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 2009  maggio 14 Giovedì calendario

GIORGIO D’IMPORZANO PER L’ESPRESSO 14 MAGGIO 2009

Stuprate e abbandonate Personale qualificato insufficiente. Centri di accoglienza inesistenti. Dopo la violenza, le donne subiscono un altro trauma. Da parte di uno Stato incapace di assisterle

Una giornata storica per le donne. La definizione è del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna che, il 22 aprile, incassato il voto unanime delle Camere al pacchetto di leggi sulla violenza sessuale e lo stalking, commentò: "L’Italia è tra le nazioni più avanzate nel contrasto alla violenza sessuale". Un ottimismo che resta teorico, visto che di concreto non è cambiato nulla. Nonostante l’allarme sociale, nonostante le dichiarazioni di tutti i politici ancora oggi una donna, prima, durante e dopo lo stupro, è sola con se stessa.
Le denunce Dopo gli slogan, il numero di investigatori specializzati in questi reati non è aumentato. L’attività di indagine oggi è affidata principalmente alla polizia. Da dieci anni presso le squadre mobili delle maggiori città sono state istituite sezioni per i reati sessuali. Il vice questore aggiunto Chiara Giacomantonio, responsabile di questa divisione del Servizio centrale operativo (Sco), spiega che tutto il personale impiegato nelle sezioni frequenta un corso di tre settimane. Lezioni in cui si approfondisce l’aspetto psicologico, con esempi concreti di casi e aggiornamenti sulle tecniche investigative. "Nell’indagine per stupro è importante instaurare un’empatia con la vittima, non chiedere subito di arrivare al dunque e captare quelle indicazioni che possono indirizzare al meglio l’individuazione dell’autore del reato". Nelle metropoli il sistema funziona, con le eccellenze di città come Roma e soprattutto Milano, dove gli investigatori si sono talmente specializzati da aver risolto il 90 per cento dei casi, riuscendo persino a scoprire cinque false denunce presentate dall’inizio del 2009 per violenze che erano state confermate anche dal pronto soccorso. Il problema si pone però quando la vittima abita in un centro minore. Non tutte le questure infatti hanno una squadra dedicata ai reati sessuali, che di volta in volta vengono trattati da personale senza esperienza.
La Rete nazionale antiviolenza Arianna, istituita dal ministero delle Pari opportunità, ha infatti registrato, e stigmatizzato, molti episodi di donne che hanno riferito di essersi rivolte alle forze dell’ordine "ma che non è stata raccolta la querela (invito a ripensarci, a ripresentarsi con un avvocato, ecc) o che non sia stata verbalizzata la denuncia per reati addirittura perseguibili d’ufficio". Per quanto riguarda i carabinieri, la situazione è ancora peggiore. Il comando generale dell’Arma spiega che nei reparti operativi, compresi quelli delle metropoli, non esistono nuclei specializzati, nonostante ormai da anni anche le donne siano entrate nella Benemerita. In provincia è facile che una donna abusata si trovi ad attendere nell’ufficio denunce assieme a chi ha solo smarrito un documento. Per eliminare la lacuna, proprio in questi giorni i ministri Carfagna e Maroni stanno mettendo a punto un piano di azione tra forze di polizia. L’obiettivo è creare condizioni ottimali per raccogliere le testimonianze delle vittime e aiutarle nel percorso per la denuncia. Un impegno a lunga scadenza, fatto di formazione e collegamenti con i call center per il quale occorrerà tempo. Intanto però il controllo del territorio nelle ore più a rischio è affidato allo stesso numero di pattuglie di vent’anni fa. E in Italia, ogni giorno, sette donne vengono violentate.
