Edoardo Narduzzi, Milano Finanza 14/05/2009, 14 maggio 2009
L’euro ha retto all’uragano. E adesso marcia alla volta di Mosca Milano Finanza 14/05/2009 di EDOARDO NARDUZZI Da qualche giorno il tasso di cambio tra euro e dollaro ha ripreso ad apprezzarsi
L’euro ha retto all’uragano. E adesso marcia alla volta di Mosca Milano Finanza 14/05/2009 di EDOARDO NARDUZZI Da qualche giorno il tasso di cambio tra euro e dollaro ha ripreso ad apprezzarsi. ancora lontano dai valori record della scorsa estate, ma si mantiene ampiamente sopra la pari. La notizia rassicurante, per tutti noi, è che la moneta unica ha retto alla crisi. Qualche mese fa molti erano i dubbi e le preoccupazioni su cosa sarebbe potuto accadere al valore dell’euro nel corso della più complessa tempesta finanziaria del secolo. Possibili default di singoli stati membri e l’assenza di una coordinata politica di bilancio e fiscale a monte della moneta europea avevano fatto gridare al lupo: l’euro rischia di uscire di scena o di ridursi all’unita di conto dell’asse franco-tedesco e poco più. Invece la moneta governata dalla Bce ha navigato relativamente tranquilla tra le acque agitate dei mercati. Certo, durante la fase più acuta della tempesta il dollaro ha funzionato meglio come bene rifugio valutario, approfittando del fatto che dispone di una unità decisionale politica che l’euro non ha e non avrà a breve. Certo, gli spread sui titoli a lungo termine dei vari stati membri si sono ampliati come mai nel passato segnalando un’imperfetta integrazione tra le aree economiche della moneta unica. Certo, la rapidità con la quale la Bce ha potuto attuare la sua strategia monetaria, una lenta e incrementale discesa del tasso di sconto, è stata necessariamente inferiore rispetto a quella della doccia fredda, cioè un brusco e rapido taglio del costo del denaro all’inizio della crisi, seguita dalla Fed, perché la frammentazione dell’area dell’euro suggerisce di seguire dei percorsi di aggiustamento di portafoglio meno accelerati. Ma alla fine della crisi l’euro arriva da moneta di riserva internazionale a tutto tondo. Le valute europee rimaste fuori dall’euro, come la sterlina, si sono deprezzate a doppia cifra offrendo sì, una svalutazione competitiva ai singoli paesi, ma segnalando anche la fragilità delle valute sottili e poco liquide nei momenti difficili. E poi l’euro è diventata l’ancora di salvezza per le varie economie europee travolte dalla crisi: l’Islanda vuole aderire, così come vorrebbero molti paesi dell’est e perfino Danimarca e Svezia, che in più occasioni si sono pronunciate in referendum contro l’adesione alla moneta europea, oggi stanno rivedendo le proprie posizioni. A questo punto, però, è lecito domandarsi: dove andrà ora l’euro? Quale percorso evolutivo deve seguire la moneta unica? Può restare l’unica valuta globale di riserva senza una vera autorità politica che ne governa la rotta? Anzitutto l’euro ha dimostrato un fatto economico nuovo: che può esistere una valuta non supportata da un governo federale. Le funzioni svolte dalla moneta, come unità di conto, strumento di pagamento o riserva di valore, sono praticabili a prescindere dalla presenza di uno stato-nazione che l’ha emessa e ne garantisce la circolazione. Serve molto meno dell’autorità di uno stato per legittimare l’uso di una moneta, perché è sufficiente una struttura istituzionale tecnocratica legittimata da una legge. Questo aspetto, testato sul campo compiutamente per la prima volta dall’euro, ha una valenza straordinaria perché permette l’estensione dell’area della circolazione della moneta a prescindere da un’integrazione politica o istituzionale. sufficiente che il nuovo membro accetti le regole di funzionamento macro e si faccia cooptare nei meccanismi tecnocratici di gestione della valuta. Ciò significa che l’euro è un formidabile strumento da esportazione, un bene che soltanto l’Europa possiede e che può offrire a chi preferisce far parte di un’area monetaria ampia per avere a disposizione un valuta di riserva internazionale. L’euro è, insomma, un formidabile strumento di politica estera, ben più duttile e potenzialmente efficace del dollaro. Non ha bisogno di «dollarizzare» da cima a fondo intere economie, come è stato ad esempio per l’Argentina negli anni novanta, o di essere imposto come moneta di conto imperiale per favorire gli interessi del paese leader emittente. L’euro può essere uno strumento per creare spazi di azione politica internazionale. Come? Per esempio «eurizzando» la Russia, così da sottrarre Mosca ai rigori del ciclo economico e forzandola a fare scelte moderne nella gestione dei contratti e degli investimenti. Se la Russia, delle cui materie prime l’Europa ha ed avrà comunque bisogno, entrasse a far parte della moneta unica non dovrebbe rinunciare a nessuna vera autonomia nazionale nelle decisioni più sensibili per Mosca, difesa e politica estera, e avrebbe tutti i vantaggi di poter contare su una valuta stabile e rispettata internazionalmente. La crisi ha provato che l’euro è stata una formidabile invenzione di ingegneria economica e monetaria, un unicum nel mondo contemporaneo. Adesso l’Europa non dovrebbe essere timorosa o lenta nello sfruttare questo vantaggio competitivo. Eurizzare lo spazio economico significa attuare una politica estera efficace ed originale. Per ottenere pace e stabilità non serviranno più le armi, perché mai due Stati con la stessa moneta si faranno guerra. Entrambi avrebbero più da rimetterci che da guadagnarci. L’euro rappresenta la vera carta esclusiva e vincente che l’Europa può giocare per competere ad armi pari in un mondo che la crisi connota sempre di più con i colori americani e cinesi.