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 2009  maggio 14 Giovedì calendario

PORSCHE-VOLKSWAGEN PER VOCE ARANCIO



In principio c’era Ferdinand Porsche. Ingegnere boemo classe 1875, idraulico mancato, una passione per l’elettricità. Lavora a Vienna, per la Lohner, che costruisce le carrozze delle famiglie reali. Inventa un’automobile col motore incorporato nelle ruote, che funziona con elettricità e gasolio. Oggi la si definirebbe una vettura ibrida. Si chiama Lohner-Porsche, all’Expo di Parigi del 1900 fa scalpore.

Passato a dirigere la progettazione in Daimler e ormai considerato tra i migliori ingegneri di Germania, nel 1931 Porsche si mette in proprio e apre il suo studio di ingegneria a Stoccarda. Sono gli anni del nazismo. Hitler gli chiede di disegnare l’auto del popolo tedesco, la ”Volks-Wagen”: deve potere trasportare due adulti e tre bambini, fare i 100 chilometri all’ora e costare al massimo 990 marchi, il prezzo di una motocicletta. Porsche gli propone la ”Porsche 60”, ufficialmente KdF-Wagen (KdF sta per Kraft durch Freude, forza attraverso la gioia), più tardi conosciuta come Type 1, ma passata alla storia come Maggiolino.

Nel 1938 la produzione del Maggiolino inizia. Hitler ha fatto erigere una città apposta per ospitare lo stabilimento e le case degli operai che ci dovevano abitare. L’ha chiamata Stadt des KdfF-Wagens (Città delle macchine della forza attraverso la gioia). Oggi è Wolfsburg, la città della Volkswagen. Porsche è il primo presidente della società, ma dura poco. Iniziata la guerra deve convertire la produzione a mezzi militari. Nel 1945, a conflitto finito, gli inglesi prendono Volkswagen e cercano invano di piazzarla a un imprenditore britannico. Alla fine la affidano al governo della Germania Ovest e allo Stato della Bassa Sassonia.

La collaborazione con i nazisti costa a Porsche 22 mesi di prigione. Uscito dal carcere l’ingegnere si ritira dal lavoro. Anziano e stanco nel ”51 muore d’infarto. Lascia due figli: Ferdinand Anton Ernst, chiamato Ferry, e sua sorella Louise, che ha sposato un avvocato viennese, Anton Piëch.

Ferry è ingegnere e ha lavorato col padre. Assieme alla sorella Louise riparte dallo studio di Stoccarda, la Porsche, e crea il mito. Sulla base del Maggiolino disegna la sportiva 356 (dal numero del progetto). Poi elabora la 550 Spyder, vincitrice di tante competizioni nonché auto su cui morì James Dean. Quando arriva la 911 − disegnata dal figlio Ferdinand Alexander nel 1961 e prodotta fino a oggi nelle sue versioni aggiornate – la Porsche è già una casa di auto sportive con appassionati in tutto il mondo.

Il logo di Porsche è basato sull’emblema del Libero Stato Popolare di Württemberg, parte della Repubblica di Weimar, con capitale Stoccarda. Delle Porsche costruite negli anni, il 75% è ancora in circolazione. Funziona anche come investimento: il prezzo di una Porsche acquistata inizialmente scende, come succede a quelli di tutte le altre macchine, ma dopo vent’anni risale, e spesso le quotazioni superano il valore di origine.

Volkswagen resta statale fino al 1960. Poi viene parzialmente messa sul mercato. Ma a una condizione: nessuno degli azionisti potrà avere più del 20% dei diritti di voto e la maggioranza necessaria ad approvare operazioni di particolare importanza è fissata all’80%, contro il 75% della legge tedesca. Così lo Stato della Bassa Sassonia, che ha il 20,1% delle azioni, ha il diritto di veto. la ”legge Volkswagen”.

