Varie, 14 maggio 2009
MAGNA PER VOCE ARANCIO
«La Magna è un’opzione più seria della Fiat»: così, alla fine d’aprile, interpellato sul futuro della Opel, il candidato socialdemocratico alla Cancelleria tedesca Frank-Walter Steinmeier esprimeva la sua preferenza per il gruppo austro-canadese che produce componenti per l’industria automobilistica e suv su commissione. La portavoce di Die Linke, partito dell’estrema sinistra tedesca fondato dall’ex socialdemocratico Oskar Lafontaine, ha detto qualche settimana fa che «un ingresso della Magna sembra come minimo più serio rispetto alla partecipazione di una società come Fiat che ha un indebitamento di 14,2 miliardi di euro». Anche in Italia, c’è chi tifa per l’avversario del Lingotto: «A differenza della Fiat, Magna ha più soldi che debiti», ha scritto ”il manifesto”.
Circa 240 centri di produzione, 74.400 dipendenti in 25 Paesi, la Magna è controllata dall’austro-canadese Franz Stronach nato Franz Strohsack il 6 settembre 1932 a Kleinsemmering, in Austria (in Stiria, per la precisione). Figlio di operai, a 14 anni Stronach lasciò la scuola per imparare a produrre arnesi e macchinari. Nel 1954 emigrò in Canada, prima tappa a Montreal, nel Quebec, poi si spostò nell’Ontario, ad Aurora. Nel 1956, già americanizzato nel nome, fondò a Toronto la Multimatic Investments Ltd., nel 1960 ottenne dalla General Motors il primo contratto per produrre componenti auto, nel 1969 si fuse con la Magna Electronics, azienda che produceva componenti per l’industria aerospaziale e per il ministero della Difesa, nel 1973 il nome della società fu cambiato in Magna International.
Nel 1973 le vendite annue di Magna ammontavano a 15,6 milioni di dollari, nel 1978, con l’ingresso nel settore plastico, fu superata quota 100 milioni (108,3), nel 1981 furono cedute le attività aerospaziali e quelle nel campo della difesa, nel 1984 le vendite arrivarono fino a 322,5 milioni, nell’85 a 451,1, nell’86 a 653,3, nell’87 a 784,1, nell’88 a 980, nel 1990 a 1,2 miliardi, nel 1992 fu ottennuta la quotazione alla Borsa di New York, nel 1994 fu superata la soglia dei 2 miliardi (2,5), nel 1995 quella dei tre miliardi (3,1), nel 1997 ci fu un’impennata fino a 5 miliardi, nel 1998 ci fu l’acquisto della Steyr-Daimler-Puch (e il raggiugimento di quota 6 miliardi), nel 1999 le vendite arrivarono a 9,3 miliardi, nel 2001 nacque Magna-Steyr (destinata all’assemblaggio dei veicoli), nel 2002 ci fu l’acquisto della Donnelly (specchietti) che portò le vendite a 12,4 miliardi, nel 2003 fu sfondata quota 15 miliardi (15,3), nel 2004 nacque la Magna Drivetrain (vendite a 20,7 miliardi).
Nonostante sia da anni leader nel suo settore, il gruppo austro-canadese è ancora sconosciuto al grande pubblico e alla stragrande maggioranza degli automobilisti, che nella maggior parte guidano una vettura con qualche componente Magna. La lista dei clienti comprende infatti quasi tutta l’industria automobilistica mondiale: Alfa Romeo, Aston Martin, Audi, Bentley, Bmw, Cadillac, Chevrolet, Chrysler, Citroën, Ferrari, Ford, Fiat, Honda, Hyundai, Jaguar, Lamborghini, Lancia, Land Rover, Lotus, Maserati, Mazda, Mercedes-Benz, Mini, Mitsubishi, Nissan, Opel, Peugeot, Porsche, Renault, Saab, Seat, Skoda, Subaru, Suzuki, Tata, Toyota, Vauxhall, Volkswagen, Volvo ecc. Tra le vetture alla cui produzione Magna dà il maggior contributo, si possono citare Fiat Palio, Chrysler Sebring Sedan, Daewoo Winstorm, Mercedes-Benz CLC, Volkswagen Magotan, Mercedes-Benz C-Class, Mini one/Cooper, Bmw X3, Volkswagen Transporter, Ford Escape.
Magna è anche specializzata nello sviluppo e nella produzione di veicoli per conto terzi: nello stabilimento europeo di Graz, in Austria, vengono assemblati per conto della General Motors alcuni modelli Saab, il monovolume Voyager (Chrysler) ecc. Impegnato da anni col movimento laburista, secondo i critici (si legga ad esempio la voce di Wikipedia) Stronach sarebbe in realtà un padrone che non vede di buon occhio la presenza dei sindacati nei suoi stabilimenti. Il sito della società risponde spiegando che fin dagli anni Settanta nel gruppo viene applicato il principio di ”impresa equa” (fair enterprise), introdotto per dividere i profitti tra soci, manager e lavoratori. Quel che è certo è che da subito i sindacati tedeschi hanno mostrato di preferire Magna a Fiat. Armin Schild, capo del distretto di Francoforte della potente Ig Metall: «L’alleanza offerta da Magna ha il vantaggio di non portare a una cannibalizzazione dei marchi».
