Alessandro Longo, ཿIl Sole-24 Ore 14/5/2009;, 14 maggio 2009
CONTRO I PIRATI IN ORDINE SPARSO
La legge francese, definitivamente approvata ieri dal Senato, è una battaglia vinta dall’industria dell’audiovisivo, in una guerra però ancora tutta da combattere. Lo scacchiere dove si gioca è globale o, almeno, europeo. E in Europa non è emerso ancora un approccio dominante, comune ai vari Paesi. Sempre più ci si confronta con il grande nodo irrisolto generato dal boom di internet di massa: il futuro del copyright, delle sue leggi e della sua industria. Si fronteggiano due posizioni (con vari gradi intermedi). Da una parte, chi crede che il copyright debba diventare più flessibile, e l’industria debba prendere atto della realtà e quindi andare verso un’accettazione più o meno estesa dello scambio non regolamentato di file su internet. Dall’altra, chi vuole imporre per legge il bando di alcuni utenti da internet, per salvare il copyright così com’è. Ed è un confronto complesso, dove si scontrano posizioni sorprendenti.
Qualche giorno fa l’Economist ha aperto un dibattito sul proprio sito, con un titolo che è anche una presa di posizione: «Noi pensiamo che le attuali leggi del copyright fanno più male che bene». A conferma di quanto sia magmatica la questione, basta ripercorre l’approccio seguito dall’industria dell’audiovisivo. Negli Usa,dove tutto è cominciato,l’industria discografica aveva scelto la strategia di un attacco a tappeto, facendo non solo chiudere servizi peer to peer ma anche denunciando singoli utenti, pescati nel mucchio. Ha denunciato quasi 40mila utenti (spesso chiedendo centinaia di migliaia di euro di risarcimento). A dicembre 2008 ha deciso per la svolta. Ha ammesso cheè stata una strategia infruttuosa, costosa e impopolare. E che sarebbe passata all’attaccodelfenomeno per mezzo dei provider, le aziende che forniscono l’accesso a internet.
Siamo adesso nel pieno di questa seconda fase. Le lobby dell’audiovisivo premono per far passare nelle leggi un concetto: che i provider siano, volenti o nolenti, da coinvolgere nella lotta al peer to peer. In che modo? La legge francese è l’esempio principe: i provider saranno obbligati a collaborare, perché i loro utenti possano ricevere una prima e una seconda lettera d’ammonimento; alla terza volta in cui sono sorpresi a fare scambio di file pirata, il provider dovrà sospendere la connessione a internet per un certo periodo di tempo. Le critiche a questa soluzione sono di due tipi. Una è politico-ideale. L’altra è pragmatico- economica. La prima insiste sul fatto che togliere internet violerebbe un diritto e una libertà fondamentale degli utenti. I socialisti francesi stanno per esempio provando a far bocciare la legge appena approvata per incostituzionalità.
La seconda rileva che la via francese si dimostrerà inapplicabile: i costi per gestire le segnalazioni saranno più grandi dei benefici; come identificare l’utente colpevole, se la connessione su cui c’è stato scambio illegale è utilizzata da più persone? E se magari è quella di un’azienda o di un’università? Come risarcire i provider per i costi derivanti da queste operazioni? Si oppone a questa via l’Aiip, l’associazione dei principali provider italiani. «Proponiamo invece di limitarci a mandare avvisi agli utenti che fanno peer to peer illegale. Il 98%, secondo stime, si ravvede al terzo avviso», dice Paolo Nuti, presidente Aiip.
Problema ingarbugliato. Non sorprende che sia stato proprio questo a far fallire, a maggio, l’approvazione del pacchetto delle nuove norme tlc al Parlamento europeo. Il Parlamento all’ultimo momento ha modificato il testo per ribadire che la disconnessione dell’utente sarà possibile solo su richiesta di un’autorità giudiziaria. A giugno il testo modificato tornerà al Consiglio. In Europa, solo la Francia ha preso una posizione così netta. Una proposta di legge simile a quella francese è stata presentata nel Regno Unito, ma poi è stata ritirata sull’onda delle polemiche. In Italia per ora non fa passi avanti la proposta di Luca Barbareschi (Pdl) di coinvolgere i provider nella lotta alla pirateria.
« una vittoria storica di quanti credono e combattono per il giusto rispetto della proprietà intellettuale e del lavoro degli autori - dice il presidente della Siae Giorgio Assumma - Spero che la nuova legge francese costituisca un forte stimolo per il parlamento italiano affinché si affretti ad adottare una normativa adeguata».
«Il pregio del coraggioso intervento francese è prima di tutto quello d’aver considerato come fondamentale la tutela della creatività », aggiunge Enzo Mazza, presidente di Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana). Fimi stima che siano circa 6 milioni gli italiani che scaricano musica illegalmente, per un mancato potenziale introito di 300 milioni l’anno.
«La Francia ha perso un’importante occasione per dimostrare di essere ancora un Paese con un adeguato livello di rispetto dei diritti fondamentali, anche di nuova generazione, dei cittadini», ha commentato invece Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti di diritto d’autore e internet.
Quello del peer to peer è solo uno dei fronti in cui il copyright mette in gioco il proprio futuro. C’è anche Google, che sta provando a rendere più elastici i suoi meccanismi. « partito con Google Books, mettendo online libri che erano su carta, e solo dopo l’alzata di scudi degli editori si è posto il problema del copyright», spiega Adam Daum, analista di Gartner.
Simile strategia ha seguito con YouTube (permettendo agli utenti di pubblicare video senza fare un controllo a priori, ma solo a posteriori, su eventuali violazioni del copyright). In questa seconda fase, però, anche Google è più propensa ai compromessi: ha proposto agli aventi diritto un compenso per i libri messi online (in ballo solo quelli ormai fuori commercio). E forse è proprio questa la via per uscire dall’impasse: accordi tra tutti i soggetti in gioco, per arrivare a un compromesso che crei dal digitale un nuovo interessante mercato per il copyright, invece della sua nemesi.