Nell’ottobre del 2007 la Corte Europea ha bocciato la legge Volkswagen, ritenendola contraria alle norme sulla libera circolazione dei capitali. La Germania l’ha modificata: ha eliminato il limite dei diritti di voto, ma non il potere di veto di chi ha il 20%. A marzo del 2008 la Commissione ha detto che non basta. La Germania non vuole fare di più. Adesso rischia sanzioni comunitarie.

I nipoti di Ferdinand Porsche sono otto. Quattro sono figli di Ferry, quindi Porsche: Ferdinand Alexander, Gerhard, Hans-Peter e Wolfgang. Quattro sono figli di Louise, quindi Piëch: Ernst, Louise, Ferdinand, Hans-Michel. Molto litigiosi tra loro, tanto che Ferry e Louise, per evitare il peggio, nel 1972 decidono di trasformare l’azienda in una società per azioni, che dividono tra gli otto eredi e nello statuto del gruppo scrivono che i discendenti di Porsche non possono avere incarichi operativi nell’azienda.

Lo statuto non permette al nipote più promettente della dinastia Porsche, Ferdinand Piëch, di continuare a fare il direttore tecnico e sportivo dell’azienda di famiglia. Per questo decide di andare a lavorare per Audi. Lì introduce la trazione integrale Quattro e il Turbodiesel Tdi. Diventa amministratore delegato nell’88 e quindi passa alla casa madre Volkswagen: è presidente e amministratore delegato dal 1993 al 2002. In quei nove anni costruisce la fortuna di Volkswagen: raddrizza i conti, rimette a posto l’immagine, fa acquisizioni. Oggi presiede il consiglio di sorveglianza.

Piëch è dislessico e ha 12 figli (forse 13) da quattro donne diverse. Una giuria di 126 esperti dell’auto di 32 nazioni diverse, riuniti nel ”Global Automotive Elections Foundation”, nel 1999 lo ha votato come imprenditore dell’auto del secolo. sempre socio Porsche, col 13% delle azioni. Siede nel consiglio di amministrazione di Stoccarda, dove il presidente è suo cugino Wolfgang Porsche, e dove hanno un posto anche suo fratello Hans-Michel e i suoi cugini Alexander e Hans Peter. C’era anche suo fratello Ernst, che però negli anni Ottanta ha venduto in segreto le sue azioni, costringendo fratelli e cugini a ricomprarsele.
Autunno 2005: Porsche annuncia l’intenzione di comprare il 20% di Volkswagen. Arriva al 18% in ottobre, sale al 25% per la primavera del 2007, cresce fino al 51% nel marzo del 2008. A ottobre 2008 dichiara di essere intenzionata a raggiungere il 75% del gruppo di Wolfsburg.

Le due aziende sono sempre rimaste legate. Fin dai tempi di Ferry Porsche, che aveva collaborato con la Volkswagen nazionalizzata ottenendo in cambio l’accesso alle sue reti di distribuzione e una quota delle vendite del Maggiolino. Suv Porsche Cayenne, Volkswagen Tuareg e Audi Q7 sono coprodotti dai due gruppi dal 2003. E Volkswagen è il principale fornitore di Porsche.

Volkswagen è il terzo maggiore gruppo automobilistico del mondo, dopo Toyota e General Motors. Nel 2008 ha venduto 6 milioni e 257 mila auto con i suoi nove marchi: Audi (acquisita nel 1964), Seat (comprata nel ”90), Skoda (sua dal ”94) Bugatti, Lamborghini e Bentley (prese tutte e tre nel 1998), Scania (dal 2009), e naturalmente Volkswagen, con la divisione veicoli commerciali.

La prossima grande scommessa della casa di Wolfsburg è il mercato delle utilitarie: il progetto della Up! (questo il nome dell’auto, di cui è pronto il prototipo) nasce per fare concorrenza alla Fiat 500 e alla Toyota Aygo. In ruoli chiave per il lancio del nuovo modello sono stati scelti ex manager del Lingotto: a Walter de’ Silva, capo del design di tutto il gruppo, e Flavio Manzoni, responsabile del design creativo, da agosto si aggiungerà anche Luca De Meo come capo del marketing delle auto per il marchio Volkswagen. De Meo, uscito da Fiat nel gennaio scorso, è stato l’uomo del lancio della 500.

