Andrea Malan, ཿIl Sole-24 Ore 13/5/2009;, 13 maggio 2009
FORD, MIRACOLO TARGATO MULALLY
Di tutto il periodo passato al vertice dell’azienda di famiglia, la decisione migliore di Bill Ford è stata forse quella di aver ceduto la poltrona di amministratore delegato. Nel 2006, dopo aver invano corteggiato Carlos Ghosn, Ford scelse Alan Mulally – una carriera interamente alla Boeing e, come Sergio Marchionne, fino a quel momento digiuno di auto. Mulally arrivò alla Ford nel settembre 2006 e avviò da subito una drastica ristrutturazione, rimpinguando inoltre le casse con un maxiprestito da oltre 23 miliardi di dollari per il quale dette in pegno numerose attività dell’azienda (compreso il marchio dell’ovale blu).
La manovra è stata decisiva: due anni dopo, quando la crisi si è abbattuta sul mercato americano e i canali del credito si sono prosciugati, Ford è stato (e rimane) l’unico costruttore a non aver chiesto aiuto al Governo. Non solo: ieri Ford ha addirittura annunciato un aumento di capitale con l’obiettivo di raccogliere fino a 1,8 miliardi di dollari (ai prezzi di lunedì), destinati in parte al finanziamento del fondo Veba per l’assistenza sanitaria ai pensionati del gruppo. Una prova di solidità ma anche una mossa coraggiosa, date le condizioni dei mercati; una mossa che ieri Wall Street ha accolto con una certa prudenza, se non freddezza, spingendo al ribasso le azioni Ford del 17,6% a 5 dollari.
Ford scommette, come ha fatto negli ultimi mesi, sulla "diversità" dalle rivali General Motors e Chrysler, in profonda crisi.L’anno scorso,è vero,Mulally è volato a Washington con Rick Wagoner e Bob Nardelli a chiedere aiuto al governo, ma ha chiesto solo garanzie in caso di emergenza, e non ha finora avuto bisogno di utilizzarle; e approfittando della situazione precaria delle due rivali americane, in questi ultimi mesi l’azienda di Dearborn ha recuperato quote del mercato nordamericano; un recupero avvenuto anche in Europa, dove il calo di vendite nei primi quattro mesi dell’anno (-7,4%) è meno della metà rispetto al mercato grazie al successo delle piccole Fiesta e Ka, la prima delle quali verrà esportata anche verso gli Usa.
Quanto è davvero diversa la Ford dalle due rivali, delle quali una ha già portato i libri in tribunale e l’altra sta per farlo? Si può definire diversa un’azienda che ha perso 16 miliardi di dollari tra l’inizio del 2008 e fine marzo del 2009 e che nel primo trimestre 2009 ha venduto in Nordamerica metà delle auto rispetto al 2008? Il bicchiere può in realtà essere visto mezzo pieno: il rosso dei primi tre mesi 2009 (1,4 miliardi di dollari) è inferiore a quello di Toyota – quella Toyota che per Mulally era un modello fin dai tempi della Boeing.
Oltre al maxifinanziamento del 2006, un altro colpo da maestro è stato messo a segno un mese fa, quando Ford ha riacquistato a sconto bond per quasi 10 miliardi, riuscendo così a ridurre i debiti e gli oneri per interessi. L’operazione è stata possibile anche grazie al cuscino di liquidità accumulato: oltre 21 miliardi di dollari a fine del 1° trimestre 2009 nonostante l’attività continui a bruciare cassa. Mulally non è però solo un " finanziere", come dimostra la profonda ristrutturazione dell’azienda, nella quale si è mosso con decisione come aveva fatto per la divisione aviazione civile della Boeing. Tra fine 2006 e fine 2008 Ford ha tagliato 49mila posti di lavoro in Nordamerica (da 128mila a 79mila), con un rinnovamento profondo anche dei ranghi più elevati. Il piano "One Ford" ha cercato di unificare divisioni e settori – per marchio e per regione – che fino ad allora agivano come feudi separati.
Al rafforzamento finanziario ha contribuito la cessione di marchi, nella quale Ford si è mossa prima di Gm. Dal 2006 sono state vendute Aston Martin a investitori arabi, Jaguar e Land Rover all’indiana Tata, il grosso della quota nell’alleata giapponese Mazda. Resta da "piazzare" Volvo, compito non facile vista la crisi dei mercati.
Se la famiglia ha fatto un passo indietro, è rimasta compatta al fianco del management. Lo stesso Bill Ford ha "messo la faccia", per così dire, anche sullenotizie più sgradevoli confermando il legame tra la dinastia e l’azienda che ne porta il nome. Il coinvolgimento diretto in azienda è una scelta che non tutte le famiglie fanno; ma Bill Ford disse una volta che «quando hai il tuo nome scritto sul palazzo, è diverso». E forse non è un caso se delle grandi famiglie dell’auto, proprio quelle «con il nome sul palazzo» – ovvero Ford, Peugeot e Toyoda – sono attualmente le più impegnate anche nei ranghi manageriali. Bill Ford resta il punto di riferimento della famiglia, mentre il ruolo operativo più alto in grado è ora della cugina Elena Ford, figlia di Anne Ford e dell’armatore greco Stavros Niarchos.
Ford prenderà il ruolo di Gm come numero uno dell’ex capitale dell’auto? Difficile dirlo prima che la crisi sia finita. Per due motivi principali. Il primo è che Ford ha molti fornitori in comune con Gm e Chrysler: in caso di tracollo di una o di entrambe, le ripercussioni potrebbero essere pesantissime – fino all’eventualità di dover a sua volta chiedere aiuto a Washington. Il secondo è l’ingresso dell’azionista pubblico nelle rivali Chrysler e General Motors. vero che gli uomini di Obama hanno detto di non voler gestire le aziende; ma l’infinita pazienza e disponibilità di capitali del socio pubblico potrebbero cambiare lo scenario competitivo.