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 2009  maggio 11 Lunedì calendario

SPAGNA, 1936: QUESTA E’ LA VERA STORIA DELLA "QUINTA COLONNA"


«Quinta colonna» è un’espressione che venne di moda nel 1936, ai tempi della guerra di Spagna. La coniò il generale Emilio Mola Vidal, uno degli artefici dell’Alzamiento: alle quattro colonne militari in marcia verso Madrid, disse in una conferenza stampa, si sarebbe aggiunta, al momento opportuno, una quinta, interna alla città... Alle elezioni di quell’anno, vinte dalla sinistra repubblicana, la capitale spagnola aveva rivelato una spaccatura pressoché verticale, con il 45 per cento dei voti alla destra nazionalista, e l’ipotesi quindi di una opposizione interna, nascosta e pronta a insorgere, non era affatto peregrina.
In breve tempo, l’immagine di una «quinta colonna» si trasformò in psicosi, perché ciò che valeva per Madrid era in fondo valido per tutta la Spagna, una nazione divisa a metà dove, indipendentemente da chi deteneva il potere, restava un’opposizione sconfitta eppure consistente, terreno di manovra per possibili attentati, resistenza attiva e passiva, cospirazioni, depistaggi. Alla tragedia di una guerra civile si aggiunse così il dramma di una lacerazione interna, frastagliata e sparsa lungo tutto il Paese, a prescindere dalla geografia politica dei due governi, l’insurrezionale e il costituzionale, che la combattevano.
Come se non bastasse, il «nemico interno» si colorò di un’ulteriore, anch’essa tragica, variante, che andò ad annidarsi nelle file di ciascuno dei due contendenti e che riguardava, come dire, più che il fine ultimo, la vittoria, il fine primo, ovvero perché si combattesse. Nel campo nazionalista, essa riguardò il falangismo e il carlismo da un lato e quello che, per comodità, definiremo il franchismo dall’altro, ma anche i loro alleati europei, il fascismo e il nazionalsocialismo. In campo repubblicano il fenomeno fu ancora più eclatante, perché vide schierati dalla stessa parte repubblicani liberali e repubblicani socialisti, comunisti e anarchici, consiglieri militari sovietici, lo stesso Cremlino. In breve, il franchismo liquidò la Falange e i Carlisti, i comunisti liquidarono gli anarchici, i socialisti e i repubblicani, la Russia usò la Spagna come «quinta colonna» all’interno delle democrazie parlamentari e poi l’abbandonò al suo destino, la Germania se ne servì per testare la propria aviazione, l’Italia per rafforzare la propria idea di grande potenza, l’idea di un’Internazionale fascista fu da Franco lasciata cadere, Russia e Germania si trovarono persino unite in un patto di non aggressione...
Su questo terreno ideologicamente minato e politicamente complesso, dove il revisionismo più che una scelta ideologica è una necessità storica, Pablo Rossi fa muovere i protagonisti del suo romanzo, L’ombra del poeta (Mursia, pagg. 508, euro 19), una narrazione fluviale che partendo dall’assassinio di Federico García Lorca ricostruisce intrighi internazionali e psicologie individuali, lotte intestine e trame oscure. Al centro di quello che come impianto narrativo è un classico giallo d’azione, ci sono le figure di un commissario della Seguridad repubblicana, Aguirre, un maggiore del controspionaggio nazionalista, Gutierrez, un ufficiale dell’Armata rossa, Dedalus: il primo impegnato a dare la caccia al secondo, suo nemico ufficiale, ma anche al terzo, che in teoria dovrebbe stare dalla sua stessa parte, quest’ultimo pronto a ucciderlo, se necessario, con l’appoggio proprio di chi la logica bellica vorrebbe suo avversario dichiarato, ma la superiore Ragion di Stato trasforma momentaneamente in alleato.