Luca Iezzi, Affari e finanza 11/5/2009, 11 maggio 2009
CACCIA AI PARADISI FISCALI
Tremonti contro il Titano. La lotta ai paradisi fiscali in Italia è sempre cominciata, e tristemente tramontata, ai piedi del monte che ospita la repubblica di San Marino. Anche questa volta, la stretta contro gli evasori transnazionali annunciata a Bruxelles dal ministro dell’Economia si è sovrapposta con un’operazione antiriciclaggio della procura di Forli che ha colpito la Cassa di risparmio sammarinese. Indirettamente confermato un assunto a cui lo stesso Tremonti si è convertito recentemente: chi fa la legittima scelta di portare i propri soldi in posti dove il segreto bancario è sacro e le tasse sono più basse, non disdegna di fare il passo successivo, cioè evitare di pagare quanto dovuto al proprio Stato d’origine.
San Marino è un po’ il caso di scuola di quello che il Fisco italiano vorrebbe, ma non riesce a realizzare: la repubblica con 30 mila abitanti ha una raccolta bancaria da 14 miliardi di euro l’anno (8,4 dall’estero di cui 6 dall’Italia) divisa tra le 12 banche del territorio. La continua pressione per rendere più trasparenti i passaggi di denaro da e verso il monte Titano ha risultati molto lenti. A settembre San Marino saprà se i suoi sforzi per uscire dalla lista "grigia" dei paradisi fiscali dell’Ocse (è quella dove sono i principali paesi come Svizzera, Lussemburgo o le Cayman) sarà premiata. Ci provano dal 2005.
L’ultimo capitolo della diatriba con l’Italia si sta chiudendo ora dopo oltre un decennio: nel 1997 l’allora ministro Vincenzo Visco fece assediare dalla Guardia di Finanza le strade di accesso alla microrepubblica. La crisi si chiuse con la promessa di un nuovo trattato internazionale che è stato firmato solo il 31 marzo scorso dal ministro degli Esteri Franco Frattini, ma la parte sulla finanza e le banche è stata stralciata ed è tuttora oggetto di trattativa. Nel frattempo San Marino rimane punto obbligato delle triangolazioni di patrimoni e merci, ogni passaggio sul Monte Titano significa un piccolo o grande sconto fiscale (o sull’Iva o sulle imposte alle rendite finanziarie).
Tanto che il procuratore di Forlì la settima scorsa è intervenuto sulla finanziaria bolognese Delta, di proprietà della Cassa di risparmio di San Marino che su un flusso di 1,2 milioni di assegni aveva costruito «un vero e proprio sistema che accoglieva questi capitali frutto di evasioni fiscali e truffe ai danni dello Stato, c’era cioè un meccanismo di attrazione di questi capitali, che non è solo occasionale» ha spiegato il Pm Fabio Di Vizio. A dimostrazione che il confine romagnolo tiene lontano le Fiamme Gialle, ma non le influenze politiche, a San Marino non sono mancati gli attacchi contro l’accanimento mediatico e giudiziario degli italiani e l’eccessiva spettacolarizzazione delle inchieste periodiche della procura di Forlì.
Attacchi che non dovrebbero trovare appigli a Roma visto che Tremonti ha confermato «l’incremento del profilo di attenzione fiscale sui redditi nei paradisi». Addirittura l’Italia è pronta a riprendersi «la propria sovranità fiscale» prefigurando una fuga in avanti persino di fronte all’Ue. Peccato che le direttive anticipate dal ministro non sembrino una rivoluzione, come stilare una lista nera dei paradisi fiscali propria, che in Italia è già più corposa di quella dell’Ocse. I fiscalisti spiegano che è già prevista l’inversione dell’onere della prova: cioè il capitale che si trova in un paradiso fiscale già ora si presume sia prodotto da evasione fiscale, salvo che il proprietario riesca a documentare il contrario. Non solo, deve anche dimostrare che l’operazione realizzata in quei paesi ha reale utilità economica o commerciale e non può dedurre le perdite o i costi subiti in quello Stato.
Di qui lo scetticismo per il successo di questo cambio di rotta. Secondo l’ex ministro Vincenzo Visco: «Tutto dipende da quello che operativamente deciderà l’Europa, al di là delle dichiarazioni politiche. Negli anni scorsi spesso è stata la Gran Bretagna il freno principale a iniziative coordinate. difficile che si arriverà a qualcosa di concreto, anche perché i paradisi fiscali sono importanti, ma soprattutto va combattuta la concorrenza fiscale, cioè aliquote diverse per gli stessi redditi all’interno dell’Europa. Qui il quadro si allarga dal Lussemburgo o dal Liechtestein a paesi come l’Austria, l’Olanda. La mossa del governo italiano mi sembra funzionale solo al prossimo condono in arrivo».
La "faccia feroce" di Tremonti servirebbe a rendere più credibile l’utilità dello scudo fiscale in via di approvazione e da cui il governo si aspetta almeno 24 miliardi di euro, così come la voglia di procedere da soli serve a garantirsi da un eventuale ripensamento a livello europeo: da noi lo scudo si farà (per motivi di cassa) anche se in Francia o Germania dovessero rinunciare. Le premesse sono che da un patrimonio espatriato di 600 miliardi dovrebbe rientrare fino al 10% che sarà tassato ad un’aliquota del 78%.
Funzionerà? «L’incasso rischia di essere molto al di sotto delle aspettative spiega un importante fiscalista milanese quello del 200203 fece riemergere 77 miliardi di euro con un gettito di circa 2 miliardi. L’aliquota era più conveniente e permetteva di regolarizzare patrimoni finiti in Svizzera o a Montecarlo decenni fa. Chi ha deciso di non far rientrare quel denaro allora difficilmente lo farà oggi».
A San Marino, come altrove, dormono sonni tranquilli.