Francesca Padula, ཿIl Sole-24 Ore 12/5/2009;, 12 maggio 2009
PI LAVORATORI STRANIERI CHE STATALI
Più lavoratori immigrati che impiegati statali. Non è una previsione allarmistica dell’Italia che verrà, ma una foto di quella che c’è. Chiamiamola, se volete, multietnica. Oppure non chiamiamola così sapendo però che l’Italia è il paese in cui i 3 milioni e 561mila lavoratori stranieri maggiorenni (uomini e donne) hanno sorpassato i 3 milioni e 366mila dipendenti (tutti rigorosamente italiani) della pubblica amministrazione.
Non solo. anche il paese in cui le 700mila badanti regolari impegnate nell’assistenza a tempo pieno degli anziani sono più numerose di tutto il personale della sanità pubblica che tra personale medico e paramedico si ferma a 682mila addetti.
la terra degli 80mila lavoratori stagionali che arrivano ogni anno dall’estero a prendersi cura delle colture più estese (come mele, patate e pomodori), di quelle di serra (ortaggi e fragole) e persino di quei gioielli dell’agroalimentare made in Italy che sarebbero addirittura in estinzione senza il loro lavoro: come il Barolo che sopravvive grazie alla colonia macedone pian piano trasferita e insediata nelle Langhe (piccolo dettaglio emblematico: la chiesa di San Michele arcangelo a Neiva- da tempo priva di fedeli cattolici - è passata alla comunità ortodossa macedone). Insomma, multietnico o no, è un paese in cui il lavoro è trainato dall’immigrazione in molti settori. Alcuni tratti caratteristici dell’occupazione straniera sono noti: si concentra quasi per il 75% al Nord. composta prevalentemente da lavoratori con un’istruzione superiore (42,6%) o universitaria (10,9%); concentrata nei servizi (39 immigrati su 100 e 86 immigrate su 100); con una massiccia presenza anche nel comparto industriale, e in particolare nel settore edile (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Ma la sua distribuzione è anche la cartina di tornasole del modello italiano d’incorporazione, con una domanda distribuita tra i mestieri a bassa o nulla qualificazione (tipici del terziario) e quelli di tipo artigianale e operaio (tipici dell’industria).
Multietnica non è solo l’Italia degli immigrati dipendenti. Piccoli imprenditori crescono e sono proprio le attività con titolari stranieri ad assicurare il segno positivo nei recenti bilanci di "nati-mortalità" delle piccole e medie imprese nazionali. Tra il 2000 e il 2007 le ditte individuali sono quasi triplicate passando da circa 85mila a quasi 258mila. L’oscar va alla Lombardia che ha circa un quinto di quelle registrate a livello nazionale, mentre Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio danno l’altro blocco significativo, con una quota media del 10% ognuna.
Non ci sono solo i lavoratori regolari (3,677 milioni) e quelli che hanno un lavoro ma non ancora il permesso di soggiorno (651mila). Tenendo conto anche dei minori regolari (767mila, di cui 457mila nati in Italia), si arriva a una popolazione totale di 4,328 milioni immigrati (totale delle presenze a inizio 2008 secondo la Fondazione Ismu). La chiamano la "21esima" regione italiana, poco più piccola dell’Emilia Romagna ma più popolata sia della Toscana sia di altre 11 regioni. E destinata a diventare la seconda regione - dopo la Lombardia - nel giro di vent’anni: in base ai dati Istat, infatti, nel 2030 gli immigrati presenti in Italia saranno circa 8 milioni: oggi ci sono in media 6 stranieri ogni 100 italiani, nel 2030 ce ne saranno 14,9 (al Nord a 22, al Sud solo 3,8).
Il lavoratore immigrato che "batte" l’impiegato statale non sta, per caso, prendendosi una rivincita proprio sulla burocrazia? La burocrazia che mette in coda gli immigrati per tanti mesi in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. O che costringe chi ha un lavoro ma non il permesso a "smarrire" un paio di volte i documenti, sulla via della regolarizzazione, per uscire dall’Italia da clandestino e rientrarvi da regolare, con una gigantesca finzione (che ormai anche il presidente Fini vorrebbe modificare). Quella macchina statale che tutti i giorni attraverso le Prefetture emette decreti di espulsione nei confronti degli irregolari senza permesso di soggiorno ma che non riesce a farli rispettare, tanto che i decreti restano nelle tasche dei clandestini e i rimpatri effettivi a fine anno sono poche centinaia.
Nel confronto tra i numeri dell’immigrazione e quelli delle istituzioni che la governano sta, secondo gli esperti, il punto di svolta. «Per produrre integrazione il ritmo degli ingressi deve andare al passo della società ospite e delle sue istituzioni - ammonisce Gian Carlo Blangiardo, demografo dell’università Bicocca ed esperto della Fondazione Ismu- . il momento di spostare il dibattito sui numeri da un approccio "opportunistico" a un’apertura con realismo: accogliere flussi quantitativamente compatibili con gli equilibri, i vincoli e le risorse del paese».