Claudio Antonelli, Libero 13/05/2009, 13 maggio 2009
SALE IL PREZZO DEL PETROLIO
Buone notizie sul fronte del greggio e della macroeconomia. Il barile è tornato ai valori dello scorso novembre e come ci dicono le statistiche presto anche gli andamenti dell’industria e dell’economia seguiranno lo stesso sentiero. Di crescita, ovviamente. La curva decennale del costo del barile ricorda a grandi linee quella del prodotto interno lordo mondiale. Tanto che il crollo dell’oro nero di quasi 100 dollari in soli 5 mesi si sta ripercuotendo sul Pil mondiale in differita di un semestre. Le stime del Fmi parlano di un -1,5% sul 2008, una perdita che non si registrava da 60 anni. Nel dettaglio, al mercato di New York le quotazioni, già in apertura, registravano 59,79 dollari al barile, con un + 2,2% rispetto alla seduta del giorno prima. Per toccare, subito dopo, i 60 dollari. La stessa soglia psicologica, che nel trend opposto, aveva decretato l’inizio della grande depressione. Per cui adesso potremmo tirare un sospiro di sollievo, aspettando la fine della crisi. Il gettito fiscale tornerà ai livelli del 2007, i consumi e la produzione industriale idem. Il che non significa che il nostro portafoglio si alleggerirà di meno rispetto al duro inverno lasciato alle spalle. Nei mesi scorsi il consumatore ha pagato i fallimenti dei mutui spazzatura e dalle prossime settimane sborserà di più per la benzina. Sarà come sempre il cittadino-contribuente a pagare i costi della ripresa, come prima si è visto recapitare quelli della crisi.
Discorso diverso per gli speculatori. Se il greggio sale infatti non si può evitare di sottolineare che è l’attività finanziaria sottostante a spingere con vigore verso l’alto gli andamenti del barile. L’Aie (Agenzia internazionale per l’energia) ha ridotto la capacità estrattiva globale di 1,7 milioni di barili al giorno. Le stime della produzione erano state rimodellate dall’Aie ulteriormente lo scorso aprile, quando si è raggiunto il minimo dal 2004. E al momento il trend estrattivo non è stato invertito. Il che significa che il prezzo non sale perché la domanda aumenta, ma cresce perché migliorano le aspettative future. Senza dimenticare che oro nero e materie prime sono al momento le ciambelle più golose per chi vuol investire a lungo termine.
«Anche le borse, nonostante i recenti segni più, potrebbero non rappresentare un buon investimento di lungo periodo», spiega il consulente indipendente Paolo Barrai, «visto il perdurare di tassi alti di disoccupazione, una distribuzione iniqua del reddito in Europa e Usa e la continua riduzione delle ricchezza occidentale». Lo stesso Bric (5 principali Paesi emergenti) infatti potrebbe contenere dei settori in crescita e società con utili in calo. Motivo in più per considerare le commodity un salvagente con la corda lunga. «Il tutto grazie alla crescita dei consumi dei Paesi asiatici e a una possibile svalutazione delle valute occidentali sulla valuta cinese», conclude Barrai. Mentre la Cina può dirsi in certo senso tranquilla: si è già comprata materie prime per i prossimi tre anni. «C’è una ripresa della speculazione», sottolinea senza mezzi termini il presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita, «C’è questa tendenza a salire», aggiunge, «perché c’è una ripresa dell’attività speculativa. Mentre non c’è un motivo logico perchè il prezzo del petrolio risalga». Il presidente dell’Up taglia corto anche sul fronte della domanda, «I consumi sono depressi e la produzione abbondante. La speculazione dunque si è spostata nuovamente sul greggio». Quello che è certo è che gli avvoltoi della finanza non vanno mai contro vento. Se scommettono sulla salita del greggio è perchè sanno che presto gli farà eco anche l’economia reale.