Paola Festuccia, La stampa 11/5/2009, 11 maggio 2009
LA RAI SNOBBA I 474 MILIONI OFFERTI DA MURDOCH
La partita è economica, ma soprattutto strategica. Con alleanze e guerre commerciali destinate a segnare il futuro della tv, sia pubblica che commerciale. Tant’è che giovedì prossimo in un apposito cda, la Rai valuterà se uscire o meno dalla piattaforma televisiva di Sky. E non sarà, certo, una decisione da prendere a cuor leggero visto che viale Mazzini (ha già costituito con Telecom e Mediaset la piattaforma «Tivù») dovrebbe rinunciare ad un’offerta, quella di Sky, che per distribuire sul satellite i programmi di Raisat (e cioè, Extra, Premium, YoYo, Smash e Gambero Rosso) è pronta a mettere sul piatto 350 milioni di euro per sette anni. Non solo, alla cifra precedente vanno aggiunti altri 75 milioni di euro (parametro relativo al contratto 2008) per l’accordo di «output dial» concernente i prodotti cinematografici distribuiti da Raicinema e altri circa 7 milioni di euro l’anno per i proventi pubblicitari ricavati dalla Rai sulla piattaforma di Sky (per sette anni sono altri 49 milioni di euro). Per un totale, dunque, di circa 475 milioni di euro. Una cifra enorme (pari quasi al doppio del capitale sociale dell’azienda che è di circa 242 milioni 518 mila euro), quasi cinque volte superiore al buco pubblicitario stimato la settimana scorsa dal neo direttore generale della Rai, Mauro Masi durante l’audizione in Vigilanza. E i tempi, ormai, stringono: il vecchio contratto scadrà il prossimo 31 luglio e, quindi, da quella data i 15 milioni di utenti Sky potrebbero non vedere più sul satellite Raiuno, Raidue, e Raitre e il resto dell’offerta di Raisat, la consociata Rai che vive e ricava dalle commesse Sky, ogni anno, circa 50 milioni di euro (dieci milioni in meno del proprio fatturato). Non solo, l’offerta inviata da Sky al settimo piano di viale Mazzini prevede anche la possibilità per la Rai di non concedere in esclusiva (come è nel vecchio accordo) alla pay-tv i propri programmi ma con una riduzione del 40% sull’acquisto dei diritti. Insomma, Sky è anche pronta a riempire la Rai di soldi ma senza esclusiva. Viene allora da chiedersi: perché la tv pubblica (che ha un deficit consistente destinato ad aggravarsi anche in vista dell’esborso per l’acquisto di eventuali diritti sportivi nel 2010) non abbia ancora formalizzato una risposta, ma anzi, molti ritengono che l’orientamento (i consiglieri sono a maggioranza Pdl nel cda da poco rinnovato) sia proprio quello di far cadere l’offerta e impegnare risorse nel digitale? E ancora - come ha sottolineato più volte il consigliere di minoranza Rai, Nino Rizzo Nervo - quale sarà la fine di Raisat e dei suoi 120 dipendenti nel caso di un mancato rinnovo? Sarà chiusa? Liquidata? Ma, soprattutto, quali sono le motivazioni strategiche (esistono?) che spingono la Rai a non rinnovare un rapporto con un’azienda (Sky) che non è sua diretta concorrente nel mercato, a differenza di Mediaset (che ha il bouquet premium a pagamento) ma anzi contribuisce (in sostanza economica ma soprattutto legale) a diffondere, così come previsto dalla legge nel contratto di servizio pubblico (tra Rai e lo Stato) i programmi agli utenti che pagano il canone? I dubbi non mancano. E aumentano anche sul terreno degli scenari pubblicitari. Perché se è vero che Sky attrae pubblico e abbonati grazie pure all’offerta generalista Rai (non si spiegherebbe diversamente un’offerta commerciale così consistente) è altrettanto vero che, secondo studi fatti, la Sipra (la concessionaria esclusiva per la raccolta pubblicitaria della Rai) ricava altri 100 milioni di euro proprio da quel 2,5% di share realizzato sul satellite.
Insomma, a rischiare di più dal clamoroso divorzio - sostengono molti a viale Mazzini - non sarebbe tanto Sky (che pure verrebbe penalizzata) quanto piuttosto la tv di Stato, che potrebbe da un lato rinunciare ad una cifra imponente e dall’altro rischiare la beffa di un eventuale ricorso al Tar per interruzione di pubblico servizio, visto che la legge impone a viale Mazzini che i propri programmi siano disponibili su tutte le piattaforme distributive. Una ipotesi non remota che certamente le associazioni dei consumatori potrebbero attivare.
Fase complicata dunque. Tanto che venerdì scorso se ne è accennato nei piani alti di viale Mazzini. La strategia, infatti, (nel caso in cui la Rai lasciasse la piattaforma Sky) sarebbe quella di riconvertire Raisat in una factory produttiva capace di ottimizzare le risorse produttive trasferendo da una parte i programmi sul digitale terrestre (tra 9 e 12 le nuove frequenze disponibili) e dall’altro fornendo prodotti anche sull’analogico in modo particolare per ciò che attiene il palinsesto pomeridiano della tv dei ragazzi, e magari anche programmi culturali e arte. E l’idea - secondo indiscrezioni - tiene conto dell’ottimo risultato ottenuto da Rai4 (3% di share) in Sardegna nel digitale. Ogni punto di share, infatti, secondo le stime vale circa 25 milioni di euro che moltiplicato per due (almeno) basterebbe a giustificare l’uscita da Sky e a raggiungere il fatidico break even di 50 milioni di euro.
Nel mezzo delle decisioni, da una parte c’è Mediaset, interessata ad indebolire la tv di Murdoch (Pier Silvio Berlusconi ha annunciato che Mediaset per la fine dell’anno lancerà il canale Italia 2 dedicato ai giovani) e a sfruttare sinergie con la Rai, e dall’altra Tom Mockridge, Ad della tv a pagamento, che nell’attesa del responso (viale Mazzini a tempo fino al 21 maggio, ma è certo che non sarà un termine ultimativo) si prepara al new deal, lavorando ad una serie di programmi generalisti che troveranno spazio non solo su Skyuno, ma in due nuovi canali di zecca, Skydue e Skytre. Murdoch, dunque, non si ferma ed è pronto a dirottare risorse anche nella fiction e nel cinema.