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 2009  maggio 12 Martedì calendario

L’EQUIT MUOVE LA CRESCITA

Il vivace dibattito sulla crisi finanziaria, avviato sul Sole 24 Ore con lo stimolante articolo di Guido Tabellini, già mostra che gli economisti non hanno una diagnosi condivisa sulle cause, i rimedi e gli effetti sugli assetti del capitalismo. Provo a contribuire a questa discussione sottolineando quattro punti che potrebbero aiutare a far convergere le opinioni sui rimedi.
e Come ha documentato Robert Shiller, una bolla finanziaria si caratterizza per un’anomala convergenza delle opinioni e delle aspettative degli investitori e degli intermediari finanziari sull’andamento dei prezzi delle attività patrimoniali: non solo diminuisce la percezione del rischio, ma viene meno la normale differenza di opinioni che, quando i prezzi salgono, induce alcuni a comperare e altri a vendere.
Questo fenomeno non è spiegabile senza un intervento esogeno che ancori le opinioni e le attese dei privati:quest’àncora sono le politiche economiche. In effetti, negli anni precedenti le bolle speculative di fine secolo scorso a Wall Street si era consolidata l’opinione secondo cui la Federal Reserve americana e il Tesoro sarebbero intervenuti per salvare i finanzieri dai loro errori, da un lato inflazionando la moneta ( la Greenspan put),dall’altro evitando il fallimento delle banche troppo esposte. Non a caso i ministri del Tesoro provenivano sempre dai ranghi di Wall Street.
r L’instabilità sistemica non nasce dal fatto che un intermediario o un fondo possa non rimborsare i denari ricevuti dagli investitori, infliggendo loro delle perdite. Nasce quando su tali passività vi è una garanzia esplicita o implicita di restituzione a vista senza perdite che è appunto la caratteristica dei depositi bancari. Le banche sono sottoposte a vincoli prudenziali proprio perché, accettando passività garantite, li impieghino a scadenza più lunga con oculatezza; a garanzia dei depositanti, devono tenere adeguati cuscinetti di capitale, cui ricorrere per soddisfare le richieste di rimborso dei depositanti.
Ma invece di selezionare buoni impieghi, le banche si sono messe a giocare alla roulette, scommettendo sull’aumento dei prezzi delle azioni e delle case, oppure prestando in misura imprudente a privati che scommettevano allo stesso modo senza margini adeguati di capitale.
Non può stupire che, appena i prezzi azionari e delle case hanno accennato a flettere, i depositanti si sono spaventati e hanno cercato di ritirare i propri depositi, avviando la crisi bancaria. Le banche sono state obbligate a liquidare gli investimenti in attività patrimoniali, accelerandone la caduta dei prezzi e aggravando ulteriormente la crisi bancaria.
L’assunzione di rischi sproporzionati da parte delle banche non è stata la conseguenza dell’innovazione finanziaria - che era solo il modo per nascondere l’esposizione,fingendo di averla trasferita altrove. L’assunzione di rischi sproporzionati è stata resa possibile dalla decisione delle autorità di sorveglianza di liberare le banche dai requisiti di capitale, comeè avvenuto a Wall Street; o di fingere di non vedere che le banche stavano accumulando rischi insostenibili in rapporto al capitale, come è avvenuto in Europa- grazie ai rating compiacenti che cancellavano i rischi, ai credit default swap che fingevano di assicurarli, e ai requisiti di capitale di Basilea, che prendevano per buoni quei rating e quelle assicurazioni.
Dunque, se vogliamo evitare che il disastro si ripeta, oltre a non creare troppa moneta e a non garantire i banchieri contro le perdite, dobbiamo irrigidire severamente i requisiti di capitale delle banche, e sorvegliarle strettamente perché non si giochino i denari dei depositanti alla roulette del mercato dei capitali.
Tagliare le gambe agli hedge fund o ai fondi di private equity non aiuterebbe, anzi renderebbe i mercati meno liquidi e flessibili. Neanche i centri finanziari off-shore hanno grandi colpe:ma le autorità fiscali di Francia e Germania, e quelle italiane a ruota, hanno pensato che questa sia la buona occasione per ridurre la mobilità dei capitali e la concorrenza fiscale, puntando a creare più spazio per mantenere elevata la spesa pubblica e le tasse. Ottima intenzione: purché tutti sappiano qual è il gioco.
t Ora che le Borse risalgono, possiamo sperare che le economie ripartano e tutto ritorni come prima? Ci sono due problemi. Nella pancia del sistema bancario internazionale, anche in Europa, ci sono ancora enormi perdite sommerse. Fintanto che queste perdite non emergeranno e saranno coperte con adeguate iniezioni di capitale, il credito all’economia non potrà ripartire.
Più importante, la grande crescita degli anni 90 era drogata dal debito insostenibile delle famiglie, Stati Uniti in testa; mentre la crescita fisiologica dei consumi era depressa dalla stagnazione dei redditi da lavoro dipendente in tutto il mondo avanzato, a causa della concorrenza dei prodotti a basso costo dei paesi emergenti, come ricordava Fitoussi nel suo intervento su questo giornale sabato scorso. Ora non potremo più contare sul sostegno dei debiti, anzi aumenterà la propensione al risparmio. Non è chiaro, perciò, da dove possa venire la domanda aggregata per trainare la crescita nel mondo avanzato. Per questo motivo, molti economisti ritengono che servano grandi programmi d’investimento pubblico, per l’ambiente,le infrastrutture,l’educazione o simili. Obama lo sta già facendo, l’Europa molto meno.
u Ultimo aspetto: la crisi ci lascia una seria questione di legittimazione pubblica dell’economia di mercato.
Un’economia di mercato si basa sull’accettazione del profitto come equa ricompensa del rischio assunto dal capitalista, motivata dal fatto che la creazione di ricchezza beneficia la società intera. Ma negli ultimi anni abbiamo assistito a profitti sempre più elevati di un numero sempre più ristretto di persone,soprattutto nella finanza,mentre il tenore di vita di larghi strati della popolazione nel mondo avanzato ristagnava o peggiorava.
Senza dubbio, tornerà forte la domanda di redistribuzione a favore dei redditi da lavoro; ma solo l’investimento in capitale umano e in nuove tecnologie può garantire più spazio per l’aumento dei redditi da lavoro nei paesi avanzati anche in un ambiente economico flessibile e globalizzato. Come si voleva fare in Europa con l’Agenda di Lisbona: ma poi non lo abbiamo fatto, e abbiamo dovuto comprimere i salari per sopravvivere. Il rischio è che se non lo facciamo, col tempo aumentino le pulsionia chiudere le nostre economie.
Se la domanda e l’occupazione non ripartono, se le condizioni di vita della maggioranza della popolazione nei paesi avanzati non riprendono a migliorare, possono ripetersi le dinamiche distruttive di ottant’anni fa: il nazionalismo, il protezionismo, le guerre, commerciali e non solo.