Luigi Ferrarella, Corriere della sera 12/5/2009, 12 maggio 2009
LA GIUSTIZA E’ LENTA, PAGANO LE IMPRESE
Il vero decreto-competitività per le imprese italiane? Quello in grado di compiere il «miracolo» della giustizia civile. Perché alle aziende italiane l’inaffidabilità tempistica dei tribunali italiani nel decidere una causa civile o nello sbrogliare un fallimento costano quanto intere voci di una manovra finanziaria del governo: oltre 2 miliardi e 200 milioni di euro l’anno. la stima che l’Ufficio studi della Confartigianato, dopo un primo esperimento due anni fa, ha ora aggiornato lavorando sui dati Istat del 2006 relativi alla lunghezza delle cause civili e sui numeri del 2007 per le procedure concorsuali.
«Uffa che noia» è l’usuale reazione nella quale rischia di incorrere la periodica litania dei tempi eterni, della mole di arretrato, della penuria di risorse e dell’inadeguatezza del personale salmodiata a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario: ma statistiche come queste, insieme ad altri indicatori concreti, possono forse cominciare ad accrescere in larghi strati di cittadinanza (in questo caso gli imprenditori, i dipendenti delle aziende, i fornitori, i clienti consumatori) la consapevolezza che il crac della giustizia non è un ritornello da svogliatamente riascoltare in sottofondo, ma una vera «tassa» occulta di circa 371 euro per azienda, un’inefficienza che mette le mani nelle loro tasche anche se non se ne avvedono, un nemico che li insegue nella quotidianità quand’anche in vita loro abbiano la fortuna di non mettere mai piede in un tribunale.
Le classifiche
Non è ovviamente Confartigianato la prima a far notare i 4 anni, 7 mesi e 25 giorni di durata media di una causa civile tra primo e secondo grado, o gli 8 anni, 3 mesi e 25 giorni ai quali bisogna rassegnarsi in media per vedere come vada a finire un fallimento. E sono diventate ormai quasi proverbiali barzellette le meste collocazioni dell’Italia (169ª su 181 Stati) nelle classifiche della Banca Mondiale per durata media della procedura necessaria a far rispettare un contratto di valore doppio del reddito pro capite. Ma il senso della ricerca sta nel richiamo al fatto che, mai come nell’amministrazione della giustizia civile, il tempo non passa gratis.
Per le imprese c’è il costo del ritardo di giustizia, calcolabile sia come oneri finanziari relativi a un prestito bancario sull’importo dei titoli di credito rilevati regione per regione, sia come importo dell’attivo del fallimento la cui durata influisce sulla perdita sopportata dalle imprese creditrici. Ebbene, sotto questi due punti di vista la durata dei procedimenti civili (espressa come rapporto tra la pendenza media in un certo anno e la semisomma dei procedimenti sopravvenuti ed esauriti, moltiplicato per il numero di giorni in un anno) azzoppa le imprese italiane per poco meno di un miliardo e 200 milioni di euro l’anno, mentre il costo causato dalla lentezza nelle procedure concorsuali spinge le aziende a rivolgersi alle banche e a sopportare maggiori oneri finanziari per poco più di un altro miliardo.
Il peggio è che una sorta di federalismo (che non c’è ancora nel Paese) c’è invece già nell’autoreferenziale universo della giustizia negata: ma è il «federalismo» più iniquo che si possa immaginare, cioè è la discriminazione delle condizioni di partenza della competitività per il solo fatto che una azienda cerchi di recuperare un credito in una regione piuttosto che in un’altra, o confidi di attendere la soluzione di un fallimento in una città invece che in un’altra. Lo stesso tipo di causa civile dura in media 7 anni e 3 mesi in Liguria quando in Trentino si risolve attorno ai 3 anni. E se dal piano regionale si scende al dettaglio dei 165 circondari appartenenti a 29 distretti di Corte d’Appello, la meraviglia per il divario scolora in sconforto di fronte alla durata di una causa civile di primo grado dodici volte superiore a Enna (quasi 7 anni) rispetto a Vercelli (poco più di 6 mesi). Del resto, usando come lente territoriale la dimensione della provincia, ce ne sono addirittura 15 dove avventurarsi ad attendere l’esito di un fallimento significa mettere tranquillamente in cantiere il battesimo, la prima comunione e la cresima dei figli, visto che lì (da Nuoro a Reggio Calabria, da Lodi a Catania, da Vercelli ad Ascoli Piceno) la durata media supera i 12 anni: più di 4 volte il tempo che per dirimere un fallimento viene impiegato a Trieste o a Olbia.
A macchia di leopardo spuntano uffici giudiziari che, a dispetto della «maglia nera» in fondo alle classifiche, paradossalmente potrebbero indossare la «maglia rosa» di corposi miglioramenti percentuali rispetto al loro passato. Ma la media nazionale di una causa civile di primo grado (2 anni, 6 mesi e 17 giorni) restituisce un dato negativo, non solo nel riferimento assoluto ma soprattutto nell’inversione di rotta che testimonia: dopo cinque anni di leggere diminuzioni della durata dei procedimenti civili, i dati del 2006 appaiono peggiorati del 6,2%, cioè conteggiano appunto 54 giorni in più di lunghezza. E se solo la Campania è migliorata rispetto al 2005 di 73 giorni (meno 6,9%), i tribunali di Liguria e Basilicata hanno arrancato il 12,5% in più, le cause civili in Calabria sono durate il 18,2% in più, e Valle d’Aosta e Puglia sono peggiorate di 210 giorni e di 382 giorni, che sul loro 2005 significa una débâcle del 44,2% e del 34,7%. Stessa parabola negativa per i fallimenti, dove in 10 anni i tempi si sono allungati di ben 2 anni e 4 mesi (più 39%), raggiungendo la media di 5 anni, 11 mesi e 23 giorni.
La responsabilità dei cittadini
Facile, e ricorrente, gettare la croce addosso solo agli avvocati, che in Italia hanno un’incidenza sulla popolazione superiore dell’80% alla media di altri Paesi europei: Confartigianato richiama dati europei per rilevare che per 100.000 abitanti ci sono 290 avvocati italiani contro i 266 spagnoli, 168 tedeschi, 76 francesi e 20 inglesi, mentre due regioni da sole (Lazio e Campania) hanno più avvocati di tutta la Francia (47mila).
Più impopolare, però, è considerare anche la possibilità che i cittadini stessi, oltre che vittime della lentezza della giustizia, ne siano un po’ complici laddove usino il tribunale come muro di gomma per difendersi dalle giuste pretese della controparte, fino a sfiancarla e costringerla a una transazione al ribasso. A consigliare di non cedere alla tentazione di indulgenti autoassoluzioni, infatti, sono i dati che, su 100.000 abitanti, rilevano in Italia ben 6.277 cause civili contro le 1.844 della Francia, le 1.787 della Spagna o le appena 661 della Germania. E con un piccolo sforzo l’Italia può ancora conquistare almeno un record europeo, proprio questo della litigiosità: in fondo l’attuale medaglia d’oro, cioè la Bosnia Erzegovina, con 6.817 cause civili per 100.000 abitanti ci batte soltanto di una manciata di cause in più.