A fine aprile Stronach ha detto che il suo gruppo non è interessato all’acquisizione della filiale europea di General Motors: «Noi diciamo che vogliamo aiutare la Opel». Nell’operazione gli austro-canadesi godono dell’appoggio del gruppo automobilistico russo GAZ e della banca moscovita Sberbank, partner con cui fa da trait-union Gerhard Schröder. L’ex cancelliere tedesco ha sempre avuto ottimi rapporti con Mosca (con Putin): nonostante l’opposizione di mezza Unione europea, quando era al governo spinse per la realizzazione di un gasdotto (joint-venture da 4 miliardi di euro dove la russa Gazprom ha il 51% e due aziende tedesche, Basf ed E.On, il 24,5% ciascuna) direttamente dalla Germania alla Russia aggirando i Paesi Baltici e la Polonia.
Finita (nel 2005) la carriera politica, Schröder è stato ingaggiato come supermanager dalla stessa Gazprom, cosa che ha fatto storcere più di un naso. Commentò all’epoca l’europarlamentare tedesco Daniel Cohn-Bendit: «La cosa inammissibile dal punto di vista morale, per un ex capo del governo, è che egli abbia concluso proprio quel contratto per quell’oleodotto con la Russia di Putin poco prima di finire il suo mandato». Nei piani di Gaz-Magna ci sarebbe l’apertura del mercato russo a Opel con la prospettiva di vendere un milione di vetture. Il quotidiano russo Vedomosti, sicuro che il consorzio avrà alla fine la meglio sulla Fiat, ha ipotizzato la futura composizione azionaria del gruppo: i russi avrebbero il 30,1% delle quote di Opel, Magna il 19,9%, il 40% resterebbe alla General Motors.
Nelle intenzioni dei concorrenti di Fiat ci sarebbe la creazione di un centro di produzione globale della capacità di 5 milioni di veicoli l’anno, sede e produzione della Opel resterebbero in Germania. A disposizione ci sarebbe lo stabilimento di Nizhni Novgorod, dove già nasce il modello Volga Siber. Secondo i socialdemocratici tedeschi, l’opzione Magna è preferibile a quella Fiat perché non vi sarebbero sovrapposizioni e quindi tagli al personale, ma il progetto presenta alcuni punti deboli: innanzitutto, Magna non potrebbe essere coinvolta nella gestione perché fornendo componenti a molte case automobilistiche rischierebbe di perdere parecchi clienti per ”conflitto d’interessi”. Il vero partner della Opel salvata da Magna sarebbe dunque la Gaz, che appartiene all’oligarca russo Oleg Deripaska, ex fisico nucleare assai vicino a Putin.
Nato Dzerzhinsk il 2 gennaio 1968, già a 26 anni Deripaska possedeva il suo primo impianto siderurgico. Da anni in gara con Roman Abramovich per il titolo di uomo più ricco della Russia, il suo core business è l’alluminio: la sua Rusal è il terzo produttore al mondo dopo Alcoa e Alcan. Preso nel 2000 il controllo della Gaz, in posizione dominante sul mercato domestico, Deripaska ha iniziato la campagna acquisti all’estero: per cominciare ha acquistato l’impianto della Lvd a Birmingham (veicoli commerciali leggeri), poi ha comprato dalla Daimler-Chrysler la licenza per produrre automobili sulle piattaforme della Sebring e della Stratus, quindi ha conquistato il pacchetto di controllo della stessa Magna.
Per anni Deripaska ha dovuto respingere le accuse di collusione con il crimine organizzato, sospetti che lui chiama ”propaganda” dei rivali in affari: a Londra un suo ex socio, Michael Cherney, lo ha citato in giudizio reclamando il 20% di Rusal; un’azienda d’alluminio tagika lo ha denunciato per frode alla Isole Vergini britanniche; il Dipartimento di Stato americano, insoddisfatto dalle sue risposte all’Fbi, gli ha revocato il visto d’ingresso. Alla fine, più che per l’abilità dei suoi avvocati, finora è riuscito a cavarsela grazie al rapporto con Putin. Non bastassero i problemi con la giustizia, negli ultimi tempi Deripaska è alle prese con grossi problemi finanziari. I suoi guai sono iniziati l’estate scorsa estate quando, di fronte al crollo dei titoli borsistici del suo impero, le banche gli hanno chiesto di alleggerire il suo debito. Per farlo, è stato costretto a cedere ai creditori proprio le quote nella Magna, oltre a quelle nella tedesca Hochtief. Ancora a corto di soldi, ha dovuto mettere all’asta la Soyuz Bank e la Ingosstrakh.
Curiosamente, nella battaglia per la conquista della Opel Marchionne se la dovrà vedere con Herbert Demel, il manager che nel 2005 gli cedette il posto di amministratore delegato di Fiat auto. Nato a Vienna il 14 ottobre 1953, l’austriaco era arrivato a Torino nell’ottobre 2003 chiamato da Giuseppe Morchio per sostituire Giancarlo Boschetti, a suo volta scelto per rimpiazzare Roberto Testore, successore di Paolo Cantarella le cui dimissioni nel dicembre del 2001 avevano di fatto aperto la crisi. Appassionato di motori fin da ragazzo, laurea in ingegneria, nascita professionale alla Bosch, poco più che trentenne Demel passò all’Audi, di cui divenne amministratore delegato rilanciando il marchio fino a farne un concorrente diretto per Mercedes e Bmw. Passato alla guida di Volkswagen Brazil, la stampa sudamericana lo definì «l’architetto del futuro». Al Lingotto arrivò da Magna Steyr, di cui è adesso presidente. Con Marchionne la convivenza fu brevissima e tormentata. Di certo, dovessero valutare dai risultati torinesi, quelli della Opel non dovrebbero avere dubbi su chi sia il miglior manager cui affidarsi per evitare la bancarotta.