Martin Winterkorn, amministratore delegato Volkswagen, ha una passione sviscerata per la 500. Dopo averla vista debuttare al Salone di Francoforte, nell’ottobre 2007, se ne fece spedire una in Germania per studiarla.

Volkswagen ha un fatturato di 114 miliardi di euro, 370mila dipendenti. Nel 2008 ha fatto 4,75 miliardi di utili, al 31 marzo 2009 ha in cassa 10,7 miliardi di liquidità.

Porsche al confronto è microscopica. Ha 12.202 dipendenti e nell’anno fiscale 2007-08 ha venduto in tutto 98.652 auto. Nell’ultimo bilancio ha segnato 6,352 miliardi di utili su di un fatturato di 7,46 miliardi di euro. Una redditività incredibile per un’industria automobilistica. Difatti la componente industriale è secondaria. Il fatturato è così composto: 1 miliardo deriva dalla vendita delle auto, 6 miliardi e mezzo dalle operazioni finanziarie. Nel primo semestre dell’anno fiscale 2008-09, chiuso a gennaio, Porsche ha fatturato 3,04 miliardi di euro (le consegne sono precipitate del 27%) ma ha fatto utili del 5,5 miliardi. Sempre grazie alla finanza.

Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ha definito Porsche ”un hedge fund che fa anche auto”. E un gruppo di hedge fund ha fatto causa a Porsche perché agisce da fondo speculativo senza averne il profilo legale.

Gli hedge fund sono molto arrabbiati per quello che è successo alla fine di ottobre. Domenica 26 ottobre 2008 Porsche annuncia di puntare al 75% di Volkswagen. I fondi speculativi – attraverso vendite allo scoperto – avevano scommesso su un ribasso del titolo Volkswagen: avevano preso a prestito il 15% delle azioni convinti di poterle comprare in seguito a un prezzo più basso. L’annuncio di Porsche ha invece fatto schizzare il titolo Volkswagen. Lunedì, riaperto il mercato, è scattata la corsa all’acquisto, ma in circolazione era rimasto solo il 5% di Volkswagen. Il resto era Porsche, della Bassa Sassonia.

Le ricoperture dei fondi hedge, il 28 ottobre 2008, portano il titolo Volkswagen dai 200 euro dell’apertura di due giorni prima fino a 1.005 euro. Un livello che fa salire la capitalizzazione del gruppo di Wolfsburg a 294 miliardi di euro. Per qualche ora Volkswagen è la società più capitalizzata del pianeta: davanti ai petrolieri americani di Exxon. Ma è una fiammata, dopo la quale le azioni tornano a stabilizzarsi intorno ai 220 dollari.

Adolf Merckle, 74enne, quinto uomo più ricco di Germania, ha perso 400 milioni di euro perché aveva scommesso sul ribasso di Volkswagen. Il 5 gennaio 2009 si è buttato sotto un treno.

Porsche non avrebbe i soldi per comprare Volkswagen. Glieli prestano le banche. Quando, nel 2005, Wolfgang Porsche e Ferdinand Piëch decidono di prendere il controllo del gruppo del nonno, le banche concedono alla Porsche Holding una linea di credito da 35 miliardi di euro. La scalata va avanti a colpi di opzioni: Porsche fissa un prezzo e una data di acquisto per i titoli Volkswagen. Se al momento di comprare le azioni valgono di più ci guadagna, se valgono di meno ci perde. arrivata così fino al 51%, spendendo 23 miliardi di euro e con un debito di 9 miliardi.

I protagonisti della scalata sono l’amministratore delegato e il direttore finanziario di Porsche: Wendelin Wiedeking e Holger Härter. Wiedeking, 54enne, guida Porsche dal 1992 ed è riuscito a risollevare un’azienda che agli inizi del decennio passato era quasi fallita. La sua ricetta: attenzione maniacale ai costi, all’organizzazione e ai prodotti. Investimenti in ricerca (ci spende tra il 7% e il 10% del fatturato contro il 3% degli altri) e management che arriva dall’esperienza delle case giapponesi, soprattutto Toyota.

