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 2009  maggio 13 Mercoledì calendario

UN COCKTAIL RILANCIA BIG PHARMA - C’è

finora una sola certezza sul nuovo virus influenzale che sta allarmando il mondo: la sua comparsa sta rilanciando l’immagine delle società farmaceutiche. in declino la retorica negativa su "Big Pharma", che non era solo appannaggiodi frange dell’opinione pubblica tendenti all’estremismo ( ne aveva fatto una bandiera persino il candidato presidenziale Usa, conservatore ma maverick, John McCain). E le accuse di avidità e di spremitura di denaro pubblico-privato trovano scarsa eco in un momento in cui i cosiddetti "stimoli fiscali" varati dei governi per combattere la recessione vanno a vantaggio di altri settori. Balza in primo piano la "missione" di salvare, difendere o prolungare la vita umana: tutti tifano per la dozzina di società che si stanno preparando a produrre vaccini contro pandemie e influenze.
Tuttavia il rischio pandemico non ha provocato una corsa degli investitori verso i titoli dell’industria farmaceutica, che è entrata in una fase "darwiniana" in cui la lotta per la sopravvivenza e il successo si fa sempre più feroce. In parte si è trattato della coincidenza con una ripresa generale di ottimismo, che ha riportato in Borsa una certa propensione al rischio a detrimento di un comparto considerato "difensivo" (almeno in tempi di recessione) e anti-ciclico.
Più ancora, hanno contato i timori sul rallentamento dei profitti - sia pure minore rispetto a quello di altri settori- , poi confermato dai risultati trimestrali in netto calo di alcuni colossi, da Merck a Gsk. Timori che hanno smorzato gli accenni di entusiasmo seguiti al recente ritorno delle maxifusioni, con l’acquisizione di Wyeth da parte di Pfizer, la combinazioni tra Merck e Schering-Plough e l’assorbimento di Genentech in Roche. C’è poi l’incognita sulle conseguenze dell’attivismo riformista dell’amministrazione Obama su un’industria da 800 miliardi di dollari l’anno ancora per circa la metà dipendente dal mercato Usa.
Il problema strutturale principale resta quello della sempre maggiore difficoltà e onerosità dell’introduzione sul mercato di farmaci innovativi a fronte d’inesorabili scadenze dei brevetti: come sottolinea l’ultimo rapporto della serie "Pharma 2020" di PricewaterhouseCoopers, «anche considerando l’inflazione, il settore sta investendo in ricerca e sviluppo il doppio di quanto facesse 10 anni fa, per produrre due quinti di nuovi farmaci rispetto ad allora», mentre «solo cinque grandi gruppi realizzano oltre il 10% dei ricavi da prodotti importanti lanciati negli ultimi cinque anni». Di fronte all’erosione certa del giro d’affari provocata dalla concorrenza dei farmaci generici, sommata al contenimento della spesa pubblica settoriale in molti Paesi, le risposte appaiono variegate. «Il 2009 ridefinirà la struttura e le dinamiche dell’industria farmaceutica in un modo che non si vedeva dal 2000», ritiene Steve Seget, autore di un rapporto per la Urch Publishing, secondo il quale l’operazione Pfizer-Wyeth da 68 miliardi di dollari favorirà altre grandi aggregazioni, al di là delle altre due già annunciate: tra i candidati ad acquisizioni, in particolare, sarebbero Sanofi-Aventis e Novartis, ma le società più sotto pressione per entrare in transazioni di M&A sarebbero Eli Lilly, Gsk e Takeda. Varie società sceglieranno invece di restare indipendenti continuando a sviluppare il loro portafoglio- attraverso acquisizioni di minore entità - allargandone lo spettro e la base geografica. Altre aziende- a partire da Novartis - hanno fatto la scelta di "sposare il nemico", ossia diventare operatori importanti anche nel settore dei generici.
Decisione rischiosa: ne sa qualcosa Daiichi Sankyo, che ha presentato ieri un bilancio annuale disastroso, con una perdita di circa 3,4 miliardi di dollari connessa all’acquisizione del controllo dell’indiana Ranbaxy, di cui le autorità Usa hanno bloccato l’importazione di prodotti accusandola di avere falsificato documenti.
Secondo gli esperti, Pfizer ha dimostrato anche l’allentamento di una strategia di focalizzazione su medicine innovative, nel quadro di una tendenza alla diversificazione largamente in atto: verso i prodotti consumer in partico-lare, ma anche in altre direzioni,dai servizi medicali ai vaccini. Un trend che ormai anche il mondo della finanza tende a vedere con favore: una base d’attività relativamente diversificata riduce rischi come quello a cui è andata incontro qualche anno fa la Merck, il cui "blockbuster" Vioxx - per risultanze cliniche negative sopravvenute- ha dovuto essere improvvisamente ritirato.
«Anche i gruppi più grandi dovranno presto uscire dal settore specifico per collaborare con altre organizzazioni, dalle istituzioni accademiche a ospedali e fornitori di tecnologie », osserva Anthony Farino della Pwc, riferendosi alla necessità ulteriore di arrivare a offrire soluzioni complete anziché trattamenti specifici. Farino paragona quello che accadrà nella farmaceutica a quanto avvenuto nell’industria discografica,con il cambiamento del modello di business generato dal "download" di brani musicali. Per lui, in un futuro a medio termine si affermeranno due modelli principali: uno pienamente diversificato verso la fornitura di servizi correlati, e uno "federato" in cui una singola entità (farmaceutica o non) creerà un network per venire incontro in modo organico alle esigenze del paziente. In ogni caso, i player puri, con attività esclusive nei farmaci su prescrizione, diminuiscono, mentre all’estremo opposto resiste Bayer, che ancora poggia su due pilastri - chimica e farmaceutica - che quasi tutti hanno separato da molti anni.
Ieri,all’assemblea degli azionisti,il numero uno Wenner Wenning ha dichiarato di non vedere la necessità di cambiare la struttura aziendale, sottolineando le sinergie in atto derivantidalla recente acquisizione della connazionale Schering; ma per vari analisti il modello duale del gruppo tedesco non potrà resistere all’infinito. Resta imperativo l’obiettivo di un’efficienza sui costi e di una maggiore produttività della ricerca: non a caso il Ceo di Sanofi- Aventis, Chris Viehbacher, ha appena annunciato la decisione di lasciar cadere ben 14 prodotti nella sua pipeline, per concentrarsi su quelli che hanno le maggiori probabilità di approdare e ottenere successo sul mercato. E ha reso noto ieri che vuole consolidare la sua leadership nei vaccini, investendo 350 milioni di euro nella costruzione di un impianto per produrre un potenziale vaccino "blockbuster" contro la malattia febbrile dengue. Perché non c’è solo l’H1N1.