Barbara Ardù, la Repubblica 11/5/2009, 11 maggio 2009
RECESSIONE E SUPERMARKET CANCELLANO L’ITALIA DELLE BOTTEGHE
Nei prossimi 5 anni a rischio 62mila negozi e 150mila posti
I consumatori sono cambiati: non agiscono d´impulso e confrontano i prezzi su Internet
ROMA - C´è un grande palazzo a Roma dove le saracinesche del piano terra si sono abbassate anni fa e sono ancora giù, mangiate dalla ruggine. andata via la merceria, il tappezziere, il casalinghi. Resiste un negozio di scarpe, ma da qualche giorno c´è un cartello: liquidazione totale. I due anziani che lo gestiscono non hanno saputo o voluto rinnovarlo. Andranno in pensione. Un´altra saracinesca tirata giù. Negozi morti per sempre, che difficilmente riprenderanno vita. La crisi economica, l´avanzata della grande distribuzione, il reddito degli italiani in discesa perenne, hanno cancellato nel 2008 30mila negozi. « la prima volta che si assiste a un saldo negativo - spiega Marco Venturi, presidente della Confesercenti - di solito tanti ne chiudevano, tanti ne riaprivano». E il 2009 sarà peggio: nei premi tre mesi 20mila commercianti hanno chiuso bottega. E se continua di questo passo nel giro di cinque anni si perderebbero 150mila posti di lavoro.
La crisi colpisce tutto il commercio: ristoranti, bar e negozi. Negli ultimi due anni s´è accanita sulle drogherie (-14,1%), sulle mercerie (-11,9) e sui fruttivendoli (-8,2). Crisi e grande distribuzione sono i maggiori imputati della morte delle botteghe. «Discount e ipermercati sono stati i killer della drogheria sotto casa - commenta Giuseppe Roma, direttore generale del Censis - ma non dimentichiamo realtà come Ikea, che ha dato un colpo al negozio di mobili, i megastore di elettronica, che hanno messo in crisi il rivenditore di radio e tv. Un gigantismo che tra l´altro fa soffrire il negoziante, costretto a pagare affitti impossibili per uno spazio in un centro commerciale, e il piccolo imprenditore».
Ma i mall in aperta campagna non sono gli unici imputati. «Il fuoco della crisi non è nella grande distribuzione - spiega Luigi Taranto, direttore generale di Confcommercio - ma nella congiuntura, nei redditi bassi e in un´assenza totale di politiche attive a favore del commercio. La liberalizzazione di Bersani aveva due corollari: aumentare la concorrenza e mettere in atto politiche di sostegno, dai consorzi fidi, alla formazione, ai centri di assistenza per snellire le pratiche burocratiche. Di questo però s´è visto poco o nulla. rimasta la liberalizzazione, che non vedo tra l´altro così spinta in altri settori».
Una liberalizzazione un po´ selvaggia che non piace nemmeno al direttore del Censis. «S´è passati da un eccesso all´altro - spiega Roma - ci sono troppi negozi vicini, senza una logica, mentre sarebbe necessaria una politica urbanistica che faccia "vivere" la bottega, rendendola parte della città. Al contrario vince solo chi è più forte. E va detto che 30mila negozi in meno significano 30mila persone a spasso, ma anche un pezzo di tessuto cittadino che scompare».
L´altro mattone che ha colpito in pieno i commercianti è stata la crisi del credito, con le banche che hanno chiuso i rubinetti. «Molti piccoli imprenditori - sostiene Venturi - si stanno mettendo nelle mani degli usurai: la nostra associazione ha segnalato un aumento del fenomeno».
E in ultimo c´è il cliente. cambiato anche lui. Finita l´abbuffata consumista s´è ritrovato più povero, ma anche più informato. «I consumatori - spiega Roma - non agiscono più d´impulso. Confrontano merci e prezzi, anche su Internet che non sempre è affidabile, ma c´è». Consumatori più diffidenti e più cauti, che acquistano con la testa e se possono allungano la strada e vanno ai mercatini, tant´è che tra gli ambulanti la crisi è meno sentita. Categoria destinata a crescere (in uno scenario da qui a cinque anni), insieme gli acquisti su Internet e ai negozi non specializzati, tipo bazar. la bottega a essere in crisi. Aveve l´anima del commerciante non basta più. «Oggi - conclude Roma - è diventato un mestiere molto più difficile e costoso di un tempo».