Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 12 Martedì calendario

MALTA E ITALIA LITIGANO E TRIPOLI RISCHIA IL COLLASSO


Un incidente diplomatico. Uno dei tanti. Malta ringhiosa ha detto ancora una volta di no. Ma non è più il tempo del braccio di ferro: il contenzioso aperto dall’Italia con Malta adesso verrà trattato dalla Commissione Ue. Sono troppi i fronti aperti di polemiche interne e internazionali. E poi si avvicina la scadenza di mercoledì, con la partenza di sei motovedette della Finanza che daranno vita ai pattugliamenti misti (a bordo, equipaggio libico e un osservatore italiano) nelle acque territoriali libiche.
Neppure Tripoli ha dato il via libera. Non c’erano le condizioni tecniche. E così Roma ha deciso di ripiegare. Gli ultimi 69 immigrati - tra loro 16 donne - intercettati in mare, naturalmente nelle acque internazionali di competenza maltese, sono stati sbarcati ieri sera a Porto Empedocle dal pattugliatore «Spica» della Marina militare.
Ore di tensione, domenica sera, tra Roma e La Valletta. Verso le 19 arriva la segnalazione di un gommone con una sessantina di immigrati. Si trovavano nelle acque Sar, di competenza maltese. Il mezzo più vicino era il pattugliatore «Spica» della Marina militare, che aveva lasciato il porto di Tripoli a metà giornata, dopo aver sbarcato 163 «respinti» in mare. La Valletta, però, non autorizza la nave italiana a far rotta verso Malta. Roma, a questo punto, si rivolge a Tripoli. Ma i libici sollevano problemi tecnici: «Non ci sono le condizioni». Un conto sono i pattugliamenti misti su imbarcazioni che battono bandiera libica, un altro che arrivi nel porto di Tripoli una nave militare italiana. Insomma, si faranno i respingimenti in mare ma a Tripoli gli immigrati sbarcheranno solo da imbarcazioni libiche.
Non è una marcia indietro, un irrigidimento, un ritorno al passato. E’ un problema tecnico e nello stesso tempo politico. Mai come in questi giorni l’intesa tra Italia e Libia è forte. Roma e Tripoli guardano al 10 giugno, quando il leader Muammar Gheddafi arriverà in Italia, per la sua prima visita ufficiale. E poi, a L’Aquila, per il G8, Gheddafi tornerà agli inizi di luglio, in veste di presidente di turno dell’Unione Africana.
Italia e Libia chiedono all’Unione Europea di scendere in campo. Di farsi carico del problema dell’immigrazione. Cristopher Hein è il direttore del Cir, il Consiglio italiano per i Rifugiati, che ha appena aperto un ufficio in Libia: «Sono molto preoccupato per il sovraffollamento, che aumenta con il passare delle ore, dei vari Centri libici di detenzione degli immigrati. Il rischio è che si blocchi la positiva evoluzione nella gestione degli stessi centri. Di nuovo si ripresenteranno i problemi di assistenza sanitaria, di igiene, insomma di assistenza».
Hein solleva un altro problema: «Non tutti i Centri sono uguali. Siamo entrati più volte in quello di Misurata, dove sono ospitati oltre 400 rifugiati eritrei. E’ un segnale di apertura da parte dei libici. Spero che con il tempo riusciremo a portare in Europa in modo regolare e protetto, gruppi di rifugiati».
I centri che scoppiano. Con la conseguenza che degradano le condizioni di vita degli immigrati, che aspettano il rimpatrio nei paesi d’origine. Cristopher Hein è critico con il governo italiano: «La politica di respingimento in mare è una violazione della Convenzione di Ginevra. Non è accaduto una sola volta, purtroppo. E il governo italiano ha spiegato che quando partiranno, la settimana prossima, i pattugliamenti congiunti non un barcone approderà più sulle coste italiane. E’ una scelta che va condannata perché rappresenta anche l’impossibilità per i rifugiati, di accedere alla protezione prevista dalla normativa internazionale».