Marco Masciaga, ཿIl Sole-24 Ore 12/5/2009;, 12 maggio 2009
TATA INVENTA L’INDIA LOW COST
L’automobile da 1.800 euro non ha il portellone posteriore: per mettere le valige nel bagagliaio bisogna farle passare dall’abitacolo. Il business hotel da 15 euro a notte non ha un coffee shop aperto 24 ore su 24: chi ha fame fuori orario deve ripiegare su un distributore automatico di snack. La casa da 5.900 euro ha una superficie calpestabile di 20,25 metri quadrati: per buttarsi sul letto ci si deve tuffare dalla cucina. Se è vero che in tempi di crisi less is more,
qui in India, dove a una famiglia basta guadagnare più di 4mila dollariall’anno per essere considerata parte del ceto medio, la regola vale più che altrove.
A capirlo, traducendo il concetto in prodotti fatti su misura per il (neo)consumatore indiano, è stata la Tata, che dopo aver lanciato la macchina meno cara di sempre, la Nano, e una catena di hotel moderni, business friendly ed economici con il marchio Ginger, la scorsa settimana ha annunciato di voler ripetere l’esperimento anche con il settore immobiliare con un progetto chiamato Shubh Griha, letteralmente "Casa benedetta".
Per la società fondata a Mumbai nel 1868 da Jamsetji Nusserwanji Tata si tratta dell’ultima tappa di un’avventura imprenditoriale e filantropica che, coniugando le acciaierie con la fondazione di quegli istituti superiori che hanno formato un pezzo importante della classe dirigente del paese, ha attraversato buona parte della storia dell’India moderna. Dai decenni di «passiva disperazione generata dal colonialismo britannico» (le parole sono di JRD Tata) all’inebriante senso di libertà portato dall’indipendenza; dagli anni socialisteggianti, soffocanti e in fondo rassicuranti del Licence Raj alla vertigine delle liberalizzazioni economiche del 1991. Fino ai giorni nostri e alla nascita di quel magma inafferrabile che il saggista Pavan K. Varma ha battezzato "The Great Indian Middle Class". Un ceto medio urbano che, per essere considerato veramente tale, deve possibilmente cessare di vivere in baracche malsane costruite a ridosso di canali e ferrovie.
L’obiettivo del progetto Shubh Griha è di mettere inizialmente sul mercato 1.242 appartamenti di tre diverse metrature e di prezzo compreso tra 390mila e 670mila rupie per andare incontro alla crescente domanda di abitazioni a basso costo nelle maggiori città indiane. Secondo la National Planning Commission, nelle metropoli del Subcontinente oggi mancano 24,7 milioni di case di questo tipo. Un gap apertosi in parte per via del rapido processo di urbanizzazione e in parte perché nell’ultimo decennio, quando il numero di indiani con accesso al credito è cresciuto a ritmo esponenziale, i principali player del mercato immobiliare hanno puntato soprattutto alla fascia più alta del mercato, dove i margini di guadagno sono più corposi.
«Da qualche mese a questa parte le cose hanno iniziato a cambiare», spiega Anshuman Magazine, Chairman e Managing Director di CB Richard Ellis in India. «A causa della crisi, la domanda di abitazioni di lusso è crollata e più di un developer sta abbassando le metrature dei progetti in via di costruzione per rendere le abitazioni alla portata di un numero maggiore di potenziali clienti». Secondo Magazine, una volta che l’economia indiana tornerà a correre ai ritmi dell’ultimo triennio ci sarà un ritorno verso i segmenti più remunerativi del mercato, ma si tratterà di un fenomeno meno pervasivo che in passato: «Credo che la lezione di questi mesi non verrà dimenticata in fretta e i costruttori cercheranno di diversificare la propria offerta», spiega.
Per il momento la barriera principale con cui Tata Housing e i suoi competitor si dovranno misurare è quella infrastrutturale. Per poter offrire abitazioni a basso costo in un paese come l’India, dove dal 2004 in avanti il prezzo dei terreni è schizzato alle stelle, è indispensabile allontanarsi di decine di chilometri dai grandi centri urbani: il primo insediamento a marchio Shubh Griha sorgerà infatti a Boisar, una località a una settantina di chilometri da Mumbai.
«La speranza - spiega Magazine - è che operazioni come quella dei Tata spingano le istituzioni a dotare le aree che circondano i grandi centri urbani di quelle infrastrutture in grado di renderle abitabili, come ospedali e scuole ». E possibilmente strade in grado di collegarle a quelle città come Delhi, Mumbai e Bangalore dove si concentrano le opportunità di lavoro più interessanti. A quel punto certe distanze diventeranno più gestibili di quanto siano oggi. A patto, s’intende, di avere una piccola Nano parcheggiata sotto casa.