Vittorio Zucconi, La Repubblica, 8 maggio 2009, 8 maggio 2009
Washington Post e Wall Street Journal contro il pantalone-simbolo "Ha minato lo spirito nazionale, è una moda che va fermata" In America crociata anti-jeans "Sciatti, ipocriti e di sinistra" di VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Nella Kulturkampf, nella guerra culturale che i conservatori instancabilmente combattono per salvarci l’anima senza esserne richiesti, si alza un nuovo straccio infernale che distruggerà l’Occidente: il blue jeans
Washington Post e Wall Street Journal contro il pantalone-simbolo "Ha minato lo spirito nazionale, è una moda che va fermata" In America crociata anti-jeans "Sciatti, ipocriti e di sinistra" di VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Nella Kulturkampf, nella guerra culturale che i conservatori instancabilmente combattono per salvarci l’anima senza esserne richiesti, si alza un nuovo straccio infernale che distruggerà l’Occidente: il blue jeans. Le ubique, insidiose brache di ruvida tela blu con borchie di rame hanno "minato lo spirito nazionale", ha avvertito il Wall Street Journal, subito seguito da un famoso opinionista del Washington Post, e vanno fermate. Umile surrogato della logora "Grande Guerra al Terrore" bushista, il pantalone nato dalla tela francese de Nimes, da cui la parola denim, e tinto con l’indigo - il blue di Genoa, da cui jean, per i marinai - è la nuova al-Qaeda con la lampo e le borchie, l’uniforme transgenerazionale che sgretola l’America e segnala il suo collasso verso "la sciatteria terminale", è tuonato dal Washington Post George Will, uno dei più amabili, ma severi brontoloni della destra. Il "Demon Denim", come lo chiama lui, non è soltanto sciatto e ideologico, ma "ipocrita", come le ricche signore che vanno a far spesa nei supermercati biologici al volante dei loro Suv tracanna benzina. A vita alta o a vita bassa, scoloriti o logorati dal fabbricante per creare la falsa impressione del consumo da fatica, sbracati con il cavallo all’altezza delle ginocchia o tesi come una mano di vernice passata sul sedere, i blue jeans sono il simbolo della resa collettiva della società al banale e all’immaturo. Will rabbrividisce alla vista della famigliacce che circolano indossandolo invariabilmente, padre, madre, figli, come un’"uniforme del nulla". Credendosi politically correct, pacifisti e progressisti se li infilano come lontana eco della "controcultura" sessantottina, ringhiava lo scrittore Daniel Ask sul Wall Street Journal, perché dimenticano che le brache di denim - indossate anche da Garibaldi nelle sue imprese - sono figlie della guerra, della necessità di trovare un calzone pratico per i marinai delle flotte. Che un indumento così umile ed economico (sui 30 dollari in media, poco più di 20 euro) possa suscitare tanta furia perbenista e culturale, si spiega con il fastidio per la massificazione del costume che turba individualisti, conservatori e snob. E che di massa si tratti - per questi calzoni portati in America da una famiglia di ebrei tedeschi, i Levi Strauss, all’inizio dell’Ottocento e poi divenuti l’indumento standard di contadini, cercatori d’oro e vaccari - lo dicono le cifre delle vendite annuali, vicine ai 15 miliardi di dollari (50 dollari a testa per ogni abitante) e i guardaroba: negli armadi delle donne americane ce ne sono in media 14 paia, ormai accettabili anche nel ristorante più spocchioso. A differenza di quanto accadde a Bing Crosby, che negli anni ’50 fu respinto da un maitre di Los Angeles perché in jeans. E si vendicò tornandoci con un completo, giacca, gilè e calzoni in tela denim, cucito espressamente per lui dalla Levi’s. I custodi della moralità sartoriale non esitano a definirlo "una pestilenza nazionale" (Will), "un sintomo di infantilismo nostalgico per un passato agrario che si traduce nella corsa a quelle casette di lontano sobborgo oggi avviate verso l’abisso dei mutui non pagati", quasi che siano stati i jeans a provocare il collasso della finanza. Ormai un vizio nazionale, secondo il Wall Street Journal, i jeans andrebbero trattati come le sigarette e tassati a sangue dalla presidenza Obama. Questo residuato della ribellione giovanilista, questa bandiera dei Marlon Brando, dei James Dean, dei rivoluzionari senza una causa che persino Elvis Presley non voleva indossare perché, da uomo del sud, lo vedeva come un simbolo di miseria, oggi veste miliardari come Bill Gates e Steve Jobs e tutti i baroni delle stock options a Silicon Valley, apice definitivo dell’ipocrisia e della immaturità di questi eterni Peter Pan. E’ assai improbabile che la campagna contro "il terrore in blue jeans" possa incrinare il regno di un indumento che risponde al criterio fondamentale americano della convenience, della praticità, e ricorda ironicamente la vana battaglia combattuta per anni dal Cremlino contro questo simbolo delizioso dell’America. La diabolica braca è ormai entrata anche negli uffici delle banche di Wall Street, dove il "casual Friday", il venerdì casual, è un’istituzione, mentre le madri di famiglia affannate non rinunceranno facilmente a infilare ai figli l’indistruttibile calzone. La campagna dei guerrieri culturali somiglia a tante altre malinconiche battaglie perdute, dalla minigonna al telefonino, dal rock’n roll ai videogame. Se l’America andrà all’inferno, come loro profetizzano, ci andrà in jeans.