Nel 2007 Wiedeking è stato il manager più pagato d’Europa: 70 milioni di euro lordi. Lo stesso anno ha premiato i dipendenti con 5.200 euro a testa. L’anno dopo ha dato loro un altro bonus da 6mila euro più un aumento degli stipendi del 13% (lui si dice abbia incassato altri 80 milioni). Manager atipico. il capo di Porsche ma non ama guidare le auto sportive. La sua passione sono i trattori.

’Se la taglia fosse importante i dinosauri sarebbero ancora vivi” rispondeva Wiedeking a chi obiettava alla piccola Porsche pronta a mangiarsi la grande Volkswagen.

Il progetto è saltato, causa crisi. Porsche usava i dividendi incassati da Volkswagen per pagare gli interessi sul debito. Ma nel 2009 da Wolfsburg sono arrivati 256 milioni di euro, non abbastanza per pagare i 500 milioni di interesse. I debiti di Porsche, poi, si sono impennati: sono passati da 3,1 miliardi a 9 miliardi nei mesi che vanno da luglio 2008 e marzo 2009.

Negli ultimi mesi si era capito che Porsche non ce l’avrebbe più fatta. Anzi, addirittura si era parlato di un colpo di scena: Volkswagen che si compra Porsche sfruttando i suoi 10,4 miliardi di liquidità.

Ai primi di maggio Wolfgang Porsche e Ferdinand Piëch decidono che è il momento di mettersi d’accordo. Il 6 maggio i due cugini si incontrano a Salisburgo, le ipotesi sono due: Piëch vorrebbe che Porsche fosse venduta a Volkswagen, Porsche punta alla fusione con l’entrata di un terzo investitore. Prevale la linea di Porsche: le due compagnie si integreranno, Porsche resterà autonoma ma all’interno della galassia Volkswagen. Il nuovo gruppo dovrebbe avere un azionariato di questo tipo: il 25% alla Bassa Sassonia, il 25-35% a un altro investitore, il 45-55% alle famiglie Porsche e Piech.

Il terzo investitore potrebbe essere un fondo arabo. Wolfgang Porsche ha negoziato a lungo con l’emiro del Qatar Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani.

E prima di procedere con la fusione Porsche dovrà varare un aumento di capitale di 5 miliardi di euro per rimettere a posto i conti. ” chiaro – spiega Piëch – che Volkswagen non si accollerà rischi altrui”. Piëch insiste su questo punto perché è il più ricco dei cugini, e quindi potrebbe fare crescere il proprio peso comprando nuove azioni.

Dopo l’accordo i credit-default swap sul fallimento di Porsche sono rientrate di 102 punti base, a 347 punti. Quelli di Volkswagen sono aumentati di 6 punti, a 187. In Borsa il titolo Porsche , il giorno dopo l’accordo, ha perso il 13%, quello Volkswagen il 5%.

Alla guida del gruppo che nascerà ci sarà, con tutta probabilità, Winterkorn, amministratore delegato Volkswagen. ”Lui è il meglio per Volkswagen – dice Piëch ”Wiedeking è stato il meglio per Porsche negli ultimi 15 anni. Ma non posso immaginare che abbia voglia di essere al comando di Porsche nel nuovo assetto. Dovrebbe scendere parecchi gradini e mostrare un po’ di umiltà, dopo esseri abituato a marciare spedito nella sua carriera”.

Proprio l’ostilità di Piëch per Wiedeking rischia di fare saltare tutto. Un incontro fissato per il 18 maggio è saltato, su decisione di Volkswagen: "I colloqui sono interrotti a tempo indeterminato", recita un comunicato dell’azienda. "Attualmente non c’è un’atmosfera costruttiva", ha spiegato la portavoce della casa automobilistica, Christine Ritz. La stampa tedesca, però, è convinta che i contatti riprenderanno presto.