi e celesti, coi capelli biondi e lunghi; era in maniche di camicia, e mostrava il petto nudo». E’ il ritratto che De Amicis fa del primo bambino-soldato dell’Italia unita: la «Piccola vedetta lombarda», che s’immola su un albero per segnalare ai cavalleggeri piemontesi la posizione degli austriaci. Avvenne esattamente 150 anni fa, nel maggio 1859, durante la Seconda guerra d’Indipendenza.
Della piccola vedetta non si conosceva fino a oggi neppure il nome. Adesso invece si sa: si chiamava Giovanni Minoli e aveva 12 anni. A Voghera del resto sono sempre stati convinti che sia esistito davvero. Anche perché da 150 anni alla periferia della città c’è un pioppo (De Amicis scrive più poeticamente un frassino, ma tant’è) che viene popolarmente indicato come l’albero teatro dell’episodio.
Due storici locali, Fabrizio Bernini e Daniele Salerno, si sono dati da fare per ricostruire la verità partendo dagli scarni e spesso fuorvianti indizi forniti da De Amicis: dal loro lavoro è nato il libro «Io sono la Piccola Vedetta Lombarda», Falco editore.
Intanto la battaglia è quella di Montebello, che seguì di qualche giorno quella più nota di Solferino e San Martino, citata dallo scrittore. Il quale avrebbe appreso la storia da Peppino Negri, nobile vogherese, testimone oculare dei fatti, di cui era amico e spesso ospite: lo portò anche a vedere il pioppo.
Vari particolari geografici coincidono: ci sono ancora i resti di una casupola, forse quella sul cui tetto salì l’ufficiale piemontese prima di affidarsi alla vista del ragazzino; a mezzo miglio di distanza passa poi la «strada bianca» su cui la piccola vedetta scorge «due uomini a cavallo».
Resta da capire perché dell’episodio - un bambino freddato da un cecchino austriaco - nessuno abbia mai fatto cenno. Voghera era affollata di giornalisti, inviati anche dall’estero (allora erano stranieri anche i toscani): nessuno ha scritto una parola. Né, per altro, consultando i registri si sono scoperti morti di quell’età in quel periodo. «E se non fosse morto subito, come dice De Amicis, ma molto dopo in seguito alle ferite?» si sono chiesti Bernini e Salerno.
Così hanno proseguito le ricerche rovistando tra i fogli redatti nel 1859 da don Pietro Silva, vicecurato della parrocchia di San Lorenzo di Voghera, sulle indicazioni trasmessegli dal dottor Odisio, il medico che aiutava gli ammalati ricoverati in ospedale. E hanno trovato la scheda di un decesso avvenuto il 4 dicembre 1859: alle 23 moriva nell’ospedale di Voghera appunto Giovanni Minoli, di dodici anni, nativo di Corana, domiciliato in città. Dodici anni, la stessa età della piccola vedetta.
Ma davvero era lui? Ci sono altre coincidenze. Nell’atto di morte viene specificato che era orfano («Io non ho famiglia, sono un trovatello» dice il protagonista deamicisiano), contadino («Lavoro un po’ per tutti») e i genitori erano Carlo Antonio Minoli e Carolina Valle. I quali, a una successiva verifica, risultano appartenere a un gruppo familiare che abitava alla cascina Scortica, a poche decine di metri dal famoso pioppo. Il cerchio si chiude, come in ogni «giallo» che si rispetti, anche se qui non si cercava un assassino ma una vittima.