L’assistenza Ma il vero tasto dolente viene dopo. Le donne si trovano a dover far fronte a gravi difficoltà. "La vittima di una violenza sessuale è disorientata, prova un senso di colpa, di schifo, di paura; può vivere con profondo disagio la propria sessualità e femminilità che, attraverso lo stupro, è stata violata". Elena Calabrò, psicoterapeuta del Soccorso violenza sessuale (Svs) della Mangiagalli di Milano, nel suo lavoro affronta l’universo di emozioni sconvolgenti di centinaia di pazienti. Le conseguenze? "Smarrimento, depressione, disturbi alimentari, ansia, fobie sociali, attacchi di panico". Fino ad arrivare, in casi estremi, al suicidio. La psicologa spiega che occorre rielaborare le emozioni e il trauma e che è indispensabile una rete di servizi in cui siano presenti specialisti e in cui possa essere garantita anche un’assistenza legale.
A Milano e Torino esistono gli unici due centri Svs italiani dove una équipe composta da ginecologi, psicologi e psicoterapeuti, assistenti sociali, medici legali e avvocati opera 24 ore al giorno in un reparto dedicato all’accoglienza delle vittime di violenza sessuale. Un’eccezione: l’ospedale fiorentino di Careggi da dieci anni ospita il Centro di riferimento regionale, ma resta molto da fare. "Le nostre pazienti purtroppo non vengono visitate automaticamente da uno psicologo, che comunque si trova in un altro reparto e la notte e il fine settimana non è sempre disponibile. Dopo la visita, le donne le indirizziamo ai consultori presenti sul territorio con i quali però non siamo in contatto. Noi le invitiamo a tornare per una visita di controllo, ma raramente lo fanno", spiega la dottoressa Sandra Bucciantini. Anche la privacy non viene tutelata: "In caso di degenza cerchiamo di ospitarle in stanze al massimo da due letti, nel reparto comune". La dottoressa ammette che dopo il ricovero la cosiddetta rete tanto auspicata dagli esperti funziona meno: "Non sappiamo che fine facciano le nostre pazienti, ma sappiamo che fuori non trovano un grande aiuto e sono lasciate sole".
Il commento, anche stavolta, è quelle delle protagoniste di questa indifferenza che ai call center di Arianna denunciano che i servizi istituzionali "forniscono risposte poco congrue ai propri bisogni o del tutto assenti, con profili poco qualificati". Anche per questo molte donne rinunciano a presentare la denuncia. Un modo efficace per evitare l’impunità degli stupratori potrebbe essere quello raccomandato dal consiglio d’Europa: la procedibilità d’ufficio, ossia rendere automatica l’indagine. In questo modo il medico del pronto soccorso che visiti la vittima di uno stupro potrebbe, come già fa per reati assai meno gravi, trasmettere il referto all’autorità giudiziaria e far scattare l’inchiesta. Avviene da anni, come spiega l’avvocato Renato Papa, del Centro studi di diritto penale europeo, in Francia, Svizzera, Spagna (con minore incisività in quanto il pm non può agire senza il consenso della parte offesa), Germania e Gran Bretagna. Il legislatore italiano ha invece sempre preferito lasciare libera la donna di decidere se denunciare il suo aggressore per proteggerla dal rischio di perdere la casa, il lavoro o la famiglia nel caso lo stupratore sia il partner o un superiore.
La prevenzione Il progetto antiviolenza Urban, promosso anni fa dalle Pari opportunità, aveva già dimostrato come le donne si sentano molto più insicure e siano più a rischio nei quartieri dormitorio, nelle periferie solcate da viali deserti e spesso con scarsa illuminazione. In Italia però l’urbanistica non tiene conto della sicurezza: ogni grande città continua a progettare nuovi quartieri satellite dove mancano servizi, attività commerciali e vivo tessuto sociale. Si è pensato allora di rimediare con l’installazione di apparati di videosorveglianza. Milano conta più di 7 mila telecamere e Roma le punta anche su Campo dei Fiori. Ma questa corsa a trasformare in un gigantesco Grande Fratello i centri urbani serve a poco. Le telecamere raramente registrano, non sono mai in grado di riprendere con sufficiente nitidezza il volto degli eventuali aggressori e troppo pochi agenti o vigili urbani stanno davanti ai monitor. Insomma, le promesse della tecnologia applicata alla sicurezza non riscuotono risultati nella prevenzione della violenza sessuale.